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Tag Archive for: il professore va al congresso

Meglio Palaia: la grande batosta elettorale di Renzi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/06/2018

1 – Chi incontra Renzi per strada e sul Ponte Vecchio, gli dice Meglio Palaia.

Meglio Palaia si dice quando non si può fare peggio: Palaia fu distrutta dalle truppe di Carlo V in una maniera così crudele che quando qualcuno si lamentava per le angherie subite, gli si faceva osservare che a Palaia non sarebbe stato meglio.

La grande batosta elettorale del Partito democratico è evidente.

Come a Palaia, peggio non si poteva fare: ha perso tre roccaforti molto significative sul piano identitario: Pisa, Massa e Siena.

La città in cui è nato il sessantotto italiano, la città del Monte dei Paschi e la città delle lotte anarchiche e libertarie.

Il partito democratico non riesce più a parlare al suo popolo ma non ci si può dimenticare che solo quattro anni fa, aveva trovato un leader che aveva conquistato più del quaranta per cento dei suffragi e che sapeva parlare non solo al suo popolo, sapeva parlare anche al centro e trovare i voti della maggioranza degli elettori.

Lo faceva con una narrazione forte e convincente: Rottamiamoli tutti.

E’ evidente anche la batosta elettorale del M5S, anche se ha vinto quasi tutti i ballottaggi cui ha partecipato ma non è quasi mai arrivato al ballottaggio e talvolta non è neppure riuscito a selezionare i candidati per partecipare alle elezioni.

Salvini ha vinto, ma potrebbe essere meno immortale delle sue felpe e scomparire presto, come è successo a Renzi. Read more →

Il negozio politico (A proposito di Torino – Lione, Ilva e tassa di soggiorno)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
20/05/2018

1 – Il negozio politico è l’accordo di coalizione. Il negozio politico, come il negozio giuridico, ha bisogno di una causa per poter essere considerato lecito.

La causa del negozio politico dovrebbe essere la giustizia sociale, se manca la giustizia sociale, il negozio politico diventa il luogo di scambio di clientele basate su interessi particolari.

Praticamente, la bottega dei souvenir di Ho Chi Minh. Read more →

I pensieri politicamente scorretti di Bimba Impertinente (Cinque e mezzo)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
17/05/2018

Adesso che è passato molto tempo da questa foto, ha preso il suo primo cinque e mezzo a matematica.

Fissa il nulla dentro una coperta a forma di sirena, perché è passato meno tempo di quello che può sembrare da questa foto.

La sorella la sfiora appena:

Ti devi volere bene

Risponde, senza uscire dalla sirena:

Se non ci si vuole bene, non si va da nessuna parte e aggiunge dopo qualche secondo E’ una frase da vecchi

No, è una frase del cazzo. Replica, lapidaria, Bimba Piccola.

E Bimba Impertinente esce dalla sirena per andare a giocare.

Siamo di uno stesso sangue, fratellino, tu ed io

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2018

Luigi Di Maio, in occasione della conferenza stampa “I say no to save Italy’s future” indetta dal M5s sul referendum del 4 dicembre, Roma, 17 ottobre 2016.
ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Siamo di uno stesso sangue, fratellino, tu ed io è la parola maestra di Chil e racconta dell’amicizia fra un bambino e gli animali della Giungla in quel Pinocchio colonialista cui lo scoutismo ha collegato un metodo educativo.

Significa che un essere umano può essere accolto da un serpente altrimenti terribile come se fossero della stessa razza e che lo stesso può accadere con i lupi e le pantere ma non con le scimmie e i cani rossi.

Si può essere amici di chi è diverso da noi ma riconosce la superiorità della legge.

Non si può essere amici di chi non si sottomette alla legge e perciò deve essere sterminato. Read more →

Sono Iacopo e vorrei parlare con Davide

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/04/2018

Sono Iacopo e vorrei parlare con Davide potrebbe essere stato il modo con cui Iacoboni avrebbe potuto evitare le polemiche che invece si sono scatenate quando il giornalista – non accreditato – non è stato ammesso a partecipare ai lavori del convegno organizzato da Casaleggio per discutere di politica con un respiro più ampio rispetto agli eventi di questi giorni.

Non lo ha fatto e non è stato ammesso a partecipare ai lavori: chi chiede di essere ammesso in un luogo privato aperto al pubblico deve dimostrare di essere in possesso del titolo di ammissione.

Detto così sarebbe molto semplice.

In realtà, però, dietro all’esclusione di Iacoboni dai lavori di un convegno in cui un soggetto pubblico, anche se non esplicitamente politico, si preoccupa dei valori che devono essere perseguiti per costruire un futuro condiviso, è di per sé preoccupante perché nasconde il desiderio di scegliere chi ci racconta.

Scegliere chi ci racconta, però, non parla di un free market of ideas, secondo la felice espressione di John Stuart Mill, ma ricorda piuttosto il meraviglioso Aspettando il voto delle bestie selvagge di Kourouma.

Detto così è un po’ più complicato ma ancora abbastanza semplice.

In verità, tuttavia, i giornalisti non sempre rispettano la verità e qualche volta nemmeno la verosimiglianza. Non è sempre facile ottenere la pubblicazione di una notizia o l’ascolto dei lettori. Nemmeno è facile che quello che si vorrebbe dire sia tradotto in maniera imparziale.

Il ruolo del giornalista dovrebbe essere la mediazione fra la complessità di un racconto e l’interesse dell’opinione pubblica a farsi un’idea, talvolta però la nobiltà di questo compito degrada verso il mestiere del promotore di un determinato interesse o di una determinata visione della realtà.

Detto così è definitivamente complicato, un rebus irrisolvibile se non si tiene conto che chi sta raccontando al paese una visione del mondo per ottenerne il consenso, non può negare a nessuno di dire la sua su questa visione del mondo. Ma anche che i giornalisti appartengono a un albo e sarebbe molto bello se questo albo si facesse effettivamente carico del decoro della professione.

Gli albi, però, sono troppo spesso alibi.

#consultazioni2018: oggi, mi sento un po’ monarchico

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
06/04/2018

Ho sempre passato il 2 giugno 1946 con una certezza: se ci fossi stato, avrei votato per la repubblica e non per la monarchia.

Oggi, sono meno certo di ieri e lo sono guardando il valzer delle #consultazioni2018, sfogliando i giornali e pensando alla persona incaricata di trovare una soluzione a questo rebus.

Il capo dello Stato enigmistico (Matterella ha l’aria di uno che si fa mettere la Settimana Enigmistica fra il Sole 24 Ore e il  Corriere della Sera dal giornalaio) è incaricato di trovare una possibile soluzione di governo, tenendo conto che:

(i) la soluzione più ragionevole nel caso di due partiti vittoriosi (un partito e una coalizione, in realtà, ma in realtà il partito è un movimento e la realtà non fa parte della Settimana Enigmistica) è una diarchia, il modello Craxi – De Mita che ha segnato la fine della Prima Repubblica;

(ii) la soluzione più ragionevole nel caso di due partiti vittoriosi e di una società in crisi è un governo di solidarietà nazionale, in cui ciascun partito riconosce la necessità di ripartire dalla Costituzione, dal riconoscimento reciproco che è necessario attuare la Costituzione: il modello Moro che ha cercato di comprendere le ragioni profonde di una lunga transizione;

(iii) il contratto alla tedesca come la ricerca di un forno più caldo fra quelli disponibili non sembrano ipotesi serie, ma tatticismi di una strategia che pensa a nuove elezioni;

(iv) è difficile che possa accadere qualcosa prima del 10 aprile, quando il DEF dovrà essere presentato alle Camere e se ci fosse un nuovo governo, questo si dovrebbe assumere la responsabilità di scelte non necessariamente coerenti con il proprio programma di governo;

(v) il 29 aprile, ci sono le elezioni regionali in Molise e in Friuli Venezia Giulia, che daranno dei consigli oggettivi misurando di nuovo la temperatura dell’elettorato a pochi mesi dal terremoto elettorale del 4 marzo.

Tutti questi temi compongono un puzzle che il capo dello Stato deve risolvere, ma il capo dello Stato, il supremo reggitore dello stato di crisi, interviene dall’alto della sua esperienza (e della sua storia) di uomo politico e con la legittimazione che gli deriva da un’elezione politica.

In questi momenti, mi viene da chiedere ma se il capo dello Stato fosse un re, educato a fare il re, lontano dagli affanni della politica perché al di sopra delle parti per diritto ereditario, Di Maio avrebbe la stessa faccia dell’omino in lebole che si reca dal capo ufficio, Salvini porterebbe la giacca sulla spalla come il rappresentante della Martini & Rossi che va in discoteca, Berlusconi si farebbe attorniare da due tailleur come un avvocato che riceve i clienti circondato dalle segretarie, la delegazione del PD arriverebbe a piedi con un’aria fra il mezzogiorno di fuoco e la gita al camposanto?

Forse no.

Il bello delle monarchie è che sembrano una cosa seria anche a chi non ci crede e mettono tutti a posto con la forza della tradizione.

Ma, mi dico, alla fine di questa riflessione, la nostra era una monarchia stanca, che aveva poco a che fare con il Conte Verde e parecchio con un Principe di Maggio, e un Vittorio Emanuele di Savoia assai difficilmente saprebbe fare meglio di Mattarella nelle #consultazioni2018, a meno che Salvini o Di Maio provino a salire sulla sua barca.

Consultazioni: Sergio Mattarella dal punto di vista di Antonio da Mestre

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/04/2018

Le consultazioni iniziano oggi e la situazione politica è talmente complessa che molti italiani, come Antonio da Mestre e Alvaro da Pisa, vorrebbero essere al posto di Mattarella.

Per la prima volta, da molti anni, le consultazioni per la formazione del governo sono al centro delle discussioni nei bar della penisola e i vari Gigi da Palermo danno consigli all’allenatore, come se si trattasse della nazionale ai tempi di Ezio Sella.

Le tesi di fondo che si contrappongono sono due.

La tesi pentastellata: il partito che ha ottenuto più voti ha diritto di formare il governo perché ha ottenuto più voti.

La tesi leghista: la coalizione che ha ottenuto più voti ha diritto di formare il governo perché ha ottenuto più voti.

La prima non tiene conto del fatto che il Movimento 5 Stelle non può essere considerato un partito politico, perché manca di una ideologia. Se manca una ideologia è difficile dire di avere preso più voti degli altri partiti, perché è difficile capire cosa hanno votato i cittadini che lo hanno votato.

Il Movimento deve sciogliere non pochi nodi al proprio interno per poter dire di avere conquistato la maggioranza dei voti, perché allo stato è articolato come la Democrazia Cristiana degli anni sessanta.

La seconda non tiene conto del fatto che una coalizione ha senso quando è in gioco un premio di maggioranza che garantisce la governabilità. Senza questo premio di maggioranza non significa nulla. Sono tre partiti che contano per i voti che hanno conquistato e soprattutto per i seggi che gli sono stati distintamente assegnati.

Nel sistema che si è venuto a creare con la Terza Repubblica, le consultazioni devono fare a meno dei partiti politici e delle ideologie sottostanti.

Ma se è così, il Capo dello Stato si trova davanti a un compito davvero complesso, perché non deve negoziare con delle piattaforme ideali ma con delle persone reali, con i loro vizi e le loro caratteristiche.

Un compito nel quale i vari Mimmo da Macerata e Carlo di Aosta fanno quello che fanno tutti gli atleti da bar: applaudono se stessi se la loro squadra vince seguendo il canone Io lo avevo detto e infamano l’allenatore se perde, senza cambiare assolutamente canone.

Oltre Facebook / Cambridge Analytica…

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/03/2018

Il caso Facebook / Cambridge Analytica parla di cose vecchie e anche un po’ scontate.

L’uso da parte dei signori della rete dei dati relativi agli utenti per promuovere prodotti è noto.

Il fatto che le politiche in materia di privacy di Facebook abbiano consentito fino al 2014 agli sviluppatori di applicazioni di acquisire tramite le loro applicazioni dati relativi agli utenti e utili per la loro profanazione è forse meno noto ma comunque notorio.

Il fatto che un manager di una società che opera in maniera obliqua possa offrire a un cliente che desidera gettare discredito su di un avversario politico uno scandalo a fondo sessuale non è altro che una questione rilevante per il codice penale.

Eppure questa vicenda ha bruciato molto denaro in borsa e i mercati finanziari non operano per caso.

Il fattaccio che è venuto alla luce riguarda l’uso da parte di Cambridge Analytica di un numero imponente di profili di utenti che avevano rivelato le loro opinioni spontaneamente compilando dei test psicologici per influenzare delle manifestazioni elettorali.

Abbiamo così “scoperto” che su Facebook gli utenti tendono a costruire delle filter bubble e che queste filter bubble operano come echo cambers determinando il sorgere di cocoon informativi.

Cass Sunstein ha scritto un libro su questo, tradotto in Italia da Il Mulino con il titolo #Republic.

In altre parole, le persone vogliono leggere le notizie che gli interessano, chiudendosi in delle stanze in cui ricevono solo ciò che vogliono leggere (filter bubble), che in queste stanze le opinioni più estreme tendono ad affermarsi: i suprematisti ariani quando parlano fra suprematisti ariani sono più estremisti di quando manifestano le loro opinioni in pubblico (echo chambers) e che questi bozzoli di informazione (cocoon), in cui gli utenti della rete tendono a segregarsi scegliendo le loro amicizie, sono pericolosi per il pluralismo.

Insomma, abbiamo scoperto che quando la Corte costituzionale affermava che la libertà di informazione è la «pietra angolare dell’ordine democratico» (Corte cost. 84/1969) diceva una cosa che sulla rete è molto meno vera che nella realtà fisica.

Nella rete, la libertà di informazione può essere pericolosa per la democrazia proprio perché è affidata a tutti (è decentrata e disintermediata, ma non per questo è resa più democratica) e non tutti sono in grado di esprimere pensieri interessanti per lo sviluppo di un discorso democratico.

L’applicazione delle regole sulla responsabilità dei provider

Il punto è che l’applicazione delle regole in materia di responsabilità degli internet service providers, in virtù delle quali il provider non è responsabile del contenuto che ospita, ai social media, che non sono internet service provider, perché organizzano i contenuti che ospitano e li orientano secondo le loro politiche aziendali, determina dei seri rischi per il discorso democratico.

E’ quello che hanno notato con intelligenza e acume da molto tempo studiosi come Sunstein o come Balkin, ma anche come Gillespie e l’elenco potrebbe essere lungo.

In questa situazione, i mercati hanno capito che i social media non potranno continuare ad operare come signori della rete, liberi di decidere le loro politiche, ma si dovranno in qualche misura sottomettere alla sovranità degli Stati e la sovranità degli Stati ridurrà i loro profitti.

O forse hanno capito che i social media non potranno fare a meno di anticipare le normative statali adottando delle politiche aziendali trasparenti e in grado di evitare disfunzioni come la censura collaterale, di cui si parla da molto tempo.

O magari hanno intuito che il potere dei signori della rete sta diventando l’oggetto di una forte critica sociale e che questa critica sociale spesso viene direttamente da coloro che operano all’interno delle organizzazioni aziendali messe a punto dai signori della rete.

Ma cosa sono i social media per l’art. 21, Cost.?

In realtà, i social media non sono mezzi di informazione nel senso tradizionale di questa espressione, ma sono semplicemente dei contenitori per la libertà di manifestazione del pensiero, funzionano in maniera molto più simile a spazi privati aperti al pubblico che vi si riunisce consapevole del fatto che in questi spazi si deve rispettare la disciplina imposta dal loro proprietario, esattamente come chi va in un bar deve rispettare le regole di polizia imposte dal suo proprietario, che gli può dire di bere meno o di parlare a voce meno alta e perfino allontanarlo se non è in grado di rispettare le regole della casa.

L’aspetto più interessante di questa vicenda è che non è emersa grazie alla rete, la rete non ha rivelato nulla di Cambridge Analytica e della sua influenza per le competizioni elettorali. E’ stato il giornalismo investigativo del New York Times e del Guardian che ha consentito all’opinione pubblica di venire a sapere quello che stava accadendo.

Come nel caso di Weinstein, che avrebbe facilmente ottenuto l’oblio delle notizie che lo riguardavano se queste fossero state postate su Facebook o su un blog, grazie alla regole del notice-and-takedown, che è tipica della responsabilità del provider.

Una rivoluzione imminente?

L’aspetto più interessante è che i giornali sono ancora vivi e per ora fanno ancora il loro lavoro.

La cosa, invece, più preoccupante è che la presenza dei giornali è minacciata seriamente dalla rete e la rete, al contrario della carta stampata, non è affatto trasparente.

Se questa preoccupazione diventasse condivisa, il mondo della rete diventerebbe il campo di una rivoluzione, forse meno cruenta di quella del 1789, ma non meno significativa per le sorti dell’umanità.

Su questo si deve riflettere. Non sulla profanazione della privacy degli utenti che sono stati chiusi nelle echo chambers in cui loro stessi desideravano essere rinchiusi.

Oggi, e da tempo, questo non è più possibile, mentre è possibile analizzare i big data costruendo i profili degli utenti senza violare la loro privacy e, forse, anche condizionando le competizioni elettorali con la scelta dei candidati da votare usando lo stesso algoritmo con cui Netflix ci consiglia una nuova serie, azzeccando quasi sempre i nostri gusti, ma senza farci vedere nulla di nuovo.

Fermate la Befana

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/01/2018

Davvero posso ritardare l’Epifania?

La Befana che arriva di notte può essere fermata a qualche valico e trattenuta per qualche giorno?

Mi piacerebbe che queste vacanze durassero ancora per qualche minuto.

Che non fosse già arrivato il momento di spengere le luci all’albero di Natale e di chiudere il presepio nella sua scatola.

Ma è arrivato e (fortunatamente?) nemmeno le grandi corporation della rete possono ritardare il calendario liturgico.

Chi li ha sciolti? (Negrobus)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/10/2017
Uomo diversamente colorato che usa l'autobus

Negrobus sul 22

Il Negrobus è l’immigrato da mezzi pubblici. Una particolare categoria di extracomunitario nota a tutti i pendolari.

Con l’avvertenza che i negrobus non sono solo originari dell’Africa subsahariana. Ci sono negrobus rom, cinesi e anche italiani.

La domanda che non riesco a non pormi ha per oggetto il biglietto che tiene fra i denti.

Nasce da anni passati sul Feccia Nera, il treno che unisce Pisa a Firenze ma anche Firenze a Pisa e consente a Montelupo, Empoli, San Miniato, Santa Croce, Pontedera e Cascina di non essere ingoiati da un universo parallelo.

Sul Feccia Nera i negrobus viaggiano solitamente senza biglietto.

Quando il controllore li ferma, scendono dal treno. Aspettano il successivo e prima o poi arrivano a destinazione senza mai fermarsi alla biglietteria.

Questo ha il biglietto e lo tiene in bocca ostentamente, come un osso.

Lo fa per dire:

Sono diverso da tutti gli altri e pago il biglietto

Oppure sta lanciando una sfida:

Chi ha il coraggio di controllare il timbro su un biglietto sbavato?

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