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Memoriale di via Giusti

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
05/04/2021

Via Giusti quando ho iniziato a studiare il diritto costituzionale prendendolo sul serio era un singolare ensemble di archetipi.

Paolo Barile aveva dato vita a una scuola che riuniva persone molto diverse.

Cheli non si vedeva quasi mai ma faceva sempre sentire il suo pensiero, con l’intelligenza della saggezza che sa di dover essere parca se vuole guidare uno stormo assai disordinato e inquieto.

De Siervo arrivava ogni mattina con un sorriso buono e la sua stanza era ordinata come se ci fosse sempre il Sole.

Caretti parcheggiava una cinquecento rossa arrampicandosi sulle altre macchine e la sua scrivania ribolliva di libri letti e da leggere.

Zaccaria faceva il presidente della Rai. Lo vedevo allo studio del prof. Barile quando era tempo di auguri. Glieli faceva sempre di persona. Con affetto. Con vero affetto romagnolo.

Grassi arrivava di corsa e si pagava sempre il telefono, anche se non lo usava mai. Aveva l’onestà del cattolico spaventato dalla facile disonestà di una fede abile a evadere sia dalla morte che dal sepolcro.

Merlini, che è morto ieri mattina, si vedeva poco. Lui era affascinante e dinoccolato. Le sue spiegazioni erano colte. Ragionamenti di storico oltre che di giurista. E appassionate. Pensieri di un uomo che leggeva la Costituzione come un documento politico prima che giuridico.

Ho imparato a conoscerlo in treno, accompagnandolo a Roma o trovandolo per caso sulla via di un qualche convegno.

Sempre mi ha trattato come un allievo del suo maestro, con spirito di fratello maggiore, e spesso mi ha donato una riflessione musicale, uno sguardo rapito nella bellezza, spesso demolendo le mie convinzioni, troppo ingenue e persino rozze.

Non abbiamo mai avuto molto in comune. Le sue idee politiche erano diversamente appassionate rispetto alle mie, avevano lo charme del cachemire sotto l’eskimo. Ma era questa la scuola del prof. Barile: persone diverse tenute insieme dal fascino del loro maestro.

E Merlini di Barile aveva carpito – più di ogni altro allievo – il fascino assoluto e amabile di un mondano ambasciatore fin de siecle.

Un foulard che sapeva di cioccolata

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/03/2021

Oggi non compi ottantasette anni.

Non ci sei arrivata e non ho avuto bisogno ieri sera di comprarti un regalo all’ultimo momento perché ti piacevano i regali e ti dispiaceva non riceverli.

Una delle tante cose in cui siamo uguali.

Ti avrei comprato un foulard.

Non perché ti piaceva, ma perché piaceva a me, quando ti toglievo il cappotto o la pelliccia sentire per un istante il tuo profumo su quel pezzo di seta.

Sono andati persi, come i tuoi gioielli. Rubati da badanti e da cattivi affetti.

Ti avrebbe fatto male e non avresti sorriso.

Bambina sfollata nelle campagne dove la nonna doveva andare a servizio da una contadina che la pagava con qualche fetta di pane perché il nonno era scomparso nei labirinti della seconda guerra mondiale.

Hai conosciuto il sapore della fame, hai sognato con quel dolore a riempire lo stomaco.

Lo hai portato dentro di te per sempre, anche quando la fame non c’era più da tanto tempo.

Perché la cioccolata degli sfollati ha un sapore tutto suo.

Un sapore che tatua l’anima.

E quei tatuaggi hanno accompagnato tutti i tuoi sorrisi.

I sorrisi di una bambina che non riusciva a guardare i fochi di San Giovanni senza ricordare i bengala dei bombardamenti che hanno distrutto la casa in cui eri nata.

Mi manchi e soprattutto mi addolora non essere mai stato capace di cancellare quei tatuaggi dalla tua anima.

Anche i figli, in fondo, sono doni e come tutti i regali possono essere una gioia o una delusione.

Ed io so di essere stato una delusione per te perché non ho mai sopportato di dover essere un regalo che cancellava dolori che non mi appartenevano, sanava ferite che non comprendevo.

So di essere stato questo: un regalo sbagliato e, purtroppo, l’ho sempre saputo.

L’anno che San Giuseppe non è più la festa del Papà

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
20/03/2021

Zeppole

San Giuseppe, fino a ieri, era svegliarsi con un biglietto, accanto alla colazione apparecchiata.

Una cosa del genere: Sei il papà migliore del mondo.

Ieri erano due adolescenti di fretta, che bevevano il loro caffè, prima di indossare le mascherine e correre a scuola.

Il vocabolario di greco sotto braccio.

Auguri, babbo.

Dicono con un piede sulla porta e un bacio distratto.

Per un attimo, mi intristisce.

Dura solo un attimo.

Perché è bello che siano cresciute.

E’ bello che io sia una parte e non la metà di tutto.

Il mestiere di padre è essere una frazione il cui divisore cresce in misura esponenziale.

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