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Dopo il funerale

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
02/01/2023

Dopo il funerale, ho continuato a masticare un pensiero e due immagini.

La prima immagine è l’ultima che ho di te: quasi nascosto in un angolo del sagrato, vestito poveramente come poveramente vestivi quando non indossavi il saio, che osservavi la vita di via Cesare Battisti fluire. Così vicina e così lontana.

Allora ho pensato che tu eri solo, solo con le tue delusioni, solo con la tua croce che vedevo fatta di delusioni. Mi ha fatto pena saperti solo in quel convento che amavi senza esserne ricambiato.

La seconda immagine è il tuo funerale, di lunedì mattina, il 2 gennaio, e la Basilica era piena, piena per tutte le due ore di celebrazione.

Non eri solo, Lamberto, quel giorno all’angolo del sagrato, dove il sagrato della Basilica fa un ansa: dentro di te c’erano tutte le persone che ho rivisto al tuo funerale.

Spinte a salutarti dal ricordo della tua santità.

Perché, in fondo, se Dio si è fatto carne, lo ha fatto per provare tutto ciò che prova la carne, per essere umano sino al punto di poter essere tentato da Satana.

Tu questo lo sapevi e sapevi anche che la carne era la via per la santità.

Non la disprezzavi, né in te, né in tutti coloro che a te si sono affidati dopo essere caduti e che tu hai sempre aiutato a rialzarsi con pazienza di monaco e impaziente umanità di carne.

Lamberto (La vocazione alla delusione)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
31/12/2022

Lamberto è stato un frate dell’Ordine dei Servi di Maria.

Per chi lo ha conosciuto davvero, ma non per i suoi confratelli, Lamberto è stato un santo.

Lamberto era ambizioso e aveva sete di Dio.

Pregava incessantemente e il breviario sembrava vivo fra le sue mani.

Fumava come fuma chi ha paura di vivere troppo a lungo, chi si rifugia nel suo veleno perché la vita è un veleno d’altri.

Era intelligente e conosceva il Dio dei padri della Chiesa.

Era sapiente e sapeva che amare Dio significa celebrarlo.

Era innamorato della settimana di Pasqua e la crudeltà di Dio lo ha rapito per Natale.

Perché il Dio di Lamberto era crudele, lo amava con la malignità di chi ogni giorno trovava un modo per rinfacciargli la sua purezza e il suo amore per le Scritture, per la Liturgia, per la Teologia, tutte parole con con Lamberto avevano l’iniziale maiuscola.

Lui perdonava sempre, ma era Lamberto e il suo perdono era amaro: si confessava dal confratello che lo aveva offeso, si pentiva di pensare quello che pensava di lui e lo faceva nel segreto della confessione, senza che il suo confratello potesse rispondere. E pregava per i suoi confratelli, si alzava molto prima dell’alba per pregare per loro. Dicendoglielo, ogni giorno.

Sono cose che dei frati non perdonano. La santità non si perdona.

Non è mai cambiato niente.

Ha sempre continuato a vedere tradita la sua fede da quei fratelli che lo prendevano in giro per i suoi digiuni. Infiniti, logoranti.

Così è morto.

Da solo, nel suo letto di frate, dopo avere fumato un’ultima sigaretta e il suo corpo è povero, piccolo, striminzito nella bara in cui lo hanno calcato dopo una messa piena della crudeltà che Santa Madre Chiesa insegna ai suoi figli quando li alleva in seminario. Non ci sono più quegli occhi acuti e dolci, sono chiusi per sempre nella contemplazione del Padre che ha amato con tutto se stesso. Una mano non so quanto pietosa deve avere svuotato la sua cella e ritrovato una fotografia che lo aveva sempre accompagnato, che teneva sempre dove la potesse guardare. La foto di un giovane frate sorridente dell’entusiasmo di uno sposo abbracciato a due genitori un po’ perplessi che, forse, avrebbero voluto vedere i loro sacrifici – era il primo della sua stirpe che aveva studiato e i suoi studi erano costati molto al sudore di suo padre e di sua madre – ricompensati altrimenti.

Tutti abbiamo visto quel sorriso e quando quel sorriso ha iniziato a spengersi, in molti ci siamo allontanati da Lamberto.

Perché la vera delusione di Lamberto, sono sicuro, non erano i suoi confratelli.

La sua vera delusione siamo stati noi, noi che siamo cresciuti nella sua parola, che abbiamo imparato a credere nelle vite dei padri del deserto, a leggere con i loro occhi attraverso i suoi, che abbiamo imparato la ricchezza della Parola e la complessità della Liturgia, noi che poi siamo diventati libertini, laici e senza Dio, che abbiamo imparato a considerarlo una parte della nostra adolescenza, un po’ come una ragazzina che si ricorda con nostalgia ma anche con un certo imbarazzo perché siamo cresciuti e i grandi non scrivono più le poesie di amore che le avevamo dedicato, che lo vedevamo appena fuori dal suo convento, appoggiato a una balaustra che osservava i passanti con gli occhi di un padre del deserto che improvvisamente si ritrova in piazza SS. Annunziata all’ora in cui i ragazzi corrono per non fare tardi a scuola.

Questo pensavo mentre oggi gli presentavo le mie figlie, che molti anni fa ha battezzato, e pensavo che le stavo presentando a un Santo e che avrei voluto che Lamberto, vivo come mai lo avevo sentito vivo, vivo perché finalmente alla destra del Padre, ricompensato delle sue preghiere alla presenza viva del Creatore, rapito nella Liturgia che i Santi cantano a Dio in Sua presenza, si prenda cura di loro e coltivi la loro anima sino a che, vecchie, assai più vecchie di lui che è morto giovane, non lo potranno conoscere.

E’ stato difficile amarlo, ma ancora di più sarebbe dimenticarlo.

Nel mio tempo che non è più il tuo e non lo è mai stato (l’Orfeo del Joyce)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/12/2022

Euridice è morta, morta per sempre, morta per un giorno, morta come chi non è mai nato

Euridice vive del mito e il suo mito è il fumo sapido di birra scura irlandese di Joyce

Joyce ha creato Orfeo mostrandogli Euridice

Lo ha creato perché prima di Euridice Orfeo non esisteva, non aveva parole, non sapeva neppure leggere

Orfeo è nato innamorandosi di Euridice, scoprendo dentro i suoi occhi le parole che non sapeva di conoscere

E’ stato felice Orfeo delle parole che Joyce, una pinta dietro l’altra, distillava da Euridice

Ferite che aprivano l’anima di Orfeo

Ma Joyce è fallimento di spiriti, insaziabile più di un vampiro dei fumetti, fallimento che uccide

Euridice è morta per caso, uccisa da un serpente mentre fuggiva da un pastore avido di piacere?

Euridice è morta davvero mentre si lasciava trafiggere dal serpente di un pastore avido di piacere?

Orfeo non lo sa

Sa che Euridice è morta ogni volta che si è lasciata trafiggere da serpenti avidi di piacere, è morta per lui

Lui che aveva creduto a Joyce, a chi lo aveva plasmato con parole di pinta facendogli credere di avere trovato parole dell’anima

Non aveva trovato niente e ha guardato la morte di Euridice, disperato, senza più speranze

L’ha guardata morta, illudendosi che fosse morta, scendendo nell’Ade per chiedere la restituzione della sua vita, perduta senza nessuna colpa, come se esistesse chi è responsabile del proprio suicidio

Ma Euridice era viva, perfettamente viva, lo sapeva bene chi aveva imparato a trafiggerla: Euridice non esiste per te, esiste per sé, esiste solo nel suo tempo e tu esisti nel tempo che Euridice ti dona, non guardare Euridice nel tempo che non ti appartiene, non guardarla perché muore, bevi il tempo che Euridice ti dona, non altro, accontentati e lei sarà felice e tu sarai felice

Il segreto del pastore avido di piacere, il segreto del serpente sazio: non c’è bisogno di vecchiaia per la saggezza

Joyce, il fallito dio dell’Ade, ha accolto Orfeo in mezzo alle rovine di vite decomposte, in mezzo alla sozzeria che resta quando il corpo smette di cagare, lo ha guardato con malvagia ironia, con la crudele pietà della pigrizia e gli ha restituito Euridice avvertendolo di non guardarla, di suonare le parole che lei gli aveva donato ma di non guardarla perché sarebbe morta di nuovo

Orfeo non ha capito: Euridice può vivere solo se non la guardi nel suo tempo perché il suo tempo non è il tuo tempo perché nel suo tempo che non è il tuo tempo Euridice beve il serpente dei pastori avidi di piacere e nessun Orfeo può sostenere quella vista senza morire

Così Euridice è morta, per sempre, per un giorno, come non fosse nata

Ma non per la rabbia di vederla assetata di pastori, che sarebbe banale e Joyce non è banale, ma perché Orfeo sa che la sua lira non merita di diventare un pastore avido di piacere, non merita di vivere della sfrenata consapevolezza dell’orgia dei serpenti perché accontentarsi del proprio tempo non è solo seguire Euridice nel suo tempo è soprattutto accettare ciò che Euridice è ed Euridice è fame di pastori, pastori avidi di piacere, sazi del proprio tempo e chi è affamato di ciò che è sazio non ha fame della propria fame

Così l’unico che muore, alla fine, è Orfeo, si lascia morire cantando, affamato della propria fame, mentre Euridice danza il ballo della sazietà.

 

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