Il libraio di Antigone
Se Antigone, la dolce e disperata Antigone di Jean Anouilh, avesse avuto un libraio, questo libraio si sarebbe chiamato Glauco.
Anziano, in quella misura indecifrabile che i capelli bianchi e radi donano ad un adolescente.
Gli occhi azzurri.
Miopi, quasi invisibili dietro le pesanti lampade bifocali che usava per occhiali.
Appoggiato al banco di una libreria di quartiere.
Una camel senza filtro accesa, che si consuma nel portacenere a ghigliottina.
Gli scaffali pieni di libri invenduti.
Incapace di organizzare una resa.
Di pensare che una resa di libri non è un arrendersi nel proprio bisogno di far leggere, di far capire, di muovere idee.
Terribile nel suo bisogno di consigliare, di trasmettere le sue idee sulla cultura, il suo asciutto minimalismo.
Mite.
A lungo ho lavorato nella sua libreria.
A lungo mi ha pagato in libri.
Quei libri che la sua libreria non poteva vendere.
Cuore di tenebra, nell’inglese asciutto e bello che il mare dona ad un mozzo polacco.
Le belle immagini, nel francese pulito e fresco di una ragazza per bene.
La ricerca del tempo perduto, nella faticosa lingua degli abissi.
Le lettere di Piero ed Ada Gobetti, con il loro ritmo, dolce e profondo.
Tanti altri, oramai in alto nella mia libreria, spinti dalla marea delle novità, che non mi permetteva mai di comprare perché non avevo finito di leggere altri libri più importanti, e me li narrava, quieto, appena visibile nel fumo azzurro che lo consumava.
E’ morto.
Solo.
Nella sua libreria.
Cadendo nel pozzo dei libri che si apriva nel pavimento e che usava come magazzino.
I libri sono stati svenduti.
E’ restata una trattoria gestita da un calciatore.
Ed il mio ricordo, ogni volta che compro un giallo.