L’anno prossimo, a Gerusalemme
Hashana haba’a b’Yrushalayim (השנה הבאה בירושלים), ovvero L’anno prossimo a Gerusalemme è la promessa che ci si scambia durante la Pasqua ebraica.
E’ una promessa dolce: quest’anno, siamo in esilio ma l’anno prossimo il nostro Dio ci consentirà di essere nuovamente a casa.
E’ anche una promessa intimamente antisionista: Gerusalemme può essere solo un dono di Dio, non la si può conquistare con le armi o con la costruzione degli insediamenti.
Soprattutto, è una promessa sconfitta.
La si pronuncia sapendo benissimo che l’anno prossimo non saremo a Gerusalemme.
Che il giorno in cui saremo a Gerusalemme non appartiene alla nostra vita.
E forse non si spera nemmeno di essere l’anno prossimo a Gerusalemme: l’esilio ha i suoi vantaggi e la nostalgia è uno di questi.
In ogni caso, fa pensare alla quantità di promesse sconfitte che ci si scambiano.
Dalle regate: L’anno prossimo mi iscrivo al campionato invernale, agli amici di infanzia: A settembre, organizziamo una cena con tutti i compagni di classe delle elementari, per finire con il matrimonio, che raramente non si logora.
C’è solo una promessa in cui non si vorrebbe mai essere sconfitti.
Quella che si fa ad un figlio quando lo si vede per la prima volta.
Lì, essere sconfitti sarebbe davvero irrimediabile.