Razzismi a Pontedera
Per un fiorentino di mezza età, è normale ricordare l’invasione dei meridionali.
Quasi con gli occhi del Buzzati della invasione degli orsi in Sicilia.
Ricorda lo stupore dei suoi occhi al suono di un dialetto sconosciuto o delle sue orecchie ad un vestito nero di vedova che pareva primitivo.
A distanza di quaranta anni, non c’è più nessuno stupore: i meridionali sono diventati fiorentini, restano solo dei nomi che possono suonare esotici, un Carmelo al posto di Vanni, o una Addolorata invece dell’onnipresente Silvia di allora. Sarà la stessa cosa con gli extracomunitari di oggi?
A prima vista, le donne imbacuccate nei loro veli non sono così diverse dalle vedove di allora.
Ma forse non è così: c’è nella battuta per cui il razzista non è razzista, ma è il nero ad essere scuro di pelle, un triste fondo di verità.
Il problema è che è l’irriducibile consapevolezza di essere sporchi e diversi a rendere scuri di pelle, il vero colore della pelle di queste persone è la delusione di non avere trovato alcuna salvezza, di avere sprecato la vita due volte, la prima nascendo dove non c’era spazio per te e la seconda arrivando in una terra che è altrettanto dura e straniera.
Sono queste le cose che vengono in mente mentre si legge di una cerimonia in quella periferia di tutto che è Pontedera, una cerimonia in cui le autorità concedevano la cittadinanza ai bambini stranieri nati nella città e che è stata interrotta da alcuni neonazisti.
I cui genitori, magari, si chiamano Assunta o Calogero….