Diverse innocenze: la sostanza di una presunzione
In un processo molto fiorentino, quello che un tempo era considerato uno sceriffo e che poi è quasi scomparso dalla vita politica della città è stato finalmente assolto da una serie di reati che lo collegavano alle interferenze che il gruppo Ligresti avrebbe tentato di esercitare per massimizzare il valore urbanistico di un’area attorno alla quale si è scatenata una lotta fra i Ligresti, che avrebbero voluto realizzare gli edifici da destinare a sede di Regione e Provincia, i Della Valle che avrebbero voluto ottenere la disponibilità dell’area per il nuovo stadio di Firenze, considerato come città dello sport senza pagare il prezzo, Renzi che già allora (ma anche lunedì in consiglio comunale) riteneva 1.4Mln di metri cubi un pochino troppi qualunque fosse la destinazione.
Ovviamente, le sentenze di assoluzione, anche quando sono semplicemente dispositivi, meritano il massimo rispetto.
Resta un minimo di amaro in bocca: davvero, così le cronache giudiziarie dell’epoca, avere la forza di telefonare all’amministratore delegato di uno dei maggiori gruppi finanziari del paese perché l’antenna di casa (della casa della compagna?) non riesciva a prendere telemontecarlo è un comportamento corretto per una persona che deve rappresentare la città?
Forse no. Può essere penalmente irrilevante. Ma resta un fatto singolare, degno di censura. Ferma, assoluta, senza condizioni.
Dall’altra parte, il direttore della comunicazione societaria di Monte dei Paschi si uccide al termine di una giornata di lavoro. Dopo una perquisizione che aveva indagato tutte le sue mail. Dopo una seconda perquisizione in ufficio che seguiva ad altre perquisizioni presso l’abitazione. Viene sottolineato che non aveva ricevuto alcun avviso di garanzia.
Si uccide gettandosi dalla finestra della sua stanza al terzo piano di un antico palazzo senese. Lo fa dando le spalle alla finestra come un direttore di orchestra che abbandona il suo pubblico. Senza scrivere nulla ai propri familiari, ma solo un biglietto accartocciato in un cestino. Tutte circostanze che, onestamente, possono far dubitare del fatto che si sia suicidato per davvero…
I due casi sono molto simili e permettono una passeggiata intorno alla presunzione di innocenza.
Dietro ogni presunzione, vi è una relazione fra un evento ed una verità. La presunzione è un’inclinazione alla certezza , secondo la definizione di Carnelutti, che si ricava da un determinato evento letto alla luce di un canone di giudizio che trova la propria forza nel senso comune.
Dietro alla certezza che un assessore della giunta comunale si sia incontrato con il presidente della provincia per muoverne il consenso verso un intervento edilizio e abbia condiviso le proprie impressioni con il principale interessato all’intervento, cui il medesimo assessore era solito rivolgersi quando aveva bisogno di un antennista, vi è il ragionevole dubbio che questo assessore non fosse l’incarnazione dell’art. 97, Cost., inteso come canone di imparzialità e buon andamento nell’amministrazione.
Dal punto di vista del senso comune, è normale immaginarsi che vi fosse del marcio.
Lo stesso vale per un direttore della comunicazione societaria in una banca ammessa alle quotazioni sul mercato organizzato e gestito da Borsa Italiana: dietro alla certezza che questi era il responsabile di quanto la banca intesa come emittente comunicava a Consob e di quanto la stessa considerata come istituto di credito segnalava a Banca d’Italia e alla circostanza che tali comunicazioni e segnalazioni non corrispondevano al vero, vi è il ragionevole dubbio che il direttore della comunicazione fosse consapevole di quanto stava accadendo.
Anche in questo caso, dal punto di vista del senso comune, non è difficile immaginare che nel dolore che ha spinto al suicidio ci fosse anche la consapevolezza di molti segreti che stentano a trovare la via per essere disvelati e che adesso, con probabile sollievo di molti, non potranno più essere conosciuti.
L’opinione pubblica è abituata a maneggiare le presunzioni: a ritagliare i propri giudizi, la silhoutte morale degli eventi che le sono presentati, sulla base della propria inclinazione alla verità.
La presunzione di innocenza è completamente diversa. Nella sua astrattezza, afferma che non si può mai formulare un giudizio di colpevolezza senza una sentenza passata in giudicato, che l’unica verità in grado di superare l’infantile assenza di qualsiasi riprovevolezza è quella che esce dal processo, da quella macchina il cui esito stonda i quadri e sbianca il negro. Nella sua concretezza, afferma che Berlusconi non può essere considerato responsabile per sfruttamento di minore anche se si sa che una minore frequentava le sue feste eleganti finché Ghedini riesce a ritardare il processo (e magari ad ottenere la prescrizione), che Cioni non ha fatto niente di male a svegliare Ligresti perché non riusciva a vedere la partita se questo per il Tribunale di Firenze non significa nulla, che Rossi non era coinvolto nel concorso che ha generato la nebbia basca sul titolo MPS se sfugge al processo uccidendosi.
Se si guarda alla presunzione di innocenza utilizzando come metro di giudizio la presunzione stessa, ovvero se si considera la presunzione di innocenza alla luce di una massima di esperienza, diventa difficile negare che non può essere vero che solo chi è condannato non è innocente.
E, per questo, forse, il vero processo è nella silhouette di uno scandalo (Ayme), perché le presunzioni sono l’unico modo che abbiamo per intuire una verità meno falsa e la presunzione di innocenza di tutte le presunzioni è la meno vera.
O, semplicemente, non è una presunzione. E’ una norma.