Chi vince, quando vince l’astensionismo?
Ci si chiede da ieri sera, chi vince quando a vincere è l’astensionismo.
Molti dicono che Renzi ha perso.
Molti non perdono occasione per cercare di sostenere che Renzi stia perdendo.
In questo caso, avrebbe perso perché l’Emilia Romagna, regione da sempre rossa come poche altre, ha disertato le urne come mai aveva fatto.
Ad avere memoria, si potrebbe osservare che chi ha perso, chi ha davvero perso in Emilia, è stato chi ha consegnato Bologna a Guazzaloca o Parma ai 5 stelle.
Ma sarebbe scortese: non si dice mai a una donna che porta male i suoi anni.
La verità è che l’astensionismo, lo insegnano le elezioni europee, è un dato costante delle democrazie mature, in cui è fallace il mito kelseniano della democrazia maggioritaria, di una rappresentanza che è democratica perché fondata sulla schiavitù del voto.
Oggi, non si governa con il voto. Si governa con la fiducia, che è molto più intangibile e molto meno distante di un popolo sovrano per pochi istanti allo scadere della legislatura.
Votano in pochi: coloro che sanno di godere del favore del principe e coloro che vogliono destabilizzare il sistema.
Gli altri, la maggioranza silente che sta con il principe, non vota, guarda le urne e si muove dal proprio salotto solo quando pensa che il proprio principe rischi di perdere il consenso della maggioranza.
E’ un modello che suscita interrogativi, ma che non può essere discusso sbrigativamente.
Renzi lo sta interpretando senza subirlo: non cerca il consenso di cooperative rosse che non esistono più, o di un socialcomunismo libertario che ha già subito tre operazioni alla prostata. Cerca la fiducia degli astenuti, una fiducia che può non essere ostentata in elezioni dal risultato scontato ma che non è mancata quando il risultato era molto più combattuto.
Sono tempi di post democrazia e continuare a pensare l’Italia nel prisma del 1946 non aiuta nessuno.