Le lacrime di Giocasta
Giocasta, Caterina Vertova – Valle dei Templi
Edipo ha bevuto, leccato, baciato le lacrime di Giocasta ogni volta che l’ha amata
Nulla conosceva di quegli amplessi se non l’orribile oblio che li accompagnava
Questo ha amato Edipo amando la madre come una vecchia puttana da possedere su un triclinio zoppicante, pensando
Che sarebbe stato dimenticanza, facile perdono, vergogna e orgoglio
Spirito, carne, piacere, dolore
Ma soprattutto orribile oblio
Che sarebbe stato piacere e lacrime a bagnarlo, un pianto di occhi che avevano imparato l’apnea dei sogni perduti nel letto di Creonte
Nelle notti passate ad aspettare un re che solo sapeva chiedere risate di falsa gioia e apparenze d’allegria senza capire di russare accanto a lei che vegliava gli incubi tessuti dalle cicatrici che l’amore disegna
Tatuaggi di lebbra
Era questo il pianto di Giocasta: non ci sono parole che possono scivolare nelle fantasie dei sempre quando l’ipocrisia dei mai è un trucco che si indossa per sopravvivere
Giocasta, al culmine dell’orribile oblio, ha donato i suoi occhi a Edipo, azzurri come la pietra di cui è fatto il cielo, sapevano di pianto e profumavano di grotta
Li ha regalati perché imparasse a vedere come se fosse lei, perché guardasse quello che lei vedeva, per guardare quello che lui vedeva
Edipo ha visto
Ha visto così forte da accecarsi e ha vagato l’infinito deserto del mito continuando a chiedersi se Giocasta gli avesse donato il buio della notte o la luce delle stelle
Non ci sono, però, risposte alle domande intrise della rugiada salata che cade dal cielo orribile dell’oblio
L’amore di chi si abbandona all’amarezza di donarsi per dimenticare
Cancellando – con furia di baccante – ogni ricordo di dolcezza
E’ il dono che lasciano alla notte le stelle quando decidono di fuggire.