Leda e Tindaro
Tindaro era re di Sparta
Leda, sua moglie
Bella, bellissima,
bionda da far innamorare un dio giocoso e imperscrutabile
Tindaro era violento come un re razziatore e contadino.
Sua moglie non era sua moglie, era il trofeo della sua forza,
un trofeo da esibire e umiliare.
Leda si innamorò dei cigni,
della loro eleganza, della loro capacità di nuotare come statue antiche e di volare con l’eleganza di un’aquila,
ma anche della loro fedeltà, della capacità delle femmine di covare le uova e dei maschi di fare la guardia al nido,
Leda pensava questo seduta davanti a un canneto
Ci pensava mentre sapeva che Tindaro stava tornando da una lontana razzia,
coperto di gloria, sangue e fango,
sporco delle donne che aveva posseduto, preda di guerra e umiliazione,
tronfio delle donne che possedeva, preda di guerra e umiliazione,
prezzo pagato con il sangue di amici, fratelli, compagni.
Ci pensava perché sapeva che quella notte Tindaro avrebbe preteso il prezzo del suo trionfo,
le sarebbe salito addosso, avrebbe sudato sino a liberarsi,
umiliandola di dolore e del desiderio di finire presto,
quel desiderio che fa fingere orgasmi profondi e pronunciare parole orribili,
tutto purché sia finito questo peso sulle spalle,
questo odore di altre che la soffocava.
Leda pensava a tutto questo e guardava i bambini giocare pensando che Tindaro era loro padre
con la preoccupata vergogna di una madre che pensa a chi non potranno non somigliare.
Giove sapeva cosa provano le donne quando guardano i cigni e si trasformò in quel sogno di eleganza e fedeltà,
incuneandosi fra le gambe di Leda, riempiendola del piacere di essere proprietà di un animale fedele,
un animale capace di fare la guardia al nido mentre la sua femmina cova le uova.
Non fu così
Giove_cigno scomparve e Tindaro_re_razziatore arrivò,
pretese quello che era suo.
Leda gli dette quello che era suo,
con tutta la disperazione dei falsi orgasmi e delle parole orribili che lo appagavano.
Fu così che nacque Elena, Elena di Troia,
Fu così che Leda diventò Nemesi, la dea della vendetta.
Giove non le aveva dato una figlia, le aveva dato la vergogna di non sapere di chi fosse la figlia,
se del sogno che si era materializzata o del predatore che era tornato.
La vergogna che è vendetta verso un padre che non sa di guardare con orgoglio il frutto di lombi divini perché desiderati assai più dei suoi,
Ma anche verso la madre cui la vendetta è stata donata come una cicatrice che non saprà mai risarcire,
La ferita della vergogna di essere la moglie di Tindaro,
La ferita della vergogna di essere la madre di Elena di Troia,
La ferita della vergogna di essere stata l’amante di un cigno, che era il padre degli dei.
Altre sono le dee fortunate.