Tornerà come prima?
Anziani in fila per il pane. La mascherina calcata sul viso. Occhi soddisfatti: non sono più i soli a essere chiusi in casa. Tutti vivono come loro.
Non c’è festa in chi esce, c’è quella mestizia dell’ora d’aria in carcere, quando il passeggiare è consapevolezza di ciò che è proibito dal peso delle proprie colpe.
La casa è un modo diverso di lavorare, lontano dalle cose e dalle persone, le lezioni sono parole a un monitor e c’è una lentezza terribile in tutto.
Ci si parla a distanza, più di un metro, senza sfiorarsi, senza poter sussurrare e c’è vertigine, attesa, timore, palpabile e pesante.
Molti sono travisati, non mostrano il viso, si nascondono nelle loro mascherine, con la gioia di un carnevale di peste.
Niente tornerà come prima e non riavremo mai più quello che questa peste ci ha portato via mentre ci ammaleremo tutti di quello che ci ha donato: il senso della distanza e del travisamento, il timore di chi abbiamo amato e abbiamo perduto di travisamento e distanza.
Il dono della peste è il vuoto pubblico e sapere che si può vivere nel vuoto è non poterne più fare a meno.
Anche quando il caldo ci avrà restituito le piazze.
Va bene. Va bene così.