Geroglifici e scarpe gialle
Erano parole le scarpe gialle.
Parole che stavano in un bagagliaio.
Ben nascoste.
Più false di una moneta d’argento nella bocca di un poeta ebreo.
Dal loro nascondiglio, permettevano ad altre parole di sgorgare. Parole senza tacchi. Parole innocenti. Parole che parlavano di giardini dai sentieri che si biforcano e di biblioteche senza fine, dai corridoio appena illuminati dalla luce fredda delle miniature.
Ma le scarpe gialle non possono restare nascoste a lungo.
Le scarpe gialle hanno bisogno di tornare ai piedi di chi le sa indossare e la regina delle scarpe gialle le ha messe di nuovo. Non ha neppure aspettato che le sue ferite rimarginassero. Ha cercato il dolore. Suo, di altri. Non importa.
Sono troppo belle le scarpe gialle per lasciarle dentro un bagagliaio e la regina ha ripreso il suo cammino, stretto i cerotti intorno alle dita, ingoiato il dolore e indossato il sorriso con cui Elena osservava Paride e rammentava Menalao.
Ora che le scarpe gialle sono tornate al loro posto, anche le parole sono tornate geroglifici.
Parole scritte per non essere lette. Ma non per essere dimenticate, Come poesie cucite nel cappotto di un poeta ebreo in una fredda anticamera di morte apparecchiata dal montanaro del Cremlino.
Nessun perdono può essere dimenticanza.