Il collare di Bocca di Rosa
Se io sapessi scrivere canzoni, trasformare in musica i miei pensieri e trovare le parole delle note, avrei voluto scrivere una canzone come Bocca di Rosa.
La mia Bocca di Rosa non sarebbe vissuta in un paesino come Sant’Ilario, non avrebbe fatto l’amore per passione, ma per gioco e noia in una città di provincia, senza il profumo del mare o l’ombra puzzolente dei carrugi.
La mia Bocca di Rosa non lo avrebbe chiamato amore e lo avrebbe coltivato con la perfezione dissoluta della sua passione per il gioco, azzardo di sentimenti, gioia di spalle larghe, compianto di miopi.
Avrebbe stupito per la sua incapacità di affezionarsi e per l’assolutezza dei suoi addii, i suoi baci non avrebbero avuto altro prezzo che la distanza: avrebbe baciato con l’apparenza della passione perché solo così si sarebbe sfamata di inestinguibile solitudine.
Avrebbe indossato un collare la mia Bocca di Rosa perché senza si sarebbe sentita nuda e non avrebbe mai detto di chi era il collare che portava al collo: i segreti sarebbero stati vino per il suo piacere e vetriolo per il cuore dei suoi amanti.
Né l’uno, né l’altro sarebbe stato il suo incedere perché tutte le Bocche di Rosa, alla fine, vanno via e quello che lasciano sono cicatrici che deformano i sentimenti.
Per fortuna, non so scrivere canzoni e dove finiscono le mie dita inizia solo una tastiera che indago con sempre maggiore timidezza.