Fuori di gabbia
E’ la stanchezza dell’ora d’aria con cui si incammina nella luce spaesante della libertà
Ha vissuto dentro la propria condanna che sapeva ingiusta
Ci ha vissuto dentro abituandosi a considerarla giusta: non aveva commesso il fatto per cui era stato condannato ma si impara presto dallo stesso odore delle mura e delle lenzuola che nessuno è innocente, che tutte le condanne sono giuste. Mai e sempre
Quella sentenza è stata riformata o, forse, è stato graziato
La notizia lo colpisce come lo aveva colpito la notizia della condanna, aveva imparato ad amare la luce sporca della prigione, la rassicurante assenza di libertà, la quieta serenità di una condanna senza fine
Adesso cammina, sfiorando il calore della libertà sul muro di cinta della prigione, accarezzandola come un bambino che cerca la mano della madre per addormentarsi e per camminare, cammina verso la fermata dell’autobus. Per addormentarsi e camminare
Adesso la sua condanna è riconoscere il colore del Sole, a ogni alba e a ogni tramonto. E qui non c’è grazia