L’uomo delle scale (primo maggio)
Pulisce le scale.
Sempre sorridente.
La maglietta a maniche corte d’estate e inverno.
Non perché ha caldo o freddo ma perché non gli interessa nè l’ uno nè l’altro.
Ogni settimana la solita scena.
Tu arrivi mentre lui dà il cencio, mentre il pavimento è bagnato della sua fatica, entri, ti scusi per le pedate che lasci mentre traguardi l’ascensore.
Lui sorride e dice che non importa, non importa anche se senza le tue pedate il suo lavoro sarebbe finito, l’ultimo lavoro di una giornata iniziata quando tu sei andato a letto.
Ti ci fermi a parlare, senza motivo, ma solo perché il suo sorriso è bello, ha qualcosa che hai perso da tanto tempo. E dici la solita battuta: il suo è un lavoro faticoso e duro. Una battuta adatta a tassisti e pubblici impiegati, la cui scortese frustrazione si compra con uno sputo di ipocrisia e compassione.
No, Signore. Mi risponde e ferisce il mio stupore con la sua saggezza di servo fedele, di cane santo: Tutti i lavori sono importanti allo stesso modo e in tutti i lavori si fatica facendo del proprio meglio. Ciascuno come può. Io con queste mani. Ma anche i miliardari durano fatica, Signore…
E mi colpisce la sua gioiosa umiltà perché è il primo maggio e io piazza del Popolo l’ho trovata per le scale.