Sbarcare il calvario
Sbarca il calvario in una casa che ha il profumo delle ringhiere ingrassate dal sudore di mani pulite con il detersivo e di unghie che non si possono più pulire.
Il profumo del lavoro e delle mani che lavorano.
Dipinge con tanta “materia” e racconta i suoi quadri all’unico che li può capire di turno, che infatti li capisce e li lascia stare dove sono.
Sa parlare, sa mettere le parole in fila come una lunga collana di perle finte e fiori di campo appassiti, quasi non avessero il sapore dei suoi denti guasti e di un soffritto che piange di solitudine in una padella.
Spiega con la stessa allegria del soffritto dell’erba che fuma, come se la cortesia con cui lo si ascolta non fosse l’imbarazzo di questi odori che fanno ricordare tutto quello che secoli di fame della tua razza hanno cercato di scordare, che lui non fuma perché fuma, fuma per l’arte, perché l’arte ha bisogno di fumo e follia.
Concludendo che lui non è mica male, lui alle donne gli disegna anche il pube, mica come i greci che erano tutti finocchi.
I denti sciancati iniziano a ballare di una risata folle e senza ritegno, perché lui è furbo e sa suonare il violino.