Cassandra: la fine del viaggio
Cassandra guarda il mare e, finalmente, non vede niente
Non vede più Apollo che le sputa sulle labbra perché lei, bambina, non avrebbe voluto vedere il futuro
Non pensa più che sia un dono maledetto vedere ciò che accadrà ed essere condannata a non venire creduta perché altrimenti il futuro non potrebbe più essere
Non vede più un cavallo cavo che rimbomba di armi e scudi e un popolo in festa che lo accompagna ebbro di rovina
Non pensa più che quel cavallo portava eroi e criminali, assassini intelligenti e vanaglorie d’imprese sanguinarie
Non vede più il tempio di Pallade Atena, il suo stupro, lo sguardo della dea che si distoglie dal sacrilegio, il piccolo Aiace che la penetra con l’ansia di chi violenta un sogno, di chi ha conquistato il diritto di violentare un sogno
Non pensa più che Aiace Oileo, di lì a poco, sarebbe naufragato con la sua nave, che gli dei gli avrebbero graziato la vita, solo per guardarlo aggrappato a uno scoglio gridare che neppure il mare era capace di rubargli la vita e, in quel momento, lasciare a un mostro marino il compito di divorarlo.
Perché questo aveva fatto paura a Cassandra, dal primo momento.
Non la preveggenza.
Non il feticcio cavo a forma di cavallo escogitato con astuzia d’Ulisse.
Non l’orgia di saccheggio che avrebbe ucciso tutti coloro che aveva amato e con cui desiderava vivere e nemmeno lo stupro sull’altare di una dea che tutto questo aveva consentito.
Ma sapere che penetrarla sarebbe stato tutt’uno con l’essere divorati da un mostro.