L’ombra della cortigiana
La cortigiana conosce le ombre e sa essere bella nell’ombra.
Lo sa perché sa come si vive nell’ombra.
L’ombra è un vino che separa la luce dal sogno e lei sa essere sogno quando non c’è luce ad illuminare la realtà.
Lo sa e lo odia.
Odia se stessa.
Odia l’ombra perché odia i sogni che scompaiono alla luce.
Odia la luce perché odia i sogni che non sono fatti di ombra, perché invade l’ombra distruggendo i sogni.
Pensa anche a questo la cortigiana mentre riprende il suo cammino. Non basta l’esperienza a dimenticare tutte le ombre in cui si è vissuti e a desiderarne una nuova capace di dimenticare ancora.
L’ombra è un vino che divora l’anima, che abitua a dimenticare, a vomitare tutto ciò che si è inghiottito solo per tornare a inghiottire, è il vino del barbone: una coperta di sogni che separa la mente dalla coperta di vomito e piscio in cui muore assiderato dall’indifferenza della luce.
Ogni volta che la cortigiana riprende il cammino, che ritrova la perfezione dei propri riccioli, l’arroganza intangibile dei suoi seni, la sottile timidezza delle sue caviglie e pensa alle ombre cui di nuovo si offrirà, sentendosi libera di ogni catena e sogno, vede l’illusione di un mondo senza ombre, l’unico nel quale potrebbe davvero vivere e uno dei tanti da cui è stata di nuovo vomitata.
In quei momenti, i suoi occhi vedono la Provenza di Cezanne ma, come Cezanne, Gauguin, o Utrillo, sa che il suo mondo non è quello. E’ la notte di Montparnasse impastata da un tubetto di colore spremuto da Soutine con gli inganni delle nebbie di Montmartre.
E scompare negli abissi di tutte le ombre che altri ha vomitato nella generosa avidità del suo animo.