Freddy: come barbari che sacrificano il primogenito
Freddy è una ragazza ferma sulla panca gelida del corridoio di attesa.
Freddy è con suo padre e suo padre indossa gli scarponi da muratore e le mani che conoscono il freddo della calce.
Ha la pulizia e l’odore di sapone di chi è abituato a lavorare con le mani.
Freddy ha le unghie colorate di nero e un cellulare con la custodia di Hello Kitty.
Ha i capelli lunghi, biondi e il viso sembra dolcissimo dietro la mascherina.
Freddy indossa lunghi pantaloni neri, svasati. Calzini da tennis bianchi, scarpe da ginnastica.
Il padre si china. Vede un filo di lana sui calzini. Si china e lo toglie. Con tutta la dolcezza di cui è capace.
Alza leggermente i pantaloni e si intravedono delle calze nere.
Li riabbassa con una carezza.
Perché Freddy si chiama Fernando. Non è una ragazza anche se si tinge le unghie e porta le calze e si è ammalato di anoressia.
Non riesco a non pensare che dai figli si sopporta tutto e ad avvertire tutto il mio fastidio per questo pensiero.
Dai figli non si deve sopportare niente perché se si sopporta significa che i figli quando sono quello che sono non sono quello che desideriamo che siano.
Ma un padre non ha il diritto di sperare che suo figlio sia qualcosa piuttosto che qualcuno, sia in un modo piuttosto che in un altro.
Ha il dovere di amare quello che è, nella sua nuda essenza di essere umano.
Di alzare, senza volere, un velo e riabbassarlo.
Baciandolo come quando si dà la buonanotte a un figlio appena nato e non si capisce che si sta baciando la propria speranza.
Come barbari che promettono il sacrificio del primogenito.