Lamberto (La vocazione alla delusione)
Lamberto è stato un frate dell’Ordine dei Servi di Maria.
Per chi lo ha conosciuto davvero, ma non per i suoi confratelli, Lamberto è stato un santo.
Lamberto era ambizioso e aveva sete di Dio.
Pregava incessantemente e il breviario sembrava vivo fra le sue mani.
Fumava come fuma chi ha paura di vivere troppo a lungo, chi si rifugia nel suo veleno perché la vita è un veleno d’altri.
Era intelligente e conosceva il Dio dei padri della Chiesa.
Era sapiente e sapeva che amare Dio significa celebrarlo.
Era innamorato della settimana di Pasqua e la crudeltà di Dio lo ha rapito per Natale.
Perché il Dio di Lamberto era crudele, lo amava con la malignità di chi ogni giorno trovava un modo per rinfacciargli la sua purezza e il suo amore per le Scritture, per la Liturgia, per la Teologia, tutte parole con con Lamberto avevano l’iniziale maiuscola.
Lui perdonava sempre, ma era Lamberto e il suo perdono era amaro: si confessava dal confratello che lo aveva offeso, si pentiva di pensare quello che pensava di lui e lo faceva nel segreto della confessione, senza che il suo confratello potesse rispondere. E pregava per i suoi confratelli, si alzava molto prima dell’alba per pregare per loro. Dicendoglielo, ogni giorno.
Sono cose che dei frati non perdonano. La santità non si perdona.
Non è mai cambiato niente.
Ha sempre continuato a vedere tradita la sua fede da quei fratelli che lo prendevano in giro per i suoi digiuni. Infiniti, logoranti.
Così è morto.
Da solo, nel suo letto di frate, dopo avere fumato un’ultima sigaretta e il suo corpo è povero, piccolo, striminzito nella bara in cui lo hanno calcato dopo una messa piena della crudeltà che Santa Madre Chiesa insegna ai suoi figli quando li alleva in seminario. Non ci sono più quegli occhi acuti e dolci, sono chiusi per sempre nella contemplazione del Padre che ha amato con tutto se stesso. Una mano non so quanto pietosa deve avere svuotato la sua cella e ritrovato una fotografia che lo aveva sempre accompagnato, che teneva sempre dove la potesse guardare. La foto di un giovane frate sorridente dell’entusiasmo di uno sposo abbracciato a due genitori un po’ perplessi che, forse, avrebbero voluto vedere i loro sacrifici – era il primo della sua stirpe che aveva studiato e i suoi studi erano costati molto al sudore di suo padre e di sua madre – ricompensati altrimenti.
Tutti abbiamo visto quel sorriso e quando quel sorriso ha iniziato a spengersi, in molti ci siamo allontanati da Lamberto.
Perché la vera delusione di Lamberto, sono sicuro, non erano i suoi confratelli.
La sua vera delusione siamo stati noi, noi che siamo cresciuti nella sua parola, che abbiamo imparato a credere nelle vite dei padri del deserto, a leggere con i loro occhi attraverso i suoi, che abbiamo imparato la ricchezza della Parola e la complessità della Liturgia, noi che poi siamo diventati libertini, laici e senza Dio, che abbiamo imparato a considerarlo una parte della nostra adolescenza, un po’ come una ragazzina che si ricorda con nostalgia ma anche con un certo imbarazzo perché siamo cresciuti e i grandi non scrivono più le poesie di amore che le avevamo dedicato, che lo vedevamo appena fuori dal suo convento, appoggiato a una balaustra che osservava i passanti con gli occhi di un padre del deserto che improvvisamente si ritrova in piazza SS. Annunziata all’ora in cui i ragazzi corrono per non fare tardi a scuola.
Questo pensavo mentre oggi gli presentavo le mie figlie, che molti anni fa ha battezzato, e pensavo che le stavo presentando a un Santo e che avrei voluto che Lamberto, vivo come mai lo avevo sentito vivo, vivo perché finalmente alla destra del Padre, ricompensato delle sue preghiere alla presenza viva del Creatore, rapito nella Liturgia che i Santi cantano a Dio in Sua presenza, si prenda cura di loro e coltivi la loro anima sino a che, vecchie, assai più vecchie di lui che è morto giovane, non lo potranno conoscere.
E’ stato difficile amarlo, ma ancora di più sarebbe dimenticarlo.