16/01/2008
Guido Calabresi introduce ai suoi studenti il mistero della responsabilità civile (quali sono i criteri che guidano il risarcimento del danno) con una fiaba: se improvvisamente apparisse uno spirito maligno e vi chiedesse chi è disposto a sacrificare diecimila giovani vite ogni anno in cambio di un dono per l’intera umanità, chi accetterebbe questo dono?
Pare che nessuno degli studenti di Calabresi sia disposto ad accettare il dono dello spirito maligno.
Eppure è quello che facciamo ogni giorno salendo in macchina: accettiamo il rischio di uccidere o di essere uccisi per una comodità che assomiglia molto al dono di un dio malvagio.
Ratan Tata ha il volto del dio malvagio di Calabresi. Eccolo:
Prima di tutto, la sua macchina, una concept car, carina, terzomondisticamente desiderabile, come il computer portatile di Negroponte o la radio a manovella dell’Unicef, costa centomila rupie che non arrivano a contare duemila euro, e può essere acquistata da molte persone che prima dovevano accontentarsi di una macchina usata.
In questo modo, Ratan Tata diffonde il dono della macchina dove prima erano solo motorini.
O meglio: diffonde il dono della macchina nuova dove prima erano solo macchine usate.
Non solo.
Per poter fare questo dono, Ratan Tata ha industrializzato una parte importante del Bengala: la sua macchina può essere un dono perché il lavoro necessario a confezionarla costa poco. Secondo gli slogan dei suoi avversari, la Tata Nana è una macchina carrozzata con il sangue degli operai.
Forse, tutto questo non è vero.
Forse, Tata merita di essere considerato un magnate buono.
In ogni caso, criticare il consumismo degli indiani dal nostro punto di vista è ipocrita: le nostre biciclette sono una scelta in alluminio iperleggero, le loro hanno la pesantezza di quelle dei nostri nonni, per i quali la seicento fu una liberazione assai più piacevole delle lotte partigiane.