Il fondo del convegnista
Oggi ha davvero toccato il fondo.
Prima di partire per il convegno, mi ha portato la marmellata fatta dalla mamma.
Ed è riuscito a lasciarmi senza parole.
Lo fa apposta.
Oggi ha davvero toccato il fondo.
Prima di partire per il convegno, mi ha portato la marmellata fatta dalla mamma.
Ed è riuscito a lasciarmi senza parole.
Lo fa apposta.
Di tutti coloro che frequentano l’accademia, il convegnista è uno degli oggetti più abietti.
Lo si riconosce immediatamente.
Alto, anziano per il suo ruolo di giovane, deferente ed intellettualmente decotto.
E’ un esperto di rinfreschi: conosce l’esatto ritmo delle pause ed è sempre in prima posizione al banco del caffé.
Non c’è accozzo di camerieri talmente male organizzato da non consentirgli di afferrare il primo boccone o il piatto di pasta più abbondante.
Ne conosco uno.
Una cozza.
Mi si è appiccicato addosso, mitile costituzionale, dai tempi della tesi.
Non riesco a staccarlo.
Nemmeno con il coltello da ostriche.
Arriva con un sorriso assolutamente ebete.
Bussa.
Non rispondo (conosco bene il suo passo).
Entra lo stesso.
Sollevo a malapena lo sguardo dai miei fogli e grugnisco un buongiorno che farebbe passare la voglia di scopare a un divo del porno.
Mi pone sempre i soliti quesiti giuridici.
Inutili.
Mi sottopone le sue tesi.
Barocche.
Gli indico i libri che dovrebbe leggere, gli autori che hanno già scritto quello che lui dice.
E lui mi chiede, essere perfido e ignobile: "Allora, professore, che dice? Li devo leggere?"
Mi trattengo a stento dal tirargli dietro il commentario della Costituzione: "Certo, imbecille, prima di pensare, devi studiare, studiare, studiare, capito?!?!"
Ma poi torna. Sempre.
Per fortuna, stasera parte per il convegno annuale della associazione dei costituzionalisti, che anche quest’anno ho deciso di saltare.
Non sopporto vedere i denari investiti per la ricerca dissipati in un basso impero di pasta e pastiere.
Il sole di Capbreton.
Scalda anche questa pioggia fitta e nervosa, che lascia i bambini a casa, avvolti nell’inverno della loro prima influenza.
La regione toscana, credo con deliberazione di Giunta, ma non escludo né la deliberazione di Consiglio né la determina dirigenziale, ha risolto un dilemma atavico, decidendo che si nasce omosessuali.
Dal punto di vista costituzionale, forse lo strumento più idoneo avrebbe dovuto essere la legge, intesa come supremo atto di sintesi politica.
In ogni caso, la notizia ha destato un certo stupore ed è apparsa su tutti i giornali, alla pari dell’ordinanza sui lavavetri del sindaco Domenici, digitalmente sottoscritta dall’assessore Cioni.
Il tutto è stato trasferito in una campagna pubblicitaria, dove un paffuto neonato ha sul braccialetto ospedaliero la scritta ‘homosexuel’, invece del nome della madre .
In Toscana, gli omosessuali sono chiamati con molti nomi e difficilmente sono usati francesismi ma forse si vuol lasciare intendere che i francesi sono tutti omosessuali, travestendo un approccio creazionista come una gaffe razziale.
Temo la reazione di quel maschione di Sarkozy: non vorrei che alla prima occasione abbracciasse more ferarum il presidente della Giunta regionale.
Lo conosco fin da piccolo.
Quando gli altri bambini giocavano a pallone, lui faceva collezione di gomme da cancellare profumate con le sorelle più grandi.
Una famiglia strana, soffocata da un padre molto di successo, affascinante, non particolarmente votato alla fedeltà coniugale.
La madre, triste: una bella donna invecchiata anzitempo dai tre figli, acida.
Lui quasi invisibile nell’assenza del padre, nella disperazione isterica della madre, nella graziosa vacuità delle sorelle.
Mi è cresciuto accanto.
Quando è diventato grande, ha cominciato a parere un pò troppo effeminato.
Delicatamente bello, quasi efebico, un modo cortese di porgere le cose nel conversare.
Sensibile, a tratti eccessivamente sentimentale, ma sempre intelligente.
Veniva spesso a casa mia, finché una volta si sentì in dovere di confessare al mio imbarazzo il suo innamoramento.
Non ci siamo quasi più visti.
Oggi era seduto su una panchina, nelle prime ore del mattino, il viso orrendamente truccato, l’aria disfatta di una notte malvissuta.
Mi sono fermato a salutarlo.
A salutare il suo stupore: non pensava che mi sarei fermato.
E mi sono ricordato di avergli voluto bene.
Di volergli ancora bene.
Assorbendo una volta di più tutta la sua sofferenza di bambino invisibile.
Solito finire di serata in salotto borghesuccio.
Solito televisore acceso e solite divagazioni telecomandate.
Il venti pollici con tubo catodico decide di soffermarsi su sei disgraziati, messi in ordine di altezza, con un tavolinetto davanti, che sono chiamati a spiegare il significato di alcune parole desuete al loro parlare quotidiano.
I disgraziati sono stati armati di bigné e prenotano la risposta schiacciandosi un bigné sul capo.
La scena è agghiacciante: nessuno conosce il significato di "ovile" (quella robbbba dei maiali) o "sostentamento".
Vince quello che sapeva "rotula".
Soprattutto, mi è impossibile che cosa convinca un tizio con i capelli lunghi e ricci, i denti radi, l’espressione non brillante a farsi prendere per il naso in quella maniera atroce.
E se lui è disposto a fare la figura del completo idiota non capisco quelli che gliela fanno fare.
In particolare, se notoriamente le agenzie pubblicitarie schifano il porno, come fanno a non schifare queste trasmissioni?
In ogni caso, devo ammettere che mi ha fatto riflettere: di fronte a sei disgraziati con la testa piena di bigné, che sorridono tutti soddisfatti della loro aria idiota (troppo idiota per essere vera), le risse parlamentari diventano molto più comprensibili.
Sono il tenue eco di questa rappresentanza: una perfetta rappresentazione del popolo itaglieno.
Oggi, a Capbreton, c’è il sole.
Ed è il sole dell’Aquitania.
Un sole preoccupato, fatto di brume.
Ma dolce.
Ed assennato.
Come è un sole che conosce la nebbia e la forza delle maree.
Esiste accanto all’Abbazia di San Galgano, l’eremo di Montesiepi.
La leggenda narra di questo giovane guerriero, stanco dell’adrenalina delle sue battaglie, che pianta la spada in un masso, lo trasforma in un altare e lì lascia che il resto della sua vita scorra in preghiera e contemplazione.
Di fatto, gli è una cappella circolare, cui si arriva dopo aver superato una baracca intestata "boccon divino" (che è un nome agghiacciante per un ristorante, come Fido lo è per un cane, o Vittorio Emanuele per un Savoia) in cui fanno merende per gitanti agée.
La spada di San Galgano è conficcata nel plexigas, al centro della cappella, in modo da valorizzarne le potenzialità artistiche con una luce che vorrebbe sembrare rubata dalla chimica all’alabastro; il plexigas è chiuso da un lucchetto: i senesi sono persone prudenti, con tutti gli inglesi che passano dal Chiantishire, potrebbe sempre arrivarre il giovane Merlino, prendere la spada e lasciare il negozietto di souvenir senza clienti per il resto dell’eternità.
Montesiepi, però, è anche un luogo di attenta consapevolezza ecologica: se si prende una candela, per far finta di essere pellegrini e di voler guadagnare una indulgenza, ci si accorge che questo moccolo è già stato acceso da entrambi i lati, Dio solo sa quante volte.
Naturalmente, lo si prende lo stesso, ma con un certo disagio, come se si stesso comprando una indulgenza usata da un assassino.
Può capitare di organizzare la propria luna di miele.
Può anche darsi che chi la organizza abbia fatto indigestione di laguna blu da piccolo.
E che cerchi uno spazio di quel genere: magari un cottage sul mare, in una isola del sud, con la piscina privata, etc.
Può anche arrivare al punto di ricordarsi di avere letto D’Annunzio e chieda che il letto sia artisticamente disfatto, ricoperto di petali profumati.
Poi, può anche darsi che arrivi, trovi il cottage in forma di baracca, con le pareti affrescate di insetti colpiti dai precedenti ospiti; le ciabatte dell’albergo usate e con l’impronta dei ditoni di chi lo ha preceduto; un pò di ometti variamente gialli ed incomprensibili che sanno dire solo "sorry" e non capiscono un fico, ma sorridono sempre.
Magari, può anche arrivare a cena e scoprire che non gli piace nulla e che nel consommé vagano dei capelli neri e riccioluti, senza riuscire ad aggiungere nulla alla sua assoluta assenza di sapori, o meglio senza turbare la perfetta armonia dell’acqua riscaldata.
Potrebbe anche decidere di accompagnare la propria sposa ad una gita nel villaggio vicino ed essere dimenticato lì dall’autista, riuscendo a tornare nel cottage solo alle prime ore del mattino, grazie alla pietà di un pizzaiolo belga.
Se poi questi dolci sposini, sempre meno dolci e sempre più sull’orlo della separazione, si ricordano che il complesso alberghiero si chiama Sukko SPA, allora possono capire tutto.
Ma chi diavolo fissa la Sukko SPA per il proprio viaggio di nozze?
Chi è che ha sciolto il goliardico merciaio che ha venduto i collant a righe orizzontali a quella scatola di donna che mi sono trovato davanti in un ascensore?
Chi le ha consigliato di imballare i propri cotechini in una rete da salame?
Chi è stato così attentamente crudele?
Anche i venditori di biancheria, talvolta, dovrebbero praticare l’obiezione di coscienza.