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Un amico

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
01/10/2007

Lo conosco da molto tempo.
Ma non siamo amici.
E’ una delle persone delle quali si può dire: come mai ci conosciamo da così tanto tempo e non siamo amici?
Di solito c’è sempre una risposta.
Ed è una risposta corretta.
Dura ma corretta.
Ho avuto bisogno di parlargli.
Questioni professionali.
Un concorso.
Ho chiesto come stava.
Solito inizio di cortesia.
Mi ha risposto che stava male.
Mi ha colpito: io dico sempre che sto benissimo.
La verità, se non sto bene, è solo per gli amici.
Sono stato a costretto a chiedergli perché e se potevo essergli utile.
Mi ha allagato di parole.
La fidanzata – ha sessanta anni, ma chiama la compagna fidanzata – lo ha lasciato.
Da un giorno all’altro.
Gli ha inviato una mail dicendo che fra loro era tutto finito.
Non riusciva più a stare con lui.
Era indignato: dopo sette anni, non si può essere lasciati da un messaggio di posta elettronica.
Mi è venuto da rispondere che soprattutto era strano essere lasciati da un messaggio di posta elettronica a sessanta anni.
Ma sono stato educatamente zitto.
Mi ha detto di essere disperato.
Sai, mi dice, una donna alla mia età è importante. Ci si abitua. Ci si sforza di ricostruire una rete di affetti, quando tutto il resto è fallito.
Soprattutto, continua, adesso non ho più voglia di fare nulla. Prima mi piaceva uscire con le mie amiche, sapere che lei mi aspettava lo rendeva divertente. Adesso sono solo un termosifone caldo nel quale infilarmi. E non mi piace nemmeno più.
Ho manifestato tutta la mia comprensione.
Ho detto che lo capivo: non si può tradire senza amare, etc.
Ma ho capito la sua fidanzata.
Aveva assolutamente ragione.
Un messaggio di posta elettronica era più che sufficiente.

Girolimoni

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
29/09/2007

Non so quasi nulla di Girolimoni.
Solo una immagine rubata ad un film.
Un uomo su una carrozza in mezzo alla folla che urla e beve da un fiasco di acido muriatico.
Credo fosse un poveretto – un oste, un carrettiere, un emarginato? – che si trovò ad essere prima accusato ingiustamente di un delitto vergognoso eppoi scarcerato.
Ho negli occhi un uomo che dopo avere visto che cosa i suoi simili – il mare di patate animate descritto da Palazzeschi nel processo all’omino di fumo – potevano diventare si rifiuta di vivere.
Mi è rimasta l’ammirazione per la magistratura: chi accetta il peso di sorreggere una accusa che si può rivelare ingiusta, di esprimere una condanna che può essere sbagliata, merita la mia massima considerazione.
Non riuscirei mai a sostenere il peso del giudicare. Fatico a fare gli esami, figurarsi se riuscirei a decidere della libertà di un uomo.
Girolimoni mi è tornato in mente non solo perché uno dei miei migliori amici mi chiama sempre così quando guardo una ragazza più giovane dei miei quaranta anni.
Non solo perché provo nostalgia per questo mio amico e per tutta la nostra adolescenza consumata ad interrogarci sul perché le ragazze della nostra età considerassero solo i ragazzi più grandi di noi, mentre a noi le bambine non piacevano.
Ma per una conversazione rubata su un treno.
Lui, un magistrato di provincia, molto stimato: Non sai cosa mi è capitato.
L’amico: Cosa ti è successo?
Il giudice: una donna, disperata, si è rivolta ai carabinieri: il padre, anziano, molestava le figlie minorenni
L’amico: Accidenti!!
Il giudice: una situazione di povertà, emarginazione ai limiti dell’assurdo: cinque persone in due stanze. Un casermone popolare. Promiscuità. Sporco. Un vecchio davvero laido. Le bambine dormivano con lui …
L’amico: Che hai fatto?
Il giudice: Ho emesso una ordinanza con cui gli ho proibito di dimorare nel comune di residenza.
L’amico: Bravo
Il giudice: Dopo qualche giorno, si era subito prima della mia partenza per le vacanze, mi si è presentata la figlia. In lacrime. Non era vero nulla. Si era soltanto stufata del vecchio. Non lo voleva più in casa. Ma ora non sopportava il peso di averlo mandato via. Delle chiacchere dei vicini. Della sua disperazione. Del suo vagabondare, senza fissa dimora
L’amico: Bel tipino
Il giudice: Ho subito revocato l’ordinanza. Per fortuna
L’amico: Per fortuna?
Il giudice: Si, per fortuna: il vecchio si è ammazzato il giorno dopo, appena tornato a casa. Si è impiccato. Sai che casino se si ammazzava mentre era sottoposto alla mia ordinanza.
Mi sono alzato.
E Girolimoni ha cominciato a tornarmi in mente.
Con assiduità.

Una donna

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
27/09/2007

Estate.
Capalbio.
Classica estate di Capalbio.
Le solite persone.
I soliti poderi.
Le solite spiaggie.
Una cena.
Tutti si conoscono.
Lui e lei non si conoscono.
Sono stupiti di non conoscersi.
Una conversazione cortese e lenta.
Il giardino per guardare le stelle, annusando la notte.
Lei è affascinante.
Occhi grigi, capelli neri.
Esile, quasi efebica.
La solitudine del giardino diventa imbarazzante, lei chiede di essere accompagnata a casa.
Lui la accompagna.
Un vecchio podere, il camino mai acceso, dei divani, una poltrona.
Odore di vacanze.
Di polvere e vacanze.
Lui si siede.
Lei si spoglia.
Lentamente.
Inizia a toccarsi.
Spiega che preferisce così, che si eccita solo toccandosi, che adora toccarsi mentre viene guardata.
Lui è perplesso.
Abituato a vedere senza guardare, si sforza di guardare.
Una volta, due volte, poi ancora.
Ma è stanco.
E si addormenta.

Il prof. Aurelio Scaccabarozzi

6 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
25/09/2007

Per lunghi anni, sono stato l’assistente del prof. Aurelio Scaccabarozzi.
Uomo apparentemente mite e, soprattutto, gaffeur inimitabile.
Ricordo un esame.
Gli esami si svolgevano secondo una liturgia consolidata.
Gli assistenti, fra cui io, facevano le prime due domande.
Il prof. Scaccabarozzi, l’ultima.
La prima parte dell’esame terminava con un biglietto che lo raccontava al professore.
L’esame che racconto aveva per protagonista una perfetta capra.
Non aveva studiato nulla.
Non capiva niente.
Soprattutto era una capra a cui mancava una esatta metà del volto.
Imbarazzante carenza.
Ricordo il mio sforzo di non mostrare nessuna emozione.
Sul biglietto scrissi le domande, commentai con un "non sa nulla, deve tornare" aggiunsi di prestare attenzione all’aspetto fisico.
Lo Scaccabarozzi, ammucchiato di carte e libretti, si vide arrivare libretto e studentessa contemporaneamente. Non alzò la testa, lesse il biglietto.
Poi, però, il suo sguardo si sollevò sulla poveretta.
Fece un salto sulla sedia e disse: "oh lei, che ha fatto?"
La studentessa, "nulla, ci sono nata".
Lo Scaccabarozzi, "allora va bene così".
La studentessa, "no, non va bene per nulla".
L’esame terminò con ventisette e un "avevo paura di rivederla" che il professore mi sussurrò, quasi scusandosi, mentre offriva il rituale caffé degli assistenti a metà mattina.
Fu allora che decisi che quando sarei diventato professore avrei fatto tutti gli esami personalmente.
E così faccio ancora oggi.

Le inventrici della fica

9 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Hanno la fronte alta.
Spaziosa, inutilmente.
Incedono, anziché camminare.
Dominano lo spazio.
Lo sguardo attentamente ritoccato.
La bocca che non sorride mai al di là delle estreme frontiere della chirurgia estetica.
I denti, odontotecnici fili di perle.
Convinte del potere della loro invenzione taumaturgica.
Attente a cercare di trasformarla nella definitiva scoperta di chi le circonda.
Arriva  un giorno, perché quel giorno arriva sempre, nel quale si scoprono vecchie.
E diventano belle.
Di una bellezza tragicamente patetica.
Di un dolore sfiorito.
Ma è difficile coglierle in quell’attimo.
Prima che la loro resa diventi insopportabilmente aspra.

Cecco

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/09/2007

Castiglioncello sta scomparendo.
Inghiottita del cemento del suo porto turistico.
Non esiste quasi più.
Sono solo vecchi e bambini che girano per la pineta.
Ho amato Castiglioncello.
Ho passato lì tutte le mie estati.
Estati che iniziavano a giugno e finivano ad ottobre.
Estati che sono finite quando ero troppo grande per andare al mare con la mamma.
Ad aspettare la 124 del babbo che arrivava la sera.
Con il suo odore di caldo.
Di strade statali.
Di temporali ad Orciano.
Passavo le mie giornate in barca, sui flying junior del circolo.
O appoggiato al molo.
O sdraiato nel sole del Miramare, dove Sordi chiaccherava con Mastroianni e Matroianni, con Spadolini.
E Spadolini erano la barca dell’architetto, la pancia del ministro o le dita del chirurgo.
A seconda.
Esisteva allora uno strano tipo.
Girava con dei pantaloni da cavallerizzo.
Con lo sbuffo.
Degli stivali alti.
Da  nazista, nei nostri occhi di bambini.
Una camicia bianca.
Lercia.
Un foulard annodato al collo.
Per risparmiare un pò di unto al colletto.
Lo chiamavamo Cecco.
E si imbestialiva.
Bastava urlare Cecco che subito lui gridava:
"I’r_budello_di_to’_mà / I’becco_di_tù_pà / Ti pigjlio_pe’lle_trombe_d’ì_culo / E_ti_sbatacchio _’n_mare
[spazio per riprendere fiato]
A_me,_i_fiorentini_non_mi_sono_mai_garbati"
Non si chiamava Cecco.
Cecco era il cane del suo vicino.
Un cane che abbaiava sempre e non lo lasciava dormire.
Che era riuscito ad uccidere.
Con un appostamento di polpette avvelenate.
Un cane che morendo gli aveva lasciato il suo nome.
Perché dopo che lo aveva ucciso, tutti lo chiamavano come il cane e nessuno più sapeva il suo nome.
E’ morto.
Operaio di sodiera, che cercava di sembrare un milord.
E l’unica cosa che ha lasciato è la sua silhouette sull’insegna di un negozio di abiti usati.
Il mischiatutto, mi pare.
Dove noi ragazzi compravamo i primi vestiti freak.
Dove  ho acquistato la mia prima giacca di tweed irlandese.
Chiuso adesso.
Come quasi tutto quello che ricordo.

Dorme

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
22/09/2007

in un lago di orsacchiotti.
I pugni chiusi.
Abbracciata al suo angelo custode.

Un cane di nome Gesù: come una bella bambina può finire nel pio istituto per le fanciulle pericolanti

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
21/09/2007

Quando mia nonna è nata, a Firenze non c’erano né la luce elettrica né il gas.
E’ nata in pieno centro storico, in quelle strade che hanno conosciuto la penna di Pratolini e di Palazzeschi.
Accanto a lei viveva Tanfucio Neri e ricordava il calore fumoso della sua voce.
Quando il mio bisnonno morì, erano talmente poveri che lo portarono al campo santo su una seggiola.
Il bisnonno, fra l’altro, non era il suo babbo, ma  il signore che aveva accolto sua madre dopo che era stata cacciata di casa dalla suocera, per ragioni che – immagino per ragioni estetiche – non sono mai state esattamente illustrate ai nipoti.
Era una meravigliosa famiglia di anarchici.
Vecchio stampo.
Pare che il bisnonno si fosse innamorato di Bakunin da giovane, quando l’angelo nero si fermò a Firenze e fece il giro di tutte le famiglie che potevano soddisfare – gratis ma non amore dei – la sua notevole fame e la sua straordinaria sete.
Alla mia  nonna, qualcuno, si dice un parente di campagna, ma non si è mai capito quale, regalò un meraviglioso cucciolo.
Uno splendido bastardino.
Intelligentissimo.
La nonna lo chiamò Gesù.
E gli insegnò a rincorrere i preti.
Si è sempre raccontato di questi poveri preti che passavano da via Pietrapiana.
Del grido dei ragazzi: "Gesù, Gesù, dagli ai preti".
Il cane naturalmente rincorreva il povero prete.
Che, altrettanto naturalmente, scappava.
Finché un anziano prelato non fu morso.
Con più forza degli altri.
O forse, colpito nella sua dignità – pare che Gesù lo avesse addentato nel culo -, prese il morso con meno carità cristiana.
Di fatto, accadde che il prelato si rivolse ai carabinieri, i carabinieri portarono la nonna dal giudice, il giudice stabilì che la nonna doveva essere educata nel pio istituto per le fanciulle pericolanti.
Arrivata a questo punto, la nonna, che finora aveva riso nel ricordare il suo cagnolino, diventava triste.
Ricordava la mattina nella quale il cancello del collegio si era chiuso davanti alla sua mamma e le suore avevano tagliato le sue treccie bionde.

Il celolunghismo accademico, ovvero delle immatricolazioni

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
20/09/2007

Il consiglio di facoltà di oggi ha visto il preside comunicare i primi dati relativi alle immatricolazioni del primo anno.
L’aula è appena rientrata dalle vacanze: le colleghe maggiormente convinte di sé e della propria abbronzatura arrivano volutamente in ritardo, per poter ruotare intorno al tavolo della presidenza e farsi vedere mentre firmano il ruolino delle presenze.
Un immaginario defilé di anziane ragazze.
Mi chiedo anche questa volta perché sia necessario passare dal parrucchiere e dall’estetista prima di un consiglio di facoltà.
I corsi sono chiamati uno per volta.
I presidenti dei singoli corsi di laurea sudano: taluni soddisfatti, altri imbarazzati (loro sanno già i risultati).
Ciascuno sa di essere alla premiazione del campionato, a quella classica gogna che ogni casa del popolo conosce quando costringe gli allenatori dei vari bar ad ascoltare il dettaglio delle proprie sconfitte.
Le squadre – pardon, i corsi – sono illustrate: iscritti precedente anno accademico, iscritti in questo anno accademico, variazione percentuale.
Dapprima in ordine alfabetico, poi secondo il numero di iscritti, infine guardando alle variazioni percentuali.
Sorrisi, parole di apparente comprensione, tentativi di spiegare le ragioni di qualche fallimento.
La premiazione è quasi finita, quando il professor TT, che  indossa i soliti occhiali scuri e tiene come sempre la camicia aperta fino all’ombelico, scende dalla spider, che ha lasciato sul posto riservato ai diversamente abili (e chi può negargli questa qualifica?), per un ingresso trionfale.
Fortunatamente sbaglia il senso di circolazione del defilé e consente al preside di dargli pubblicamente di idiota, con un “devi entrare dall’altra parte [, idiota]”, nel quale il cortese epiteto è perfettamente percepibile nei puntini di sospensione.
Anche questa volta, mi alzo prima della fine del consiglio.
Avevo esami.
Erano fissati da tempo e non credo corretto far aspettare i miei studenti.

Il libraio di Antigone

2 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
19/09/2007

Se Antigone, la dolce e disperata Antigone di Jean Anouilh, avesse avuto un libraio, questo libraio si sarebbe chiamato Glauco.
Anziano, in quella misura indecifrabile che i capelli bianchi e radi donano ad un adolescente.
Gli occhi azzurri.
Miopi, quasi invisibili dietro le pesanti lampade bifocali che usava per occhiali.
Appoggiato al banco di una libreria di quartiere.
Una camel senza filtro accesa, che si consuma nel portacenere a ghigliottina.
Gli scaffali pieni di libri invenduti.
Incapace di organizzare una resa.
Di pensare che una resa di libri non è un arrendersi nel proprio bisogno di far leggere, di far capire, di muovere idee.
Terribile nel suo bisogno di consigliare, di trasmettere le sue idee sulla cultura, il suo asciutto minimalismo.
Mite.
A lungo ho lavorato nella sua libreria.
A lungo mi ha pagato in libri.
Quei libri che la sua libreria non poteva vendere.
Cuore di tenebra, nell’inglese asciutto e bello che il mare dona ad un mozzo polacco.
Le belle immagini, nel francese pulito e fresco di una ragazza per bene.
La ricerca del tempo perduto, nella faticosa lingua degli abissi.
Le lettere di Piero ed Ada Gobetti, con il loro ritmo, dolce e profondo.
Tanti altri, oramai in alto nella mia libreria, spinti dalla marea delle novità, che non mi permetteva mai di comprare perché non avevo finito di leggere altri libri più importanti, e me li narrava, quieto, appena visibile nel fumo azzurro che lo consumava.
E’ morto.
Solo.
Nella sua libreria.
Cadendo nel pozzo dei libri che si apriva nel pavimento e che usava come magazzino.
I libri sono stati svenduti.
E’ restata una trattoria gestita da un calciatore.
Ed il mio ricordo, ogni volta che compro un giallo.

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