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Author Archive for: profstanco

La fortuna di Violetta è la tisi

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/07/2020

Non c’è troia capace di risalire a lungo dall’inferno

Proprio non c’è

La signora delle Camelie, Violetta, Esther – la meravigliosa e piccola Esther di Balzac – sono tutte invenzioni da romanzo

Alla fine e nella realtà, torna sempre un’arsura di stupro che solo le rughe malcelate di un viso a luna piena

Le braccia con i primi segni di grinze

I glutei che cedono alla ferocia degli anni

I seni stanchi di bisturi

Le caviglie idropiche

Le gambe accavallate e scavallate con la grazia di uno specchio infranto

I piedi che è pietà distrarsi

possono, forse, cancellare.

Anzi, trasformare in nostalgia.

E’ inutile cercare sperando in quello che non c’è.

Perché non c’è niente quando si ignora che

volo di pigolanti passeri è la vecchiaia

Quando non ci si rende conto che l’amore che ama quelle braccia, quei glutei, quei seni, quelle caviglie, quelle gambe, quei piedi ignora l’arsura dello stupro, l’ansia dell’orgasmo.

La signora delle camelie non può risalire a lungo dall’inferno

La signora delle camelie, Violetta, Esther, come la si vuol chiamare, resterà sempre una troia

La sua fortuna è morire di tisi prima che il suo destino diventi un romanzo gotico pensando di essere ancora una novella erotica.

Ma questo è il romanzo, la vita si sa è sempre più grottesca.

La fine della crociera

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/07/2020

La fine della crociera sono due adolescenti che saltano sul pontile, neppure il tempo di finire di ormeggiare.

Corrono verso un treno che li porta dagli amici. E’ l’ultimo giorno prima delle vacanze, l’ultimo giorno in cui ci si vede. Un ultimo giorno di un tempo in cui si crede che ultimo sia davvero “ultimo” e non “purtroppo, ancora”.

Le osservo come le può osservare un padre e mi chiedo se dovrei essere arrabbiato o deluso.

No, sono orgoglioso. Come spesso mi accade.

Vanno via, devono andare via, sono programmate per andare via.

E’ già molto che siano state con me per una lunga settimana. Abbiano affrontato rade e porti, più conosciuti di casa, ma sempre rade e porti. Hanno armato, regolato le vele, timonato e piegato la randa alla fine di lunghe giornate. Nuotato come bambine che hanno fatto amicizia con i pesci da piccole e non hanno paura della profondità del mare.

Adesso devono andare via, voglio che vadano via. I loro approdi sono diversi dai miei. E’ bello che ogni tanto abbiano ancora voglia di condividere le mie rotte. E’ bello ed è abbastanza.

Case di sabbia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/07/2020

Le parole sono case di sabbia.

Si consumano di attese.

Diventano nulla.

Rubate dal silenzio in cui sono cadute troppe volte.

Ogni volta facendosi più male.

Il ritorno di Casanova

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/07/2020

Quello che Schnitzler non ha scritto, prima di morire nei suoi cinquantasei anni passati a spengere la candela della propria fantasia, è che Casanova si era ferocemente innamorato di quella ragazza conosciuta in una notte palladiana e rapita all’amore di un giovane ufficiale, talmente giovane da non sapere che le lame invecchiando diventano letali perché hanno conosciuto troppe volte la morte per non sapere che è vicina, che il suo alito marcio di denti cariati soffia più forte di un pianto neonato.

Se ne era ferocemente innamorato come si può innamorare solo un vecchio che conosce i segreti della scherma, che sa duellare e ascoltare l’eleganza barocca della musica, ma che soprattutto ha passato la propria vita a indagare il significato dell’amore, scoprendo presto che non ha niente a che fare con il possesso di due gambe che si aprono e di due natiche divaricate o di una gola avida di sperma.

Ci era voluto tutto questo, tutte le colombine che Casanova aveva rapito e amato, posseduto e abbandonato, tutti i piombi che aveva indossato con pigrizia di forzato per scoprire il significato dell’amore nella penombra palladiana delle candele attorno a un gioco di carte.

L’amore è il dolore di uno che ama volendo essere il marito della donna che ama. Volendo che il suo viso sia lo sguardo dei propri figli.

Nè sesso, né conversazioni, ma desiderio di un viso che è lo sguardo dei propri figli.

Casanova lo capì in quella notte di penombra, carte e duelli e l’amò senza mestiere, con indulgenza e stanchezza, non ne cercò l’ammirazione, non ne provocò l’orgasmo che squassa i sensi e che trasforma le parole in terremoti. Le regalò la propria ingenua verginità e pensò per qualche infinito battito di ciglia che fosse abbastanza, che lei non avrebbe potuto non amare chi l’amava volendo che il suo viso fosse sguardo di figli.

Si sbagliava e lo capì Casanova nello sguardo di disgusto con cui lei lo fissò quando la luce le rivelò di avere fatto l’amore con un vecchio e non con un giovane ufficiale, non col giovane ufficiale che Casanova aveva provocato e ingannato, ucciso e disprezzato.

E fu un dolore assoluto, il dolore che trasforma l’amore in nostalgia, vigliaccheria e irrazionalità.

L’ intelligenza dell’impossibile è dolore di infarto.

Il dolore di un cuore che si spezza quando sa che è impossibile che il viso amato sia lo sguardo di un figlio voluto.

La dolcezza del ragno

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/07/2020

La dolcezza del ragno è la sua tela: schifosa carezza

il suo abbraccio, terribile sonno

il suo veleno, meravigliosa agonia

Tutto questo è amore.

La nausea che colpisce lo stomaco

la carezza di una tela più morbida della seta

l’abbraccio della ragnatela che lentamente si stringe e porta con sé un sonno sempre più profondo

il veleno che trasforma l’agonia in una sequenza di sogni dolcemente moribondi

Tutto questo è amore.

Amore che uccide abbracciando e colmando la morte di sogni immemori.

Il ragno ama le sue vittime e le sue vittime amano il ragno perché non c’è morte più dolce di quella che si trova nella sua tela.

Profanazione: tutto ciò che non sarà mai più come prima

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
01/07/2020

Il pudore è l’ansiosa e impaziente vergogna di una vergine

Imbarazzo segretamente consapevole che nulla sarà mai più come prima quando altri la toccherà sapendo che non sarà per sempre sua

Perché in quella vergogna ansiosa e impaziente è inutile cercare quello che non c’è

Il dono di un segreto. Il segreto che i ragazzi sussurrano sghignazzando dopo aver preso quello non vogliono sia altro che selvaggina da divorare nel baccano d’una orgia

Le donne sono malaffare. Per tutti. Non solo per il loro re, il signore dio della loro vergogna

Se non è così, così che è normale, se l’uno ha rubato una vergogna d’altri e l’altra è evasa dalla sua gabbia donandone le chiavi a chi passava per caso, per farsi rapinare di una solitudine troppo rumorosa per essere contenuta dentro quattro sbarre per fragili uccelli esperti della solitudine del migrante che sa di trovare nel volo l’attimo in cui stremarsi e sfracellare,

Se non è così, così che è normale, allora che cosa resta?

Resta la profanazione, la libertà dei vichinghi. Di rapinare quello che non si capisce. Trasformare la fede in tortura. Sapendo che l’unico modo di possedere ciò che è d’altri è il disprezzo.

Quel disprezzo che diventa amara libertà per la vergine che ha donato le chiavi della sua gabbia e dolore d’infarto per colui che ha visto la tenace crudeltà vichinga strappare le sue palpebre perché nessun oltraggio conoscesse un oblio d’ombra.

Bimba piccola e il diritto dell’ambiente

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/06/2020

Notte in rada.

Chiacchiere da pozzetto.

Mi allungo sulla poppa per fare pipì.

Bimba Piccola mi guarda e chiede che fai?

Rispondo che si tratta di uno scarico non autorizzato e le spiego che dal 1976 in Italia tutti gli scarichi devono essere autorizzati.

Lei mi ascolta con sufficienza e mi chiede: Babbo, perché di notte sono scarichi non autorizzati e di giorno illeciti paesaggistici?

Le mani di Omero

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/06/2020

Author Jorge Luis Borges (1899 – 1986) at the front door of his home in Buenos Aires, Argentina, December 1983. (Photo by Christopher Pillitz/Getty Images)

Omero, come Borges, non è nato cieco. Ha visto la luce diventare lento tramonto e la penombra farsi notte.

I suoi figli, gli eroi che amava ospitandoli nel proprio cuore, sono diventati ombre di memoria quando i suoi occhi hanno smesso di vederli.

Ma Omero ha scoperto il potere delle mani, ha ritrovato la memoria di un volto accarezzandone i contorni. Non ha scoperto quel volto. Lo conosceva, lo aveva visto. Lo ha ritrovato nella notte degli occhi cercandolo con le mani, seguendolo con le dita, studiandolo con i polpastrelli.

Come il padre che diventa cieco e scopre di poter ancora vedere il viso d’un figlio accarezzandone i capelli, con lo stesso entusiasmo. Dolcemente avido.

Omero non ha usato le dita per ritrovare i suoi eroi e i loro miti. Ha preferito le parole. Le sue parole sono lemmi di cieco che ricostruiscono idee e immagini.

Così è quando si abbandona lo sguardo, si rinuncia a vedere.

Ci si rifugia nelle dita per capire il senso delle cose che solo la notte può contemplare senza che lo sguardo gli sia strage.

Si tocca ciò che non si può vedere.

Che non si vuole più vedere.

Sperando che il tatto sia verità quando lo sguardo era inganno.

Il campanello di Bimba Piccola

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/06/2020

Bimba Piccola suona il campanello con imperiosa cafonaggine.

Lo suona una volta e se nessuno le apre, perché in una casa grande tutti si aspettano che apra qualcun altro, suona di nuovo.

Con ancora più imperiosa cafonaggine.

Mi domando se non debba rimproverarla per questa sua abitudine che mi fa letteralmente saltare i nervi.

Mi dico di no.

Per Bimba Piccola, il tempo non è lo stesso che è per me.

Il suo tempo gira molto più velocemente del mio.

Il suo tempo davanti a una porta che non si apre è molto più lungo del mio davanti a una frase che non si compone da sola sulla tastiera.

Gli spettri di Itaca

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/06/2020

Le unghie si spezzano se le mani costruiscono qualcosa che non esiste, qualcosa che Penelope disfa mentre tu, il più inutile dei suoi corteggiatori, continui a cercare i suoi sogni e la sua pace.

Non puoi trovare la pace di una donna che ti guarda sognando un uomo in viaggio.

Non sei tu la sua pace, non sei tu i suoi sogni. Tu sei ciò che è casa quando la casa è vuota.

Lo sai, lo sai benissimo e sai anche che il tuo viaggio dovrebbe riprendere, non può essere fatto di parole che offendono l’intelligenza, di risposte che non hanno letto la sostanza del tuo cuore, che lo calpestano senza comprendere, senza che tu meriti di essere compreso.

Non ci sono lacrime negli occhi di Penelope quando Ulisse imbraccia il suo arco. C’è una sorda gioia che segue il percorso delle frecce che ti trafiggono. Tu la vedi quella sorda gioia. Ti trafigge prime delle frecce.

E resti in quella reggia perché il tuo cuore è diventato lo spettro di tutto quello che aveva sognato e indossa le sue catene sperando di non svegliare Penelope mentre dorme accanto al suo Ulisse, senza che tu sia mai stato veramente un suo pensiero.

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