Cronache del Feccia Nera (la fatina)
Certi piedi si trovano solo sul Feccia Nera.
Ciò che è sopra – un bongo rovesciato – si spera di non trovarlo mai.
Certi piedi si trovano solo sul Feccia Nera.
Ciò che è sopra – un bongo rovesciato – si spera di non trovarlo mai.
Certi piedi si trovano solo sul Feccia Nera.
Ciò che li sovrasta, un essere umano – ma anche un androide senziente – si augura di non incontrarlo mai.
La fine di un amore è un problema essenzialmente comunicativo.
Non è facile da spiegare che l’apparenza di eternità che permetteva di dare un colore più intenso alle cose è sfumata.
Bimba Piccola ha saputo risolvere il problema con la sua abituale ferocia.
Marco, mi dispiace. È che noi ci manchiamo in maniera diversa…
Il poveretto che non si chiama Marco, ma anche sbagliare nome fa parte di una strategia comunicativa, spalanca gli occhi interrogativo.
Si, tu non mi manchi
E va via perché la merenda al tempo dell’olio nuovo è più sacra di sempre.
Gentiloni non è uno scout e la legge elettorale non merita fiducia.
Il primo articolo della legge scout suona più o meno come lo scout pone il suo onore nel meritare fiducia, nelle parole del fondatore – sir Baden Powell -, A scout is trustworthy.
La legge elettorale non meritava la questione di fiducia del governo che è legittima sul piano costituzionale e sul piano della tattica parlamentare ma che non appare opportuna sul piano politico e dell’onore del governo.
Sul piano costituzionale non è scritto in alcun luogo che le norme in materia elettorale non possano essere oggetto di una questione di fiducia e sul piano della tattica parlamentare è più che ragionevole che le ragioni del calendario e quelle della politica portino il governo a porre la questione di fiducia sulle norme in materia elettorale.
Non vi è nessuna rottura della legalità costituzionale e invocare i precedenti di Mussolini o di De Gasperi, ma anche di Berlusconi e Renzi ha poco senso.
Lo ricorda Giovanni Guzzetta sul Dubbio che sottolinea la struttura politica della legge elettorale e perciò definisce come fisiologica la questione di fiducia.
Lo penso anche io e, perciò, mi pongo qualche problema.
Porre la questione di fiducia significa stabilire come conseguenza necessaria ed inevitabile del voto contrario del Parlamento le dimissioni del governo perché il governo chiede di meritare fiducia in quel voto.
Il governo merita fiducia, nel senso della legge scout, quando una proposta rispecchia i valori politici che intende proporre alla nazione come basi della convivenza.
La questione di fiducia, in altre parole, ha un valore tattico collegato alla vita parlamentare del governo e un valore strategico in cui il governo indica al paese i valori in base ai quali si considera meritevole di svolgere la propria funzione di guida dello Stato.
Sul primo piano, non c’è davvero niente da dire.
Sul secondo piano, forse, qualcosa da dire c’è: il governo ha posto la questione di fiducia su di una legge elettorale che ha come effetto principale quello di rendere inevitabili accordi di coalizione e maggioranze deboli.
Una legge che fa tornare indietro nel tempo e che sembra appartenere al patrimonio genetico del presidente del consiglio.
Però le leggi non sono macchine del tempo e non acquistano questa efficacia nemmeno grazie a una questione di fiducia.
Tremenda fila di anziani per delle analisi.
La vescica ha delle urgenze che la disciplina non doma.
Scusi che posso rimanere in fila mentre vo a fare un po’ d’acqua?
L’anziano è per la prostata.
Se gli riesce…
Risponde la vecchia a cui evidentemente gli anziani malati di prostata sono venuti parecchio a noia.
Quella dopo ha furia. Ma dimolta furia.
Senta che posso fare per telefono?
La tipa della reception senza alzare gli occhi dallo schermo del computer:
No. Bisogna che l’abbia pazienza…
La furiosa prova a replicare che ha un figlio che ha bisogno di lei e che si trova in un altro ospedale.
La solita vecchia, che evidentemente ha preso a noia anche le mamme con i figlioli malati e non solo i vecchi con una cornamusa al posto della prostata
Allora ‘un gli ci vòle pazienza. Gli ci vòle fortuna…
E’ brutta.
Oggettivamente brutta.
Brutta come può essere brutta un’adolescente, dove essere brutta non è solo una questione estetica, è anche accettare l’inaccettabile. Il dolore di non essere all’altezza dei propri desideri. Di essere brufoli e un naso enorme, quando si vorrebbe avere una pelle di seta e un nasino alla francese.
Siccome è brutta è anche antipatica e siccome è antipatica non è difficile prenderla in giro.
Nessuno sa chi le ha dato il soprannome di Lesbo_Scoppola, perché le brutte si chiamano per cognome e anche se non si chiama Scoppola le starebbe benissimo.
Nessuno sa chi le ha rubato le scarpe nuove dallo spogliatoio della palestra mentre faceva ginnastica con le altre ragazze.
E nessuno sa chi ha risposto “Prova a darla” quando ha chiesto un euro perché aveva fame e voleva comprare una schiacciatina all’uscita di scuola.
Ma tutti sappiamo che quello che i giornalisti chiamano bullismo è la crudele invenzione dei brufoli da parte di un dio che non sapeva come fare a togliere le fiabe dall’anima della più bella fra le sue creazioni.
Coprire il vuoto con il vuoto ovvero il Veneto chiede lo statuto speciale, Maroni dice che il suo collega sbaglia e il Governo bolla l’iniziativa come incostituzionale.
Il Veneto chiede lo statuto speciale ma non significa nulla, esattamente come il quesito che il 57% dei cittadini veneti ha approvato: uno statuto speciale contiene le condizioni di speciale autonomia di una regione rispetto alle altre regioni a statuto ordinario. Chiedere uno statuto speciale significa individuare le materie nelle quali si chiede maggiore autonomia e specificare in cosa consiste la maggiore autonomia che si sta chiedendo. Altrimenti significa coprire il vuoto (l’assenza di significati chiari e univoci di un quesito referandario disomogeneo) con un altro vuoto (l’assenza di contenuti della autonomia speciale richiesta da Zaia).
Maroni dice che il suo collega sbaglia e insiste nella linea per cui le materie in cui si può chiedere maggiore autonomia sono quelle indicate dall’art. 116, Cost. Anche in questo caso, non si dice nulla: dire che una regione deve avere maggiore autonomia in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema non significa niente se non si spiega in che cosa dovrebbe consistere questa maggiore autonomia: si vogliono gli scarichi o le concessioni idroelettriche?
Il Governo reagisce chiarendo che la Costituzione non si tocca: la debolezza di un governo parlamentare che chiede una fiducia malata a un Parlamento diviso e balbettante è evidente anche nel momento in cui non si formula una proposta precisa e autorevole chiarendo il quadro costituzionale e politico di un’autonomia regionale differenziata.
Tutto questo vuoto non copre soltanto se stesso. Copre il desiderio di una autonomia senza responsabilità, come spiega Morrone nel suo blog, e un complesso insieme di manovre politiche in cui si confonde il significato del referendum consultivo lombardo veneto e delle elezioni politiche, così Marco Olivetti sull’Avvenire di oggi.
E’ difficile immaginare quale sarà il futuro politico del referendum lombardo veneto. L’unica cosa certa è che sarà deciso dalla prossima legislatura nazionale che è più imperscrutabile di un testo di Nostradamus.
Il senso di una sconfitta palese è che diventano eroi anche i soldati che portavano le pignatte.
La sconfitta palese è quella subita nel referendum lombardo veneto.
Sia in Veneto che in Lombardia è emersa con forza la volontà delle popolazioni locali di gestire le risorse che genera il territorio direttamente.
Questa è una sconfitta palese dello Stato centrale.
La volontà popolare rinforza i governi regionali lombardo e veneto, che sono già forti di una legittimazione popolare diretta, grazie all’elezione dei loro presidenti, e di una stabilità sostanzialmente di legislatura, grazie alla regola simul stabunt simul cadent.
La forza dei governi locali trova una controparte assai debole: la riforma elettorale attualmente in gestazione non è fatta per creare un indirizzo politico legittimato direttamente dal corpo elettorale, ma per restaurare una forma di governo parlamentare in cui la doppia fiducia e le geometrie variabilmente asimmetriche delle due camere rendono il Capo dello Stato arbitro di equilibri politici instabili e che possono portare a elezioni anticipate con una frequenza d’altri tempi.
In questo referendum hanno vinto anche i marmittoni.
I marmittoni, in questo caso, sono i quesiti referendari che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali con la sentenza 118/2015 perché violavano gli artt. 75, 116 e 119, Cost. nonché con le norme dello Statuto del Veneto che regolano i referendum consultivi.
Questi quesiti suonavano (art. 1, legge reg. Veneto 15/2014):
1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”;
[2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”;
3) “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;
4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;
5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”]
L’approvazione dell’unico quesito salvato dalla Corte, sul piano politico, ha il significato dei quattro quesiti che la Corte ha considerato inammissibili perché la maggiore autonomia che Veneto e Lombardia chiedono riguarda essenzialmente il cd. residuo fiscale e quindi una autonomia pressoché costituzionale di queste due regioni.
Il governo della Repubblica difficilmente potrà negare ingresso a questa istanza e dovrà inventare un nuovo tipo di regionalismo.
Ma tutto questo può cadere sulle spalle di un governo fragile come quello che la nuova legge elettorale consegnerà alla prossima legislatura repubblicana?
Il referendum veneto ha superato il quorum del 50% di aventi diritto.
Il risultato è una sconfitta e una vittoria.
La sconfitta è di una classe politica nazionale che non parlare alla testa dei cittadini.
La vittoria è di una classe politica non solo locale che sa parlare benissimo agli stomaci dei suoi elettori.
Il punto però è divertirsi.
E il divertimento è un problema quando il significato profondo del referendum è un filo spezzato.
Per 119, l’articolo della Costituzione non il telefono dell’ambulanza, le risorse sono in rapporto alle attribuzioni.
Lo Stato deve attribuire a ciascuna regione le risorse necessarie per un esercizio differenziato e adeguato delle competenze che le sono affidate.
Il metro che affida le competenze è il principio di sussidiarietà inteso come metodo di democrazia.
Per il referendum veneto il criterio di attribuzione delle competenze dovrebbe essere il residuo fiscale.
Come dire: ti concedo l’istruzione se te lo puoi permettere.
Spezzare l’idea di solidarietà può anche essere una buona idea. Farlo in maniera palese non è solo di cattivo gusto. È stupido.
Soprattutto se a farlo non è un popolo che fino al secondo dopo guerra inoltrato era famoso per ricchezza e opulenza.
La prossima domenica i cittadini del Lombardo Veneto saranno chiamati a rispondere su di un quesito assolutamente vago.
Gli viene chiesto se vogliono maggiore autonomia nei limiti di quanto previsto dall’art. 116, terzo comma, Cost.
Per la Corte costituzionale, sentenza 118/2015, il referendum non è illegittimo dal punto di vista costituzionale perché la richiesta di maggiore autonomia nei limiti di quanto previsto dalla Costituzione è ammissibile secondo la Costituzione e perché l’esistenza di un referendum consultivo non sarebbe preclusa dal procedimento tipizzato dall’art. 116, Cost.
Nessuno dei due argomenti coglie nel segno.
Il primo perché una richiesta di maggiore autonomia senza specificare in che cosa consiste la maggiore autonomia richiesta non è una domanda a cui si possa rispondere formulando una scelta di indirizzo politico.
E’ una domanda a cui si risponde senza dire nulla e quindi dicendo troppo.
Il secondo argomento non coglie nel segno perché l’esistenza di un procedimento regolato a livello costituzionale esclude qualsiasi alterazione del procedimento come tipizzato nella Costituzione.
Se la Costituzione prevede che la maggiore autonomia concessa alle regioni debba essere oggetto di una intesa fra Stato e regione interessata, l’intesa è il punto di arrivo di una negoziazione fra il governo statale e il governo regionale.
Il significato di questa negoziazione è alterato dall’esistenza di un referendum che dota di un plusvalore di legittimazione democratica la posizione regionale.
Nello stesso tempo, la Costituzione prevede che la maggiore autonomia debba essere approvata con una legge dello Stato votata a maggioranza assoluta da entrambe le camere.
In questo procedimento, le Camere sono chiamate ad referendum sulla maggiore autonomia regionale e l’intervento del corpo elettorale regionale contraddice il ruolo del Parlamento, prefigurando un conflitto fra corpi elettorali locali e rappresentanza politica regionale che sarebbe molto opportuno evitare.
Il referendum nel tessuto costituzionale ha il ruolo di un correttivo per l’indirizzo politico manifestato a livello di rappresentanza politica, se assume un ruolo propulsivo per delle decisioni rilevanti dal punto di vista della forma di Stato diventa in un certo modo eversivo del disegno costituzionale.
Il Tribunal Constitucional, in Spagna, dove il problema catalano è assai diverso, ha annullato la legge che istitutiva il referendum sulla base di un argomento costituzionalmente ineccepibile:
“un poder que niega expresamente el derecho se niega a sí mismo como autoridad merecedora de acatamiento”
Perché, in Italia, dove un vero problema di secessione non esiste, dobbiamo crearcelo con dei referendum chiaramente inammissibili e una giurisprudenza costituzionale, questa volta, incomprensibilmente arrendevole verso le ragioni di un’autonomia smaccatamente populista?
Se la Corte costituzionale avesse applicato gli stessi principi del Tribunal Constitucional avrebbe dovuto ammettere che la regione Lombardia e la regione Veneto con il loro referendum violavano la Costituzione e quindi negavano a se stesse le prerogative in base alle quali possono essere considerate meritevoli di obbedienza da parte dei loro cittadini.