07/09/2017
Gli avvocati sono animali strani.
Più simili a un mostro di livello intermedio di Munchkin che non a servitori della giustizia.
Ci sono avvocati che studiano seriamente il diritto.
Altri che sono affascinati dal fatto e che ne sanno leggere ogni piega.
Soprattutto però ci sono avvocati che non capiscono nulla, che dicono che la proprietà si prescrive e non si vergognano di urlarlo.
Non capiscono nulla di diritto, perché studiare costa fatica e non è per tutti.
Del fatto, perché non c’è niente di divertente negli affari degli altri se gli affari degli altri sono il tuo mestiere.
La differenza fra i due generi si intuisce abbastanza facilmente.
Da come scrivono, da come parlano, da come si muovono.
Persino da come si comportano, gli uni con gli altri, mentre aspettano di combattersi, perché chi litiga per mestiere è più una bestia che un essere umano.
Un uomo di buon senso potrebbe pensare che per vincere in una controversia si debba essere dei buoni avvocati, ferrati in diritto e capaci di analizzare il fatto interpretandolo come un fenomeno giuridico.
Che chi ha studiato poco e non ha mai letto fino in fondo un documento sia destinato al fallimento.
Niente di più falso e di più umiliante.
La verità è che vincono i cialtroni.
Non perché la verità è il sorteggio del Pretore di Monsummano di cui parlava Calamandrei. Erano altri tempi e altre stoffe d’uomo.
Nè perché i giudici sono dei cani che premiano chi è cane come è loro. I giudici hanno vinto un concorso più difficile di quello per diventare avvocati e sanno quasi sempre quello che fanno.
Perché i palazzi, anche quelli di giustizia, hanno un’anima e vince chi è riuscito a impregnarsi di quest’anima, a farla propria.
Gli avvocati bravi sono troppo orgogliosi della propria tecnica per soffermarsi a dialogare con l’anima della giustizia.
I cialtroni, invece, hanno l’umiltà di farlo.
L’umiltà, non la bravura, né l’intelligenza, vince le cause e l’umiltà che vince, talvolta, è davvero umiliante.