Improvvisamente la raggiunge un raggio di sole e la verità non è un bacio.
Cena di avanzi.
Fra gli avanzi, prosecco sgasato per il padre e coca cola, sgasata, per le bimbe. Il padre trattiene, ma non troppo, una sonorità interiore. Bimba Piccola la riproduce con vigore degno di Ovo Sodo. Bimba Impertinente, no. Lei è già grande, siede come una signora e mantiene il tono cortese di conversazione che ha una signora astemia mentre partecipa a un aperitivo di alcolisti. Finalmente, ha un sussulto, appena percettibile: la coca cola ha fatto effetto anche su di lei. Arrossisce. Il padre osserva che il suo non è stato nulla e che può fare molto di meglio. Lei lo guarda interrogativa. Il padre replica Bimba Piccola che ride tutta contenta. Bimba Impertinente chiede come si ottengono questi risultati, il padre e Bimba Piccola spiegano la tecnica respiratoria necessaria a questo fine. Bimba Impertinente prova. Il primo tentativo fallisce. Il secondo è un successo.
Ride, Bimba Impertinente. Ride contenta. Ride libera. Ride, come raramente il padre l’ha vista ridere. E pensa, il padre, fra sé e sé: si è lasciata andare, è felice perché è riuscita a lasciarsi andare e l’immagine che ha in mente è una nobildonna vittoriana che assaggia la fettunta in una merenda di contadini.
L’osservazione corretta, però, è di Bimba Piccola: Il male trionfa sempre, dice con aria banale.
Omosessualitezze sono le raffinatezze che solo un omosessuale può praticare impunemente ed equivalgono a quelle barzellette talmente sconce che solo pochi superuomini possono raccontare senza arrossire.
Il prof. ___, appassionato da sempre di didattica e di studenti, occhialetti dorati da fine del secolo, sudato e profumato nello stesso tempo, in giacca, cravatta e canottiera, incontra uno dei suoi laureandi per le scale del Dipartimento. La giornata è afosa. Anche il laureando, che ha capito perfettamente con chi ha a che fare, è sudato, anche se pare molto meno profumato e indossa dei pantaloni corti sulle gambe muscolose e depilate.
Il professore lo guarda con apparente spirito paterno: Carissimo, il caldo ti ha segnato…
Meravigliosa omosessualitezza, che potrebbe stare sia per Sei sudato come un maiale che per Voglio annusare tutti i tuoi odori.
Penso mentre mi allontano senza sorridere affatto.
Nuota come un pesce senza pinne.
Ma soprattutto senza maschera.
Ho paura di quello che chiama paesaggio: non vuole vedere il fondo del mare, il buio che scompare.
Come tutti.
E come molti non lo guarda.
Mio il compito di farle guardare la notte mentre nuota.
Anche se sempre meno penso che vivere con gli occhi aperti sia una buona idea.
Penso: vuoto tabernacolo è un corpo quando gli occhi, come candele al vento, si spengono,
Mentre mi avvicino, solo per un abbraccio, a un amico, per me più di un fratello
E so che il suo dolore non lo posso capire,
Perché non potrò mai sapere che cosa significhi perdere un padre che per tutta la vita ti è stato padre.
Di questo piango nel silenzio dei miei pedali,
Ancora una volta il dolore degli altri serve solo a risvegliare il nostro.
Non sono cinquanta le sfumature di grigio che ha visto il piccolo bretone nella sua breve vita.
Sono molte di più.
Ha corso e percorso la Francia, il Belgio e l’Italia.
Piegato sulla sua bicicletta, pesante come un cancello.
Ha bevuto vino e ruttato pioggia.
Riprendendo sempre a pedalare, sinché le gambe non sono diventate di piombo.
Lì dove le Ardenne sono state l’inferno di una generazione.
Si pedala fissando l’asfalto, diceva.
Non si alza la testa.
Non si guarda la vetta.
Si evita lo sgomento del panorama.
Si pedala fissando l’asfalto e aspirandone le sfumature.
Come gli eschimesi la neve o i polinesiani il mare.
Si intuisce dalla terra la forza di ogni singola pedalata.
Non si contano quelle che mancano.
Non si perde coraggio nella consapevolezza dei giorni che devono ancora venire.
Si prende coraggio dal presente di ogni spinta verso il basso e dal futuro del calcagno che torna verso l’alto.
E’ qui il senso di tutta la giornata.
In questa gamba sinistra che scende e in questa coscia destra che sale, mentre gli occhi traguardano il suolo oltre il manubrio e le sue strette corna, senza mai guardare il cielo.
Ma è così anche la vita.
La vita dei poveri abituati alla fatica della terra, al sonno pesante della notte alla dolorosa stanchezza dell’alba.
Ogni giorno, una pedalata che fissa l’asfalto, mai gli occhi al cielo.
Perché anche oggi c’è qualcosa da fare, qualcosa di urgente, qualcosa che se si alzasse gli occhi al panorama non si farebbe, presi dallo sgomento del futuro, dal bisogno del cielo stellato e dei suoi universi.
Finché questi occhi piagati di asfalto, come la cataratta di un pescatore, non sono sordi al pianto di un bambino sotto pelle e lì, in quel momento, diventa inutile continuare a correre.
Perché si corre per quel bambino e se si perde l’istante in cui ha bisogno di noi, meglio lasciarsi cadere, che nulla è peggio del raggiungere il traguardo e rendersi conto che le miglia di asfalto che hanno consumato i nostri occhi hanno anche dimenticato la nostra vita.
Una legge contro l’omofilia sarebbe davvero opportuna di questi tempi.
Non contro chi prova una immotivata, irragionevole e tutto sommato scortese avversione per gli omosessuali.
Ma contro chi, immotivatamente, irragionevolmente e tutto sommato con scortese repentinità, si schiera a favore del movimento LGBT.
La settimana passata, Berlusconi, la sua giovane “fidanzata”, Vittorio Feltri.
Questa settimana, Angiolino Alfano.
Tutti hanno scoperto di essere un pochino gay, lesbica, bisex e persino transgender.
Soprattutto, hanno scoperto che gli omosessuali possono essere di destra, conservatori e bacchettoni e hanno deciso di cercare apertamente il loro voto, considerandoli come una lobby, oscura e potente come una loggia segreta.
Il che è un atteggiamento apertamente omofobico, perché nulla è più disumano che considerare l’omosessualità come il tag di una razza diversa, l’indizio di una specialità tribale.
Gli omosessuali sono, se li si vuol guardare bene in viso, né più né meno uomini e donne comuni (ordinary people) e, di conseguenza, possono essere di destra o di sinistra, cattolici, ebrei e musulmani, di razza caucasica, afroamericani, indiana e a strisce rosse e gialle.
Taggarli, anche solo per dire sono d’accordo con loro, è dannatamente offensivo.
Anche se, in fondo, sono proprio gli omosessuali a cercare una specialità differenziante, in cui l’identità politica e sociale, forse anche religiosa, segue il ritmo dell’outing: L’ho detto e niente sarà più come prima, perché ho detto che io sono diverso da tutti loro e che sono orgoglioso della mia diversità.
Insomma, se Berlusconi è frocio, anche i froci sono berlusconiani…
A Livorno, il M5S di Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale e cittadino di Castiglioncello, ha vinto le elezioni comunali.
La città, la città che conta, la città degli affari e dei traffici, è sgomenta.
L’altra città, la città che ha votato al ballottaggio, la città che ha vissuto questi anni di lenta trasformazione del PCI, che si è disaffezionata alle proprie bandiere, molto meno.
Vi è una singolare assonanza fra la protesta dei dipendenti Rai e lo scandalo della maculopatia.
La protesta dei dipendenti Rai e, in particolare, dei suoi giornalisti, ma anche delle sue firme più prestigiose, riguarda la decisione del Governo di collocare sul mercato alcuni asset aziendali per ripianare almeno in parte la posizione debitoria dell’azienda.
In questa protesta, suona forte l’indignazione per un Governo incapace di strategie di lungo respiro circa il futuro di questa azienda pubblica e, nello stesso tempo, estremamente arrogante nella propria tattica comunicativa.
Il partito democratico di Renzi ha vinto le elezioni.
Contro i pronostici che vedevano un movimento 5 stelle particolarmente a punta.
Soprattutto, Forza Italia e il centro destra sembrano avere perso: alle comunali, solo Ascoli Piceno, Chianciano e Tortolì hanno visto un candidato del miliardario affidato vincere al primo turno. Ma sono città che assomigliano a Torre del Lago, che alla stazione di Pisa viene annunciata solo per dire che il treno per Spezia non ci si ferma.
E’ una grande festa, una lucida festa in cui Nardella mette insieme il terzo figlio e il primo giorno da Sindaco con un consenso di quasi il sessanta per cento di fiorentini, ammaliati dal carisma del primo ministro come ai tempi del Savonarola.
Ma sono elezioni che devono essere viste anche da un punto di vista diverso.
Se il movimento 5 stelle ha perso, la responsabilità è di Grillo e Currò (chi è?) non esita a chiamarlo in causa in una discussione che assomiglia a una lite in famiglia di fronte al panettone di Natale.
Se Forza Italia ha perso (ma anche Alfano, checché ne dica, non ha certo vinto), la responsabilità è di Berlusconi e Fitto, forte delle sue preferenze (284kVoti), glielo fa notare traguardando un’OPA ostile sul partito del miliardario affidato.
Soprattutto, se il PD ha vinto, non ha vinto il PD ha vinto Renzi, che ha saputo conquistare un consenso trasversale, molto simile a quello della Democrazia Cristiana, che D’Alema, Veltroni e Bersani non avrebbero mai potuto immaginare.
Il 40% dei consensi non riguarda un programma e un partito politico che incarna una serie di ideali (quali?). Sono voti dati a Renzi, che non a caso viene chiamato, per la prima volta, “Matteo”, anche da Napolitano.
Ha vinto Matteo, hanno perso Giuseppe Piero e Silvio e anche Alfano, di cui non è facile ricordarsi il nome di battesimo, Mario (Monti, c’era anche lui).
Ha vinto una persona e hanno perso delle persone.
Perché il dato più interessante, la cosa da tenere più presente anche nel prisma delle riforme costituzionali di cui oggi riprende l’esame alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (ancora per poco), è che i partiti politici sono scomparsi, sostituiti da persone che incarnano una One minute democracy, una democrazia in cui l’elettore sceglie in un minuto e in un minuto cambia idea, in cui, in fondo, all’elettore non interessa un fico secco della politica.
E, in questo contesto, si può festeggiare.
Ma come nella Villa del Decamerone, il Boccaccio novellava durante la peste.