Preghiera del Patriarca Morente
La casa del Patriarca sembra vuota mentre sta morendo.
Perfino il cane non si avvicina più a lui.
Insofferente, non riesce a stare nel letto, nudo, le sue vergogne esposte, non sopporta il peso delle lenzuola: sudari.
Nudo sono nato, nudo voglio morire ma non vorrei essere nato, ripete.
La moglie lo guarda, lo lava, lo accudisce, gli massaggia i piedi.
Dal naso scende un filo nero: sangue, pus e tumore.
Non c’è nessuna speranza nello sguardo dei figli che lo accarezza.
Urla: Sarà come Dio vorrà.
Grida: Banalità! Era solo una banalità.
Vorrebbe un caffè, un buon caffè, un caffè di Voltaire.
Dio tace, silenzioso, e lui sussurra una preghiera:
Padre nostro, come puoi essere padre di tutti? come puoi essere padre dei buoni e dei malvagi, come puoi condannare gli uomini a essere fratelli, senza premiare il giusto e punire il malvagio?
Che sei nei cieli, tu sei nei cieli, lontano dagli uomini, e niente è più crudele per un figlio della distanza dal padre.
Sia santificato il tuo nome, il tuo nome non è santo, lo diventa, sono gli uomini che ti santificano, tu sei il tuo nome e il tuo nome è invano senza le loro preghiere che lo pronunciano.
Venga il tuo regno, il tuo regno non c’è. E’ una promessa. Un miraggio.
Sia fatta la tua volontà, la tua volontà è il vento che trascina le foglie, il mare che annega, la pioggia che affoga ed è questo che vuoi per noi, che siamo come foglie, pesci o grano.
Come in cielo così in terra, neppure in cielo c’è il tuo regno. Neppure lì hai voluto governare, come un re buono, che si prende cura dei suoi sudditi, che amministra la giustizia, che separa il bene dal male e insegna a ciascuno quello che deve sapere per capirti.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, insegnaci a vivere di pane. Fai che la nostra fame sia saziata tutti i giorni. Fai che la nostra sia fame di pane, solo di pane. Fai che non desideriamo mai altro se non il più umile degli alimenti e che non desideriamo altro desiderio che non sia cibo.
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, tu sei esattamente come noi. Esigi e riscuoti esattamente come noi. Non sei diverso da noi e ciascuno di noi è condannato a vivere soffocato dai debiti.
Non ci indurre in tentazione, sei tu che ci hai creato fragili. Affamati non di solo pane. Debitori di tutto e creditori di tutto. Ma noi dobbiamo evitare le tentazioni. Dobbiamo restare legati al nostro aratro. Contadini di sangue.
Ma liberaci dal male, e questa è davvero l’unica cosa che ti si può chiedere: liberaci dal male di vivere e non ci fare più nascere.
Lo guardo mentre dice il rosario.
Lo trasformo dentro di me in una preghiera blasfema.
La preghiera di un dio sconfitto e dolce che scopre di avere sbagliato tutto, di avere creato un essere che poteva solo peccare, di averlo condannato a vivere e diventare cattivo e lo scopre dopo tanto tempo.
Lo scopre e decide che può fare una cosa sola per quell’essere maledetto: morire anche lui.
Lo guardo mentre muore, il mio amico, sto accanto a lui.
Lo guardo ma non lo riesco a consolare perché il suo sudario, la sua nudità, il suo odore, le sue mani sempre più fredde, il suo muco canceroso, mi raccontano di questo dio dolce e sconfitto che sa, anche lui, di poterlo solo guardare morire.
Senza neppure la pace di una lancia di centurione a liberare l’anima dal dolore di vivere.