Chi li ha sciolti (Oscenità quotidiane)?
Nessun amore è tanto forte da resistere alla condivisione di una tazza.
Nessun amore è tanto forte da resistere alla condivisione di una tazza.
Bimba Piccola ha sicuramente un carattere molto difficile.
Non è possibile contraddirla senza che dia in escandescenze e le bizze di BP sono l’equivalente dell’uragano Katrina nel settore merceologico delle crisi isteriche.
Non è possibile calmarla senza darle ragione, ovvero senza rafforzare il suo già fermo convincimento di avere sempre ragione.
Il padre ha deciso di intraprendere la cura del ciaffone, che consiste in una reiterata e robusta serie di schiaffi, senza alcuna pietà.
Cura primitiva ma, per ora, efficace, anche se il dubbio è che prima o poi dovrà essere sostituita con degli elettroshock.
La cura del ciaffone in pubblico è imbarazzante.
Ingresso di asilo nido.
Crisi isterica di BP che non ha nessuna voglia di unirsi ai colleghi.
Robusta serie di ciaffoni.
Capannello di madri che osservano con disgustata disapprovazione il padre.
BP, interrompendo il pianto, con faccia congestionata, ma sguardo freddo ben fermo sul capannello:
–> Ha davvero un cuore di pietra.
Heracleum offre un servizio apparentemente fantastico.
Mostra la provenienza del traffico generato dal blog.
Il blogger scopre che cosa cerca chi lo legge.
Così uno pensa di scrivere cose normalmente intelligenti, normalmente argute, normalmente colte e, invece, scopre che i suoi affezionati lettori sono appassionati di tatuaggi hard, peni curvi, porno a Firenze e Tea Albini.
Delusione, tremenda delusione.
Per chi scrive.
Di più, forse, per chi legge, che cerca immagini con la chiave "il pisellino del mio ragazzo" e si trova davanti ad un post tutt’altro che umidificante.
Basta.
Cancello Heracleum dal blog.
Non voglio sapere chi mi legge.
Molto meglio non saperlo.
Il partito dell’amore viene affossato da Brunetta.
Con una intervista a Libero, nella quale propone di modificare anche la Prima parte della Costituzione.
Qualche riga può essere opportuna.
Il ministro della funzione pubblica, o di ciò che ne resta dopo i suoi interventi, non ha proclamato di voler cambiare l’intera Prima parte della Costituzione, ma di volerne salvaguardare i principi fondamentali, modificando quelle disposizioni che, a suo avviso, avrebbero resistito peggio alla prova dei tempi. Si tratterebbe dell’art. 1 (L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro), di 39 e 49, in punto di libertà sindacali e partiti politici, di 10 e 11, a proposito del valore dell’Unione europea, naturalmente sconosciuto ai costituenti.
In generale, può essere ragionevole sostenere la possibilità di modificare la Prima parte della Costituzione: sicuramente, gli artt. 39 e 49 devono fare i conti con un forte grado di dislessia del processo storico di attuazione dei valori costituzionali e il diritto di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico alla formazione dell’indirizzo politico nazionale dovrebbe essere completato, ad esempio, regolando il tema del conflitto di interessi e del grado di democrazia interna richiesto ai partiti politici.
E così via: l’art. 9 parla di ambiente solo come paesaggio e meriterebbe una rilettura maggiormente attenta ai temi dello sviluppo sostenibile.
Non così, forse, l’art. 1. La chiave del ragionamento di Brunetta potrebbe essere più profonda di quanto appaia dall’intervista. Il riferimento dell’art. 1 al lavoro come fondamento della democrazia, sul piano storico, deve essere letto come contrapposizione netta al capitale e come rifiuto della Costituzione di un sistema sociale ed economico fondato su di una economia di mercato puramente liberista.
E’ la promessa di una rivoluzione che compensa le delusioni del partito social comunista nella ricostruzione di Calamandrei.
Toccare questa disposizione costituzionale significherebbe cercare un altro fondamento assiologico per la nostra democrazia e Brunetta propone il mercato accanto al merito.
Come si potrebbe proporre il gioco o lo sviluppo sostenibile.
La verità, però, è che toccare un fondamento assiologico senza una impostazione ideologica forte, come forti erano le impostazioni dei costituenti, non ha nessun senso.
Significa spostare il peso del dialogo sulla distanza fra una democrazia di valori, come è ancora la nostra, ed una democrazia di procedure, come la nostra sta diventando.
La proposta di Brunetta, secondo questa chiave di lettura, dovrebbe essere ancora dilatata per essere completa ed onesta: L’Italia è una repubblica democratica che si fonda sul rispetto delle procedure stabilite nella presente Costituzione.
Ma una Costituzione senza valori fa davvero paura.
Asdrubale Delle Fregne e Rocco Passere, o qualcosa del genere: non ha molta importanza, sono i protagonisti della solita commedia di natale con De Sica ma senza Boldi.
Scandalo: il film è stato dichiarato di interesse culturale ai sensi dell’art. 2, quinto comma, d.lgs. 28 del 2004, in quanto presenterebbe significative qualità culturali o artistiche ovvero eccezionali qualità spettacolari.
Asdrubale Delle Fregne non potrebbe essere un esempio di cinema culturale.
Così Mereghetti sul Corsera e con tonalità vivacemente polemiche Travaglio sul Fatto quotidiano.
Forse non è così.
Asdrubale Delle Fregne e Rocco Passere meritano di essere considerati un eccezionale prodotto culturale.
Molto più dell’Uomo Nero di Sergio Rubini, che ha ottenuto la stessa qualifica, senza alcuna polemica, ma che è un film senza capo né coda, con un tono piuttosto pretenzioso e che si perde nel simbolismo dell’Uomo nero: chi è? Che significa? Che anche l’Uomo nero è buono o che non si deve avere paura dell’Uomo nero? Che un padre si conosce solo nell’imminenza della morte? Etc.
La verità è che De Sica rappresenta la cultura italiana quanto Rubini.
Molto più di Rubini.
Che discriminare i film, ovvero i prodotti dell’ingegno in genere, sulla base dell’interesse culturale significa fare censura e questo davvero sarebbe democraticamente inaccettabile.
Brutto dover essere d’accordo con Bondi.
Anzi, terribile.
Lo zio buco vive da solo.
Ufficialmente.
Con un gatto al quale assomiglia.
Hanno lo stesso arido egoismo.
Gli stessi occhi che sanno vedere solo se stessi.
Bimba Impertinente non lo vede volentieri.
Si annoia.
Non lo capisce ed il gatto non le piace per nulla, come lei non piace per nulla al gatto.
Passano il tempo a guardarsi in cagnesco.
Occorre convincerla per andare da Uncle Gay.
Stupidamente, il padre:
–> Oggi, passiamo a trovare lo zio
Impenetrabilmente, B.I.
–> SGRUNT
Sempre più stupidamente:
–> Non essere scorbutica, lo zio ti vuole tanto bene …
Sempre più impenetrabilmente:
–> Te lo ha detto lui?
Gli sms di natale vanno scemando.
E’ una fortuna.
Di meno, per chi non se ne accorge.
Tipicamente, tizio.
Un genio della comicità involontaria.
Quest’anno:
Come un fiocco di neve possa questo periodo adagiarsi sulla nostra vita, sciogliersi tra i nostri desideri, rinfrescare il nostro futuro ed idratare il nostro amore. Buon Natale da ____
Idratare, si, proprio IDRATARE.
Regali prima di natale.
Imbarazzanti.
Difficile decidere se si devono scartare ‘nanti il donante o se si deve aspettare.
Lo Scaccabarozzi, a lungo, è stato un esempio in materia.
Riceve i regali con signorile distacco.
Li appoggia sulla seconda scrivania della sua stanza.
Sorride, con un fare di bambino, che fa una porca figura sulla sua faccia, e chiede se può aspettare di aprirli sotto l’albero.
Con i figli.
Scusandosi ed aspettando il permesso.
Con la timida cortesia che rivela un segreto vergognoso ed intimo.
Un bel modo di fare.
Finché un natale di molti anni dopo non ti torna il regalo che gli avevi fatto molti anni prima.
Da una persona diversa.
Ma con sempre il tuo biglietto dentro.
E capisci.
Non era signorilità.
Era tirchieria.
O, forse, spirito ecologico.
Il senatore Raffaele Lauro ha presentato – alla stampa, ma non al Senato – un disegno di legge con cui proporrebbe di punire con una aggravante i reati di apologia ed istigazione commessi per il tramite della rete.
I reati di apologia e di istigazioni rappresentano un terreno costituzionalmente molto delicato: il confine della libertà di manifestazione del pensiero "lecita" e necessaria per l’affermazione dei valori costituzionali con quel pensiero che è talmente vicino all’azione da confondersi con essa.
E’ un tema vecchio: in realtà, probabilmente, dal punto di vista logico distinguere fra diverse categorie di pensiero sulla base della loro contiguità all’azione è un esercizio impossibile.
Una democrazia esige che la libertà di manifestazione del pensiero possa avere anche contenuto eversivo dell’ordine costituzionale: un partito politico può essere antisistema. Tuttavia il confine fra la normale attività di propaganda di un partito politico antisistema e l’apologia del reato di insurrezione armata ovvero l’istigazione all’attentato contro la Costituzione può essere molto labile.
Più interessante la questione del mezzo utilizzato: la rete diventa una aggravante.
Perché?
Perché usare la rete per diffondere le proprie opinioni politiche è più pericoloso di qualsiasi altro media?
La vera differenza fra la rete e gli altri mezzi di comunicazione è l’accessibilità e la costruzione di un modello democratico in cui è possibile la libera associazione fra quanti hanno idee e sentimenti simili fra di loro, senza alcuna barriera sociale o economica.
Il sottoscritto accede molto facilmente al suo blog per postare le sue idee, ha molte più difficoltà a scrivere per il Corsera o ad essere invitato da Vespa nel suo salotto pomeridianamente differito.
Questo rischia di dare molto fastidio e genera disegni di legge come quello annunciato, ma non presentato, più un cadeaux che un progetto di legge, dal senatore Lauro.
Ma non è Lauro che preoccupa di più in questo periodo.
Preoccupa il processo Vivi Down.
In questo processo, che sta arrivando a sentenza, quattro top manager di Google sono accusati di non avere impedito la trasmissione tramite You Tube di un video in cui un ragazzo affetto dalla sindrome di Down veniva vessato.
Un terribilmente banale episodio di cyberbullismo.
Per la pubblica accusa, Google, in persona dei suoi top manager, avrebbe dovuto impedire la diffusione di questo video.
L’accusa è eversiva di una serie di norme giurisprudenziali e di legge: il "service provider" che si limiti a concedere l’accesso alla rete, nonché lo spazio nel proprio "server" per la pubblicazione dei servizi informativi realizzati dal fornitore di informazioni, non è responsabile della violazione del diritto d’autore eventualmente compiuta da quest’ultimo (in questi termini, già: Tribunale Cuneo, 23 giugno 1997, in Giur. piemontese 1997, 493).
Questo indirizzo giurisprudenziale si è consolidato nell’art. 16, primo comma, d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, per il quale:
Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: (a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; (b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
E’ una norma che, per la libertà di manifestazione del pensiero, ha un valore materialmente costituzionale, perché consente a qualunque persona di accedere alla rete e rendere accessibili le proprie idee senza subire il controllo preventivo di nessuno.
La sottile censura del processo Vivi Down, dal nome della associazione che lo promuove come parte civile, è pericolosa perché introduce nella rete una nuova tensione: le policies dei Service Provider in materia di privacy, per citare Facebook, ovvero di diritto di autore, per ricordare The Pirate Bay, possono decidere che cosa pensano le persone.
La tenaglia dei due movimenti, la giurisprudenza milanese del caso Vivi Down e l’aggravante Lauro, può rendere molto difficile manifestare il proprio pensiero ed è pericolosamente vicina ad un sentimento autoritario della rete che fa rabbrividire.
Marianne Faithfull ha una voce straordinaria.
Roca.
Non ha un canto straordinario.
E’ stato detto che si è semplicemente trovata al momento giusto nel posto giusto.
Senza altro talento che il sapere dove si trovava.
Può darsi.
Però sicuramente sa modulare la sua voce e sa modularla come se lo stereo si stesse spogliando per te e lei fosse seduta sopra all’amplificatore.
E’ un dono.
Di cui fanno parte le inflessioni cockney e il calore di nicotina che lega le parole molto più del suono limpido di Alison Kraus.
Tipa non ha questo dono.
Parla un oscuro dialetto calabrese, arrotando le c come un cinese nato a Prato.
Lei, però, non se ne rende conto.
Pensa anche di essere un gran fica.
Naturalmente, non lo è.
Non basta la voce per essere una fica.
Soprattutto se non sei Marianne Faithfull e la tua voce trasuda la volontà di nascondere il dialetto.
Ci sono zolle di terra da cui è impossibile lavarsi.