07/10/2009
Oggi, è attesa la sentenza sul cd. Lodo Alfano.
I giornali incorrono pronostici e chiacchierano di incostituzionalità, incostituzionalità parziale, inammissibilità, infondatezza, e quant’altro, costringendo i loro cronisti a ripetere l’esame di diritto costituzionale come se fosse una sessione di superenalotto.
Dal punto di vista costituzionale, dal punto di vista di uno studioso di diritto costituzionale, appare difficile sostenere l’incostituzionalità del Lodo Alfano.
Non perchè questa legge sia conforme alla Costituzione.
Non sembra esserlo.
Ma perchè le ordinanze che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale evocano dei parametri che rendono molto complesso l’accoglimento della questione di illegittimità costituzionale.
Il più ficcante di questi parametri è l’art. 138, Cost., che chiederebbe, secondo le prospettive dei giudici milanesi, una legge costituzionale per introdurre la sospensione dei processi in favore del Primo Ministro.
Tuttavia, è un parametro costituzionale molto scivoloso, che costringerebbe la Corte a introdurre una forma di riserva di legge costituzionale non necessariamente evocata dal testo costituzionale ed è un parametro su cui la Corte si è pronunciata molto raramente: l’ultima volta, salvo errori, con la sentenza 372/2004, a proposito del riconoscimento di altre forme di convivenza more uxorio diverse dal matrimonio operata dallo Statuto della Regione Toscana e la sentenza fu, non a caso, di inammissibilità.
Eppure, politicamente parlando, la sentenza di incostituzionalità appare non improbabile dopo avere ascoltato gli interventi di Gaetano Pecorella, presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e quindi avvocato istituzionalmente scomodo: una carica dello Stato non può difendere un’altra carica dello Stato dinanzi alla Corte costituzionale senza confondere le ragioni del libero foro con considerazioni politiche, e di Ghidini, che ha reso molto complicato per la Corte respingere la questione di legittimità costituzionale nel momento in cui ha affermato la superiorità del Presidente del Consiglio rispetto alle ragioni della giustizia per effetto della investitura popolare.
Il ragionamento di Ghidini, nella sostanza, ha costretto la Corte costituzionale in un angolo: se la Corte respingesse la questione di legittimità costituzionale riconoscerebbe il valore taumaturgico del voto popolare e questo sarebbe davvero troppo.
In questa situazione pare possibile quotare l’incostituzionalità del Lodo Alfano, almeno a 2,10, tanto per fare un numero.
Ma l’aspetto singolare è che questo non dipende dalle ragioni dei giudici milanesi, che avrebbero meritato un ben diverso fiato, ma dalla difesa del Premier, che lascia immaginare una congiura di palazzo, in cui si gioca un atout apparentemente azzardato: se la Corte accoglie la questione, gli avvocati del Premier acquistano un prestigio inimmaginabile perché ottengono l’avallo costituzionale sul plusvalore di legittimazione democratica del voto popolare. Se non l’accoglie, gli avvocati del premier vincono il premio Bruto perché potranno sostenere di essere i veri artefici della caduta del dittatore.
Da tempo, si parla di congiure e Arlecchino Calderoli ha mostrato più volte di vedere le mani di Letta su questa vicenda, che davvero sembra perfetta per le caratteristiche da gentiluomo del consigliori di Berlusconi.