Parla di un dito monco.
Difende la ghigliottina che lo ha trattato come fosse un sigaro.
Nel sonno di tutto il collegio.
Ma si parla per la cancelliera che annuisce vivace.
Parlerò a macchia di leopardo.
Come fossi una mutanda sudicia
Non sa nemmeno fare di conto troppo bene e le tabellone sono un mistero più profondo della Santissima Trinità.
Ma sa essere davvero dolcissima…
Somiglia a un lontano cugino di mio padre.
Rosso come un lupo fulvo.
Quel rosso di capelli che si accompagna a una pelle arrossata.
Che suggerisce la prontezza al vino e alla caccia.
In un mondo nel quale i poderi erano ancora isole nell’arcipelago delle invasioni barbariche.
Sono mesi che le mie dita hanno lasciato queste scie, avvolte in un’ombra fredda e densa che spella i miei sentimenti, annulla le mie parole prima che si formino, concentra le forze in belle immagini di birra e tabacco biondo firmate Hermes.
Mesi di freddo e delusione fredda come vino di acciaio.
In questa notte, appare Luigi con tutta la irreparabile forza della sua morte e degli anni trascorsi dalle ultime parole che abbiamo scambiato.
Luigi era un uomo che aveva saputo lasciare tutto e da questo molto imparare l’arte del riciclaggio.
Sapeva trovare una lavatrice in un bosco, smontarla e ricavarne mie utensili più una ciotola per l’insalata che ancora oggi uso.
Sapeva scavare nella sua mente sino a masticare un ricordo e raccontarlo con grazia, anche se era fatto di fame e paura, della fame e della paura che avevano attraversato come una oscura tempesta gli Appennini della sua infanzia.
Un paio di scarpe nelle sue mani non erano mai abbastanza rotte per non poter camminare di nuovo e quando non potevano più camminare diventavano un utile d’altro che sempre stupiva e commuoveva.
Così di tutte quelle parole, delle tante giornate passate alla corte roca di quell’accento parmense che se chiudo gli occhi sento fra le dita, restano una ciotola di insalata e un paio di scarponi rincollati.
E il sorriso di suo figlio, quel filo di bava che lui asciugava come se fosse normale, sorridendo a sua volta di una nascita che sapeva di miracolo ma che non aveva mai imparato a camminare.
Perché di tutto e prima di tutto aveva imparato a riciclare anime.
Mai, in tanti e tanti anni, ho compreso perché più di tutto del mare amo la scia che lascio dietro di sé come ferita d’aratro.
Perché del vivere amo il rammentare, il quando si era ragazzi di chi bimbo non è mai voluto nè riuscito essere.
Perché l’attimo che vivo ha senso solo se si trasforma in parole e memoria.
E tutto questo nonostante sia distratto e portato a dimenticare.
Ma forse è proprio dimenticare la cosa che più amo e che mi riesce meglio.
È questo l’alba. Il momento in cui le cose perdono l’incerto contorno della notte e tornano nette. In cui le voci non sono più sussurri e la luce rivela tagliando. Scolpisce le immagini.
E noi scriviamo come se fossimo altro che braccianti chiamati ad arare campi di battaglia.
La poesia inizia da qualche parte fra lo stomaco e il culo. Inizia con un sentimento di sconcerto e di stupore. Con un bisogno di fotografia che è china d’anima. Continua con un porco senso di inadeguatezza che non si ferma mai. Con la sensazione che qualcosa esce sempre dalle parole. Che il pennino non è mai abbastanza preciso.
Finisce nel mazzo di fiori che sta accanto alla strada. In quell’attimo_momento che tutto pareva chiaro, che le parole sembravano colorarsi di precisione, che finalmente la bocca sembrava camminare di pari passo con cuore. Ma era solo sangue d’orecchi_naso_asfalto.
Improvvisamente la raggiunge un raggio di sole e la verità non è un bacio.
Bimba Piccola adora, ovviamente, le patate fritte.
Le mangia compunta.
Una dopo l’altra.
Fissandole a lungo prima di portarle alla bocca.
Dolcissima ed esasperante.
Il padre le chiede di sbrigarsi.
Lei risponde: Il tempo non torna.
E riprende con la stessa compunta, esasperante, dolcissima lentezza.
Ha ragione.
Il tempo non torna, nemmeno quello delle patate fritte…
Ascensore.
Vecchia sfiorita con fiori.
Sa, professore, che mi è nato il quinto nipote…
Congratulazioni, secco come la frusta dell’indifferenza.
Ma è maschio anche questo. Avrei tanto voluto una femmina…
Non si preoccupi, Signora. Può sempre cambiare idea
😕
Da grande, secco come uno schiocco nelle porte che si chiudono.