Come pomodori nell’orto
Ci sono giorni in cui se ti giri e ti rigiri non li riconosci più.
Per come sono cresciuti nella notte del tuo sguardo.
Nella frescura della distanza.
Come pomodori nell’orto un giorno, il giorno, della Primavera.
Leone, lo chiamava il suo babbo, perché era un leone in gabbia ovunque si trovasse.
A scuola, ma anche sul campo da calcio e perfino sul pratone dell’Olmo, che è davvero grande e per quello che allora era un bambino delle elementari conteneva Far West e Yukon, confinando i mari del sud e il Peloponneso di Ulisse.
Si staglia ancora oggi in questa sala d’attesa per nulla sterile, sporca di vecchi, di piscio di vecchi e donne incinte.
Come uno scoglio quando la tempesta lo copre e si richiude in se stesso per non affogare, per respirare gli ultimi fiati di schiuma.
È nelle Urgenze, che significa un tumore, un malaccio, una terapia biologica, un troiaio che leva il sonno e strappa i capelli sotto il cappellino che è la divisa di questa porzione di dolore.
Leone: un cazzo, pensi mentre lo copri di quell’oblio che è pietà e sudario distogliendo lo sguardo.