Solita polemica fra il Capo dello Stato e il movimento 5 stelle.
Il Capo dello Stato ha inviato un messaggio alle Camere denunciando la situazione carceraria, un vero scandalo per i diritti umani e per la stessa forma democratica della Repubblica, ed invitando ad una riflessione politica sulle ragioni di amnistia e indulto.
Il movimento 5 stelle replica che si tratta di una scialuppa per Silvio Berlusconi che beneficerebbe della misura di clemenza.
Il Capo dello Stato si indigna e grida allo scandalo: non sarebbe possibile pensare una cosa del genere se non si avesse in testa un unico tema.
Può darsi che sia vero.
Ma sicuramente sono ragionevoli anche alcune altre – pacate – considerazioni.
Primo, che la situazione carceraria in Italia sia uno scandalo non è una novità di questi giorni e non è la visita di Napolitano a Regina Coeli che lo rivela, come se fosse un segreto di Stato.
E’ la precisa responsabilità di un sistema repressivo in cui la risposta penale è inadeguata alla effettiva gravità dei fatti e il sistema carcerario non traguarda effettivamente l’obiettivo della rieducazione del detenuto.
Su questo non incidono le misure di clemenza invocate dal Capo dello Stato. Non sono le amnistie e gli indulti che migliorano il processo penale o il sistema carcerario. Qui è necessario mettere mano a una riforma che tenga conto della difficile condizione dello straniero e della ragionevole adeguatezza delle misure alternative alla detenzione e ragionare di misure di clemenza sposta il fuoco dell’attenzione da questi temi, che probabilmente possono essere considerati quelli veramente meritevoli di attenzione.
Secondo, amnistia e indulto hanno a che vedere con la certezza del diritto: prendono una sanzione o un delitto e ne mutano l’ambito di applicazione con efficacia retroattiva e generalizzata.
Assomigliano molto a dire che la pena era giusta, ma che siccome non siamo in grado di applicarla correttamente allora si deve fare uno sconto.
E’ un ragionamento pericoloso, sia perché contrasta con il diritto alla retribuzione delle vittime, sia perché può indurre a un sentimento scriteriato da parte di chi confida nell’approvazione di misure premiali, non diversamente da quello che accade in materia edilizia, fiscale e previdenziale.
E’ anche un ragionamento inaccettabile, perché uno Stato di diritto non può fare sconti sulla certezza delle pene.
Terzo, amnistia e indulto sono misure generali. Le misure generali non hanno la capacità di distinguere fra chi effettivamente ha subito una condanna giusta e si è saputo redimere, è stato capace di un percorso che lo ha condotto a maturare un atteggiamento serio e critico circa il proprio passato e chi ha vissuto la prigione come una parentesi di inferno, da respirare, ingoiare, subire ma senza alcuna capacità di reazione.
Non così, la grazia, che può davvero essere considerata come uno strumento che distingue fra chi attraverso il carcere ha guadagnato la libertà e chi nel carcere ha imparato quella sostanza di galera che penetra i pori dello spirito come il fritto insudicia il cuoco cinese.
Questo lo sapevano bene Einaudi, Segni, Saragat e persino Leone che hanno usato molto spesso di questo strumento in una logica di clemenza penitenziaria, sfiorando il migliaio di grazie.
Non lo sa Napolitano che ha usato raramente della grazia e solo in casi davvero particolari, come un cittadino americano che odorava da vicino di ragion di stato piuttosto che di clemenza.
In questa situazione, è davvero ragionevole il rimprovero di Napolitano al movimento 5 stelle?
Per un verso assomiglia molto al proverbio per cui la lingua batte dove il dente duole o il più greve chi per primo l’ha sentita stai pur certo che di lì l’è sortita.
Per un altro verso impedisce una riflessione seria e pacata sui delitti e sulle pene, a valle della quale e solo a valle della quale, può essere ragionevole disporre un’amnistia e un indulto, secondo lo schema da tempo suggerito dalla Corte costituzionale per il condono edilizio che può essere ragionevole ma solo se accompagna una riforma organica del sistema normativo in materia di governo del territorio.
Soprattutto, però, ci allontana da una riflessione vera sulla grazia come strumento di clemenza del Capo dello Stato.
Il movimento 5 stelle apre a un governo tecnico.
In questi termini, la capogruppo nella dichiarazione di voto al Senato.
Propone: Zagrebelsky, Rodotà, Settis ma si dichiara disposta a valutare anche nomi.
Lo fa con voce rotta, emozionata, come di chi non è abituato a parlare in pubblico.
Di fatto, però, lo fa.
Ed è una novità nello scenario politico: la crisi del governo Letta potrebbe avviare l’ipotesi di un governo tecnicamente politico.
O, più precisamente, politicamente controdemocratico.
Dopo, Scavone, con involontaria autoironia, osserva che nel 1978 le grandi coalizioni si chiamavano – non senza angoscia – solidarietà nazionale.
La parola più pronunciata è vulnus. Sapranno cosa vuol dire?
Bondi ricorda il compromesso storico: per Letta, partecipazione significa estromettere il leader dei moderati italiani dalla vita politica ed è il mondo della cultura che pone il problema della sopravvivenza del governo come una questione di equilibrio fra i poteri dello Stato e di politicizzazione della magistratura.
Se come poeta è discutibile, come comico sta migrando nel vernacolare.
GAL (MPA e Grande Sud) voltano gabbana alle 1245 citando Tommaso Moro, un santo per attenuare il proprio tormento e la grande tristezza che li attaglierebbe…
Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi, pare essere l’unico commento.
Invece la domanda è se questi novelli scilipoti potranno sanare la spaccatura del PdL.
Bitongi (Lega Nord), sul matrimonio omosessuale: la famiglia dell’art. 29, Cost., quella vera è quella di Barilla (dove c’è famiglia, c’è la pasta asciutta), non quella fra persone dello stesso genere.
Forse Barilla dovrebbe cambiare pubblicità e potrebbe essere di successo: gli spaghetti piacciono anche alla lobby omosessuale.