Chi scrive, ieri sera, ha messo a letto presto le figliuole, ha attrezzato il desco televisivo, armato di canottiera, mutande di ghinea, bretelle, birra e ms blu.
Come il ragioniere, prima dell’arrivo di Bongo e dello sfratto senza convalida dall’amata alcova.
Gli esami sono sempre una rottura di scatole.
Una rottura tremenda per chi da anni è costretto ad ascoltare la propria materia strapazzata da mani incolte, i temi che si amano devastati da una sapida ignoranza in cui raramente appaiono dei barlumi di stupidità.
In un corridoio di giustizia.
Urla e strepiti.
Provengono da stivali metallici, che si innalzano su calze a rete, sciatte di smagliature larghe come scannafossi, e terminano su uno spacco che potrebbe essere vertiginoso se non odorasse di macelleria. Non troppo fresca. Il resto è coperto dalla voce di gallaccio travestito.
Tremenda l’offesa.
Tremende le urla.
Divertito il capannello che si forma senza avvicinarsi di un passo.
Triste l’anziano che ascolta tutto quello che gli viene detto.
China la testa nel più cerimonioso degli inchini che anni di salamelecchi gli hanno insegnato.
Non un inchino alla giustizia che è dovuto.
Ma alle sue calze smagliate.