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Il mio cane ed io (io non somiglio al mio cane: è lui che deve assomigliare a me)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/05/2022

I cani sono come i figli e i figli sono come i cani.

I genitori assomigliano ai figli come i padroni assomigliano ai loro cani, il che, fra l’altro, vale anche per il rapporto di identificazione fra gli avvocati e i loro clienti.

Dietro la banalità di queste osservazioni, facilmente desumibili dalla lettura di Desmond Morris: fra la scimmia nuda e il suo libro sulla educazione del cane, non vi sono distanze particolarmente significative, c’è una porzione del mistero educativo.

Un padre e una madre educano il loro figlio. Il loro figlio finirà per assomigliare loro.

Egualmente un figlio educa i propri genitori. I genitori finiscono per assomigliare al proprio figlio.

Queste affermazioni sembrano speculari e in una logica politicamente corretta lo sono.

Ma non sono corrette: è nel mestiere di chi educa far sì che chi è educato impari a rispettarne l’autorevolezza e sia educato attraverso la sua sua autorevolezza.

Educare rinunciando alla propria autorevolezza è far male ai propri figli. Non solo a se stessi.

E vale anche per i cani e per i clienti degli avvocati.

Nonché per altre cose che è diventato inutile ricordare.

Tristi compleanni

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/05/2022

Mi piace ricordarti quando ancora camminavi e mangiavi a tavola con noi, come una persona normale, cui piaceva prendere due volte la pastasciutta e bere il vino.

Oggi, o domani, mi faresti gli auguri per il mio compleanno.

Li hai sempre fatti in anticipo e non li hai mai dimenticati. Neppure negli anni in cui siamo stati più distanti e malgrado quegli anni fossero i tuoi ultimi e la distanza lacerasse entrambi.

Mi manca già quella telefonata in cui avresti detto: Gian Luca, manca poco al tuo compleanno. Non molte altre cose perché non amavi parlare e la timidezza ti annodava le corde vocali quando si trattava di dire a tuo figlio che gli volevi bene.

Mi manca come mi mancano quei baci che davi protendendo le labbra sulla mia guancia.

Ogni volta che mi chiamavi per quegli auguri in anticipo non riuscivo a trattenere uno scongiuro: sono sempre stato molto più scaramantico e superstizioso di te.

Adesso so che non mi chiamerai, anche se guardo il telefono ogni volta che squilla sperando di trovare il tuo numero.

Lo so e non riesco a non trattenere le lacrime, come ogni volta che penso a te.

I compleanni sono anche gli auguri che non si ricevono. I tuoi, almeno, so che li avresti fatti.

Lenta agonia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/05/2022

T. ha iniziato da più di un anno a soffrire.

Non ha fatto in tempo ad andare in pensione che la sua vita è passata dal lavoro a un tumore professionale.

Adesso entra ed esce dall’ospedale: setticemia, epatite, tutto quello che colpisce un fisico debilitato dalla chemioterapia.

Soffre come uno che ha sempre provato piacere ad alzarsi presto e iniziare la sua giornata pulendo il gabinetto di casa e spazzando il pavimento dell’officina, uno che avrebbe voluto dedicare il suo tempo a insegnare quello che aveva imparato perché ci sono tanti modi di avvitare una vite e lui prova piacere a spiegarli.

L’ho sempre osservato con l’ammirazione con cui si pensa ai capimastri del medioevo, persone che sapevano consolidare l’esperienza di generazioni nell’intelligenza con cui programmavano il proprio lavoro.

Ho anche sempre amato il suo modo di riflettere sulla vita, di non lasciare scorrere un secondo di vita senza che questo attimo diventasse saggezza, senza che lo masticasse con quelli mani di lavoro e lo ripulisse con la sua raffinata intelligenza, facendolo diventare puro pensiero.

Adesso che sta morendo, il suo pensiero si concentra sempre di più sul senso del male alla fine della vita e sul significato della vita se il suo termine è pura sofferenza.

Riesce a farlo senza amarezza, trovando pace in questa riflessione atea: non nel suo contenuto ma nell’azione del soffrire riflettendo.

Se mi avessero chiesto se volevo nascere, non so che cosa avrei risposto: la gioia del vivere non paga il dolore di morire.

Ma so che se mi chiedono se voglio vivere o morire, non tocca a me rispondere.
Questo penso in un’altra giornata che è trascorsa invano.
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