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Violenze (inutili?)

4 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
13/11/2007

Un poliziotto della stradale ha ucciso una persona che sedeva in una auto.
Un immigrato clandestino ha ucciso una persona che tornava a casa.
Un padre ha ucciso la figlia che voleva vivere la sua vita.

Sembrano violenze inutili.
Lo sono davvero?

E’ davvero impossibile pensare che prendere una persona, addestrarla all’uso delle armi, convincerla che l’ordine pubblico è un importante valore costituzionale e dopo metterla a passare le sue giornate dietro ad un autovelox, appostata come un apache in uno spaghetti western, non sia pericoloso?
Potrebbe anche accadere, come forse è accaduto, che quando a questa persona sembra di poter finalmente fare quello per cui è stata addestrata, la sua ansia uccida qualcuno che non c’entra nulla o che comunque non aveva il diritto di morire in quel modo.

Egualmente, non pare molto difficile immaginare che la massa delle persone invisibili, che vivono ai margini della nostra quotidianità, sparata nel buio delle loro baracche da televisioni accese come falò nella notte di Custer, non possa non ribellarsi.
Anche con un gesto idiota, un gesto da pecora nera, un gesto ignobile.
Il genere di gesto che compie una vittima quando decide di essere, per qualche secondo, carnefice.

Così è di una cultura importata come se fosse cibo giapponese, senza nessun tentativo di comprenderla o di accoglierla.
Può succedere che diventi una miscela che si rivolta contro l’inadeguato, contro la persona che non riesce a capire cosa gli accade intorno, e si ribella chiudendosi in un tradizionalismo ancestrale che funziona alla maniera di una coperta di Linus, fino a soffocarlo, perfino negli istinti più inevitabili.

Sono tutte violenze inutili.
Incomprensibili.
Stupide.
Inaccettabili per una cultura privilegiata.
Odiose alla classe dominante.
Ma perfettamente razionali e ragionevoli se si guardano le folle che si scatenano contro il popolo rumeno e picchiano dei disgraziati su un muretto fuori da un hard discount o che si divertono a giocare a corteo (il war game molto anni di piombo che faceva scontrare manifestanti e polizia) contro una caserma ed una sede della televisione di Stato.
Sono esattamente l’altra faccia di quelle folle.

Una sorpresa di ferragosto

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
12/11/2007

Un antico palazzo centrale.

Bello come sanno essere belli i palazzi che sono riusciti a restare incompiuti prima di diventare decadenti. Alcuni uffici, le stanze dei proprietari originari sparse, frazionate, disperse: come una raccolta di francobolli dopo un colpo di vento.

Il figlio del fabbricatore di angeli ha un attico. Poche stanze, con molto charme, affacciate sui tetti. Non e’ amato. Non era amato suo padre e nemmeno lui puo’ esserlo. Ma e’ un bell’uomo. Non alto, forse, ma con l’aria mite e gentile di chi non avrebbe voluto essere tanto fortunato. La moglie se l’e’ dovuta cercare lontano.

E’ bella lei. Molto olandese nel suo essere occhi grigi e capelli neri. Alta. Orgogliosa. Un bell’incedere fatto di mostrarsi senza vedere.

Hanno un figlio. Una decina d’anni, portati con tutta l’arroganza di chi sa essere orgoglioso del proprio sangue marchiato. Di chi sfida gli sguardi che conoscono la sua impresentabilita’.

Lei fa la stilista. Dice di fare la stilista. E si accompagna sempre con un’altra donna. Bella anch’essa. Lo stesso sguardo di straniera. Lo stesso modo di portare gli abiti come se fosse nuda e non le importassero gli sguardi, come se non si spogliasse per farsi guardare.

La sorpresa di agosto e’ lui che torna a casa ad un’ora imprevista. E trova lei e l’altra annodate nel talamo. Stupite ma orgogliose come conchiglie. Le butta fuori di casa. Due donne – ancora nude e capaci di restare bellissime – che attraversano il caldo deserto di un pomeriggio a mezzo agosto, rincorse da un nanetto imbestialito e urlante. Loro che sembrano fuggire per pieta’, per non umiliarlo con due sganassoni. Che ne sarebbero capaci e gli farebbero male. Parecchio.

Lo si e’ visto da solo per qualche mese. Solo, ma non senza il figlio insopportabilmente costretto a inventare una nuova arroganza, intagliata sul nuovo marchio che gli era stato donato.

Poi lei e’ tornata. Forse e’ voluta tornare, forse lui l’ha richiamata. Non si sa. Vivono di nuovo insieme. Esattamente come prima, ma quella che era una amica adesso e’ diventata una pelliccia da ostentare dinanzi a tutti, una frequentazione a meta’ fra il trofeo e lo scalpo (del figlio del fabbricatore di angeli).

Anziani (il rinnovo della patente)

10 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
10/11/2007

P3001Vi è un momento in cui un anziano rischia di diventare davvero vecchio.
E’ il rinnovo della patente, quando rischia la condanna alla immobilità automoblistica.
Una delle condanne più severe che il nostro ordinamento conosca.
Ma se l’anziano è uno di quei terribili vecchietti con il cappellino, che un tempo guidavano delle NSU lucidissime ed oggi delle Lancia Y altrettanto lucide, ma con imbarazzanti ammaccature, il rinnovo della sua patente è un grave dilemma di coscienza per i figli.
Che sanno perfettamente di avere un padre il quale non ci vede un piffero, che ricorda una geografia dei sensi unici preistorica, che ha i riflessi dilatati nel tempo, come il suono in assenza di atmosfera.
Allora si entra in un limbo di scocciature terrificanti, nel quale l’anziano tutto pimpante, il cappellino ben calzato in testa, si sveglia e telefona la sua intenzione di prendere la macchina e fare una girata al mare per vedere se tutto è a posto, se la casa non è crollata, se il vento non ha sbarbato le piante, etc.
E ci si ritrova a moccolare dicendo: "Ma babbo, vengo anch’io, di novembre il mare fa benissimo alle bambine", per non lasciarlo solo e soprattutto per non sentirsi dire al ritorno: "Non riesco proprio a capire perché in autostrada se uno va a sessanta tutti gli suonano…"
Sarebbe bello avere il coraggio di dire che non è il caso di rinnovare la patente, che ci sono problemi più gravi nella vita di un essere umano, che per queste cose non è mai morto nessuno.
In fondo, si nasce uomini o caporali e il coraggio se uno non l’ha è difficile inventarselo.

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