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Lunedì, fisiatra (il male degli altri)

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
29/10/2007

Come tutti i lunedì, la mia schiena ha avuto bisogno del fisiatra.
Ho già avuto modo di narrare della sua sala di aspetto.
Un luogo spoglio, appena separato con una parete attrezzata, credo si chiamino così, dalla scrivania della segretaria che parla a telefono con le sue amichette.
Di solito, aspetto con il portatile sulle ginocchia, ripasso la posta in entrata, preparo la posta in uscita, gioco a sudoku, a seconda dell’umore.
Questa sala d’aspetto è un luogo di conoscenze: i malati cronici tendono ad essere affabili con i colleghi.
Normalmente non sono affabile.
Non ho mai accettato troppo di essere un malato cronico.
Di conseguenza, disdegno le abitudini dei malati cronici.
C’è un collega, però, al quale mi sono affezionato.
E’ anziano.
Un vecchio medico.
Sempre molto elegante.
Un bastone lo tiene in piedi e la gamba sinistra si muove a passo di tip tap.
Sorridente, malgrado il dolore della schiena distrutta dalla gamba paralizzata.
Al collo, un cartello con il numero di cellulare del figlio, per il caso in cui si senta male e non riesca a tornare a casa.
Ci incontriamo tutti i lunedì mattina da quasi tre anni.
Verso la fine del secondo anno, ha iniziato a darmi del tu.
Oggi siamo rimasti insieme più del solito.
Mi ha parlato come ad un vecchio amico: la cosa più difficile da accettare è non poter guarire, poter solo sperare di non aggravarsi, di rimanere come si è.
Ed ha continuato raccontandomi degli ultimi giorni di lavoro, della rabbia che lo prendeva quando sollevava il telefono e qualcuno gli diceva che stava male, che stava male di sciocchezze, mentre lui soffriva da urlare.
Della rabbia che provava nel non accettare una malattia che gli impediva di accettare la sofferenza dei suoi pazienti.
Poi mi ha chiesto di me.
Ed io, naturalmente, sono stato evasivo: anch’io non sopporto di non essere all’altezza del male degli altri.

Chi li ha sciolti? (Toto)

3 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
25/10/2007

Toto Cotugno non è solo il cantante anni ottanta che si sta rifacendo una verginità nei paesi dell’est.
E’ anche il giovane di bottega di un barbiere di lusso del centro storico di Firenze.
Un giovane barese di cinquantacinque anni.
Assolutamente convinto di essere identico a Toto Cotugno.
Anzi di essere il vero Toto Cotugno.
Peccato si chiami in un altro modo.
In ogni caso, porta un parrucchino con appiccicata la chioma del suo idolo.TotoCotugno
Indossa improbabili camicie a righe, di una stoffa modellata sulla tappezzeria di una professoressa di inglese arrivata zitella alla soglia dei novanta anni.
Aperte su un petto, dove, fra i peli, si affaccia un crocefisso a forma di ancora con catenaria da petroliera.
Le gambette affustate dentro a dei pantaloni di pelle, anche d’agosto, incredibilmente rigonfi laddove è opportuno.
Alla sera frequenta un night, sulle colline, dove verso la chiusura gli permettono di cantare e lui dice di accettare per filantropia, ma gli avventori non sono d’accordo.
D’estate, c’è sempre qualche festa dell’unità, del volontariato o di rifondazione che lo ospita, sgangherato, e,  in questo caso, gli avventori criticano la sua arte in maniera molto più palese.
Al mattino, lo si vede davanti al Chiosco degli Sportivi che guarda il cartellone con le corse dei cavalli, di cui è un notevole esperto, discetta di handicap e stacco, trotto e galoppo, segna numeri e numeri su un taccuino che porta sempre con sé, in una calligrafia infantile ed incerta, finché non si gioca l’intero stipendio.
Ecco, uno così è contento.
Sorride sempre.
Anche se ha tre figli di cui non sa nulla da più di venti anni.
Anche se si accompagna ad una donna che non disdegna di proclamare – pubblicamente ed a voce alta – la sua inutilità, quando alla sera lo recupera dalla sala corse e se lo riporta a casa in un tornado di improperi e pedate che non gli lasciano nemmeno toccare terra.

Il fondo del convegnista

5 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
24/10/2007

Oggi ha davvero toccato il fondo.
Prima di partire per il convegno, mi ha portato la marmellata fatta dalla mamma.
Ed è riuscito a lasciarmi senza parole.
Lo fa apposta.

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