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Freddy: come barbari che sacrificano il primogenito

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/12/2020

Freddy è una ragazza ferma sulla panca gelida del corridoio di attesa.

Freddy è con suo padre e suo padre indossa gli scarponi da muratore e le mani che conoscono il freddo della calce.

Ha la pulizia e l’odore di sapone di chi è abituato a lavorare con le mani.

Freddy ha le unghie colorate di nero e un cellulare con la custodia di Hello Kitty.

Ha i capelli lunghi, biondi e il viso sembra dolcissimo dietro la mascherina.

Freddy indossa lunghi pantaloni neri, svasati. Calzini da tennis bianchi, scarpe da ginnastica.

Il padre si china. Vede un filo di lana sui calzini. Si china e lo toglie. Con tutta la dolcezza di cui è capace.

Alza leggermente i pantaloni e si intravedono delle calze nere.

Li riabbassa con una carezza.

Perché Freddy si chiama Fernando. Non è una ragazza anche se si tinge le unghie e porta le calze e si è ammalato di anoressia.

Non riesco a non pensare che dai figli si sopporta tutto e ad avvertire tutto il mio fastidio per questo pensiero.

Dai figli non si deve sopportare niente perché se si sopporta significa che i figli quando sono quello che sono non sono quello che desideriamo che siano.

Ma un padre non ha il diritto di sperare che suo figlio sia qualcosa piuttosto che qualcuno, sia in un modo piuttosto che in un altro.

Ha il dovere di amare quello che è, nella sua nuda essenza di essere umano.

Di alzare, senza volere, un velo e riabbassarlo.

Baciandolo come quando si dà la buonanotte a un figlio appena nato e non si capisce che si sta baciando la propria speranza.

Come barbari che promettono il sacrificio del primogenito.

Ragni e zecche

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/12/2020

Ancora abbastanza attraente da provare gusto a umiliarti

Senziente

Pensante

Un incrocio fra ragno e zecca chi ti ha aiutata a essere prigioniera di te stessa

Ti osservo adorando la tua morte

Pensando che, senza ragni e zecche, avresti potuto essere una regina

Cui prostrarsi quotidianamente

Monoliti ideologici ci hanno portati dove siamo.

La morte di Caravaggio

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
22/11/2020

Caravaggio è morto nella febbre di una spiaggia, vicino a Porto Ercole.

E’ morto guardando il Sole, cercando di annullare il suo sguardo nella luce, di trasformarlo in calore, nel freddo sudato della febbre.

Solo di tutte le notti che aveva dipinto, cercando una luce che non mostrasse le unghie sporche di Bacco, un ragazzo di taverna che gli aveva trafitto il cuore mentre lui gli trafiggeva il culo.

La bellezza di Caravaggio aveva le unghie sporche anche quel giorno come ogni altro giorno che aveva vissuto e la febbre non era una malattia, era il suo modo di vedere, si faceva trafiggere dalla luce fino a trovare l’ombra della bellezza.

Bacco era su quella spiaggia a Porto Ercole e osservava la febbre di Caravaggio.

Da lontano, indeciso se salvare quello sguardo, accarezzarlo ancora una volta, accettarlo dentro di sé o se scappare lontano perché ci sono sguardi che attaccano la febbre, ci sono dei mal di vivere talmente belli che non si riesce a non star loro vicino fino a che non si comprende che il prezzo di quella vicinanza è lo stesso mal di vivere.

Caravaggio lo osservava, con i soliti occhi che trovano la notte della bellezza, sperava in un abbraccio che lo salvasse dal freddo della rena gelida di rugiada, che lo portasse vicino al Sole. Ma era troppo bella quella solitudine. Era troppo bello il quadro che la sua morte stava dipingendo.

I ritorni straziano il cuore e l’unica cosa che Caravaggio, Rimbaud e Casanova possono fare quando tornano è morire prima che le loro vite smettano di bruciare, consumarsi prima di essere fiamme che si spengono di consunzione invece di lasciarsi soffocare dal vento.

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