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Il fantasma di Anna Bolena

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/06/2020

Anna Bolena era una troia, non una troia da baraccone, ma una troia reale. Magari non era nemmeno troppo troia, magari non scopava con il fratello, il musico e il pirata, magari era solo una rompicoglioni ma il suo re decise che era una troia perché l’amava teneramente, profondamente, ingenuamente.

Anna Bolena aveva un amante, magari non ce l’aveva, ma il suo re decise che aveva un amante e che questo amante era un vichingo, che fosse il fratello, il musico o il pirata, chiunque di questi fosse, o fossero anche tutti e tre insieme, in ogni caso l’amante di Anna Bolena era un vichingo e la scopava come un vichingo prosciugandola e dissentandosi. Prosciugandosi e dissetandola.

Abbastanza per un processo: un re non si tradisce.

Abbastanza per una condanna a morte: un re non si tradisce con un vichingo.

Anna Bolena era una troia elegante e indossò il suo abito da sposa per il boia che l’avrebbe prosciugata senza dissetarsi, era un francese e non un vichingo. Provò la testa sul ceppo nella notte prima della esecuzione. Se si tradisce un re, si deve saper morire da regine, anche se il re non si è tradito, anche se il sesso con il vichingo, fratello, musico e pirata era un’invenzione di corte.

Anna Bolena era una troia piangente, capace di fuggire dagli Yeomen che la scortavano per spezzarsi le dita contro il granito della porta dietro alla quale Enrico pregava, perché i re pregano e gli dei hanno sempre belle parole per chi sa che cosa devono dire, ma non hanno orecchie per ascoltare chi gli chiede frasi che solo loro possono pronunciare.

Anna Bolena adesso è solo il fantasma di un’opera per abiti da sera e vernissage eleganti, ma a lungo è stata il fantasma dell’uomo che aveva tradito o che non aveva tradito, poco importa a una testa che rotola dal corpo. Quell’uomo che si era convinto che lei scopasse con un vichingo mentre lui l’amava teneramente. Che si era sentito umiliato dal fratello, musico e corsaro, dal loro dissetarsi dissetando, prosciugare prosciugandosi. Come si può sentire defraudato un amore tenero da un amore selvaggio, quasi un teorema per Sanremo. Ma non era così: le donna che si dissetano prosciugandosi, che non si fermano alla prima fonte che trovano lungo il sentiero, che cercano il sapore di tutte le bottiglie che un sommelier può aprire durante un’orgia, non vogliono tenerezza. La tenerezza chiede comprensione, la dolcezza vuole perdonare, l’amore chiede amore. Vogliono uno che si sappia prosciugare come loro, che sappia far male. Perché non ci sarà bisogno di comprensione, dolcezza o amore per bere a un’altra fonte e tornare a dissetarsi del fratello, musico, pirata. Non ci sarà bisogno di niente. Solo di una festa in maschera.

Questo Enrico non lo aveva capito. Per lui, era solo una troia. La troia di un re. Il fantasma di un re. Perché quando un re ama una troia e la troia muore, il fantasma di quell’amore resta. Non basta la dignità a scacciare i fantasmi. Non basta sapere che la sete di chi sa dissetare prosciugandosi è inesauribile. Che chi non nasce vichingo non lo diventa neppure se sposa Freya.

Ogni addio genera un fantasma e quel fantasma ripete, ogni notte, con la testa sotto il braccio, E’ inutile cercare quello che non esiste. E’ inutile, Anna, cercare un vichingo. E’ inutile, Enrico, cercare una sposa. Si trovano solo fantasmi e, in questa storia, i fantasmi si dissetano prosciugando.

I diosperi non sono lontani dai gelsomini

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
14/06/2020

L’ultimo amore è un diospero che cade quando il gelo vince sull’incoscienza che regala il frutto più dolce in quei giorni vicini alla notte, troppo vicini alla notte per credere ancora nella primavera

Il primo amore è un gelsomino che improvvisamente decide di fiorire quando la primavera allunga le sue dita sull’anima e il mattino è una luce che non conosce inverni

I diosperi e i gelsomini decidono il momento di fiorire e di dare frutti. Ciascun diospero, ciascun gelsomino lo decide. Chi prima, chi dopo. Ciascun uomo e ciascuna donna

Fioriscono e danno frutti quando pensano, con il pensiero lento delle cose animate, che il mondo potrebbe essere loro, che i colori dei loro frutti e i profumi dei loro fiori possono disegnare il mondo e il mondo può essere felice di essere disegnato così

Si sbagliano, si sbagliano sempre: il mondo, dopo qualche giorno, ritorna quello che era, fa a meno di loro e li dimentica

Così sono gli amori sbagliati, quelli che non ci possono permettere, quelli che finiscono in un aborto, fiori dimenticati, frutti calpestati

E si chiede perdono, non per non aver visto il disegno del mondo, non per aver pensato di cambiarlo, ma per non esserne stati capaci.

Per non essere riusciti con il profumo di un fiore e la dolcezza di un frutto e donare il sollievo di un istante, il desiderio di un giardino incantato e si biforcano i sentieri, senza dimenticare, ma solo calpestando quei fiori e quei frutti, con la rabbia sorda di un pellegrino che sa di avere sbagliato sentiero ma non riesce a smettere perché è più facile dimenticare un santo che ammettere di aver smarrito la strada.

Canzone di notte n. 5

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/06/2020

Guccini non ha ancora cantato Canzone di notte n. 5, si è fermato a 4, almeno credo.

Oggi, almeno credo, compie 80 anni e fa effetto per chi conosce le sue canzoni da 40, le ha ascoltate bevendo mezza lattina di birra con il suo migliore amico e giocando a scala 40. Erano adatte a quello che eravamo allora.

Sapevano di poesia e di rutti, rammentavano donne che scomparivano e amori che svanivano fra il fumo delle Pall Mall e il freddo del mattino quando il mattino era andare a scuola.

Fanno effetto questi ottant’anni perché Guccini ha cantato la visione del mondo di chi non sa che cosa lo aspetta, di chi pensa che ci sia qualcosa da credere, non ha ancora capito che si pensa di poter credere nel futuro solo perché non lo si conosce.

Oggi ho caricato Guccini sul mio stereo. Non so da quando non tiravo fuori dalla polvere quei dischi graffiati di vinile, comprati con i soldi della nonna, rubati al denaro che mi serviva per le sigarette.

Ho ritrovato quella voce potente e bassa, sgraziata, adatta al vaffanculo piuttosto che a Prevert.

Dio non è risorto, mi sono detto spengendo lo stereo e rimettendo a posto Due anni dopo.

Convinto che lo abbia pensato anche lui, nel suo compleanno, perché per uno che ha scritto Noi non ci saremo la cosa più triste è esserci ancora.

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