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La lettera scarlatta

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/05/2020

La signora dalle scarpe gialle ha trovato una lettera scarlatta in fondo al suo cuore.

Facile ludibrio bigotto.

Lontano dalla verità che è altrettanto bigotta ma meno banale del verosimile.

La signora dalle scarpe gialle sa che il verosimile, non la verità, assomiglia all’edera.

Cresce, si arrampica, abbraccia fino a soffocare.

Non c’è amore nell’abbraccio dell’edera.

Non c’è amore nella crudeltà banale delle presunzioni.

La signora dalle scarpe gialle lo sa perfettamente e stringe i propri cerotti per camminare come se non provasse dolore.

Sa che nessun albero si può liberare dall’edera senza la compassione di un giardiniere.

Non è facile essere i giardinieri di se stessi e gli alberi, in fondo, amano l’edera che li soffoca rivestendoli di una parvenza di foglie, vogliono morire dentro quelle foglie che li rendono belli e li fanno soffrire.

E’ la storia della lettera scarlatta, anche se forse Nathaniel Hawthorne la vedeva diversamente, con il suo romanticismo un po’ gotico e provinciale, il romanticismo di un doganiere.

Geroglifici e scarpe gialle

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/05/2020

 

Erano parole le scarpe gialle.

Parole che stavano in un bagagliaio.

Ben nascoste.

Più false di una moneta d’argento nella bocca di un poeta ebreo.

Dal loro nascondiglio, permettevano ad altre parole di sgorgare. Parole senza tacchi. Parole innocenti. Parole che parlavano di giardini dai sentieri che si biforcano e di biblioteche senza fine, dai corridoio appena illuminati dalla luce fredda delle miniature.

Ma le scarpe gialle non possono restare nascoste a lungo.

Le scarpe gialle hanno bisogno di tornare ai piedi di chi le sa indossare e la regina delle scarpe gialle le ha messe di nuovo. Non ha neppure aspettato che le sue ferite rimarginassero. Ha cercato il dolore. Suo, di altri. Non importa.

Sono troppo belle le scarpe gialle per lasciarle dentro un bagagliaio e la regina ha ripreso il suo cammino, stretto i cerotti intorno alle dita, ingoiato il dolore e indossato il sorriso con cui Elena osservava Paride e rammentava Menalao.

Ora che le scarpe gialle sono tornate al loro posto, anche le parole sono tornate geroglifici.

Parole scritte per non essere lette. Ma non per essere dimenticate, Come poesie cucite nel cappotto di un poeta ebreo in una fredda anticamera di morte apparecchiata dal montanaro del Cremlino.

Nessun perdono può essere dimenticanza.

La coda per il cornetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
16/05/2020

Uno degli effetti della fine dell’emergenza pandemica è la coda davanti ai bar.

Persone e persone, più o meno ordinate, che aspettano di entrare per ordinare un caffè o un cappuccino. Mangiare il loro cornetto o un budino o un maritozzo.

Lì per lì, sembra assurdo che questa stentata fine di emergenza ci veda tutti in fila per il cornetto, come prima siamo stati in fila davanti alla farmacia o il supermercato.

Facile chiedersi se tutte queste persone, con la loro aria da Germania dell’Est negli anni ottanta, non possano fare colazione a casa, tuffando i biscotti nel caffellatte o tostandosi una fetta di pane del giorno prima.

Ma poi la testa va avanti.

Il bar non è un posto qualsiasi per molti. E’ quello spazio in cui ciascuno trova esattamente il suo posto al bancone, più o meno vicino alla macchina del caffè e si sente chiedere se anche oggi vuole poca schiuma nel cappuccino o se il caffè deve essere basso.

Per molti, il bar è un luogo dello spirito, quello spazio in cui per poco più di due euro si viene riconosciuti.

Non sono in coda per un caffè o un cornetto.

Sono in coda per sentirsi dire che sono sempre loro, anche dopo due mesi senza barbiere, passati a guardare l’immobilità del mondo attraverso le tapparelle.

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