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Darwin, Leandro e la maratona di Trieste

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/04/2019

Leandro

Leandro Bonacchi, cittadino italiano, nato e residente a Casole d’Elsa, millesimo di nascita: 2007.

Si afferma in praticamente tutte le gare regionali di atletica leggera da quando ha tolto i pannolini e iniziato a correre. Si dice, infatti, che il Bonacchi non abbia mai camminato.

Simpatico e riccioluto.

Molto più alto dei coetanei.

Leandro ha il sorriso di chi si accorge durante una corsa campestre che il secondo – naturalmente dietro di lui – è caduto e si ferma per aiutarlo ad alzarsi.

Ha un problema di pigmentazione cutanea, talmente comune nei paraggi in cui sono nati i suoi genitori da non essere un problema ma un carattere genetico.

I genitori degli altri bambini, che sono ariani, non sempre apprezzano e talvolta ci scherzano: 2007? Quello del 2007 ci ha i figlioli urla una madre il cui figlio lambisce con la sommità del capo il mento di Leandro, che comunque sorride, perché è arrivato primo anche questa volta.

Forse Leandro non dovrebbe partecipare alle gare del 2007.

E’ troppo bravo.

Ma, forse, Leandro è l’inizio di un mondo diverso, in cui ci saranno molti bambini come lui, nati a Casole D’Elsa, Pordenone o Taranto.

Un mondo che, per una volta, non dispiace lasciare ai propri figli.

Dispiacerebbe, invece, lasciargli un mondo in cui Leandro non potesse correre alla maratona di Trieste a causa della pigmentazione della sua pelle e degli altri suoi caratteri genetici.

Non per buonismo ma perché Darwin la pensa esattamente così e a Darwin, come alla legge di gravità, non si sfugge.

Il ricatto dei rider

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/04/2019

1971

Norma Rangeri sul Manifesto di questa mattina ha preso una posizione chiara a favore dei rider, i fattorini che portano piatti pronti dai ristoranti alle case dei loro clienti.

I rider hanno fatto notare ai clienti, ricchi e famosi ma anche piuttosto tirchi, che sanno dove abitano.

Il che suona come Voi non ci date la mancia e noi raccontiamo a tutti dove state di casa, così imparate

Per Norma Rangeri, non ci sarebbe niente di male in un fattorino che chiede la mancia e ciascuno dovrebbe sentire il dovere di remunerare spontaneamente il lavoro di chi sa non essere pagato in misura tale da poter vivere una esistenza libera e dignitosa secondo il contratto collettivo di riferimento.

Una posizione più che discutibile e molto vicina alla retribuzione compassionevole del cameriere nei paesi di lingua inglese.

La prima volta che sono stato in un albergo di lusso, il facchino mi prese la borsa malgrado le mie proteste, mi accompagnò alla camera, mi mostrò con cortesia tutto quello che dovevo sapere e, quando tirai fuori di tasca cinquemila lire, disse Questo è il mio lavoro chiudendo la porta sul mio imbarazzo.

La lotta per un contratto più giusto ed equo è ragionevole, legittima e, spesso, degna di ammirazione.

Il ricatto per la mancia è altro. E’ l’assalto dei miserabili al palazzo del re.

Dispiace leggere sul Manifesto la sua difesa ma un tempo in via Tomacelli c’era anche l’ufficio di Craxi e non solo la redazione del più puro fra i quotidiani della nazione.

Leda e Tindaro

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
25/04/2019

Leda non amava Tindaro

Tindaro era re di Sparta

Leda, sua moglie

Bella, bellissima,

bionda da far innamorare un dio giocoso e imperscrutabile

Tindaro era violento come un re razziatore e contadino.

Sua moglie non era sua moglie, era il trofeo della sua forza,

un trofeo da esibire e umiliare.

Leda si innamorò dei cigni,

della loro eleganza, della loro capacità di nuotare come statue antiche e di volare con l’eleganza di un’aquila,

ma anche della loro fedeltà, della capacità delle femmine di covare le uova e dei maschi di fare la guardia al nido,

Leda pensava questo seduta davanti a un canneto

Ci pensava mentre sapeva che Tindaro stava tornando da una lontana razzia,

coperto di gloria, sangue e fango,

sporco delle donne che aveva posseduto, preda di guerra e umiliazione,

tronfio delle donne che possedeva, preda di guerra e umiliazione,

prezzo pagato con il sangue di amici, fratelli, compagni.

Ci pensava perché sapeva che quella notte Tindaro avrebbe preteso il prezzo del suo trionfo,

le sarebbe salito addosso, avrebbe sudato sino a liberarsi,

umiliandola di dolore e del desiderio di finire presto,

quel desiderio che fa fingere orgasmi profondi e pronunciare parole orribili,

tutto purché sia finito questo peso sulle spalle,

questo odore di altre che la soffocava.

Leda pensava a tutto questo e guardava i bambini giocare pensando che Tindaro era loro padre

con la preoccupata vergogna di una madre che pensa a chi non potranno non somigliare.

Giove sapeva cosa provano le donne quando guardano i cigni e si trasformò in quel sogno di eleganza e fedeltà,

incuneandosi fra le gambe di Leda, riempiendola del piacere di essere proprietà di un animale fedele,

un animale capace di fare la guardia al nido mentre la sua femmina cova le uova.

Non fu così

Giove_cigno scomparve e Tindaro_re_razziatore arrivò,

pretese quello che era suo.

Leda gli dette quello che era suo,

con tutta la disperazione dei falsi orgasmi e delle parole orribili che lo appagavano.

Fu così che nacque Elena, Elena di Troia,

Fu così che Leda diventò Nemesi, la dea della vendetta.

Giove non le aveva dato una figlia, le aveva dato la vergogna di non sapere di chi fosse la figlia,

se del sogno che si era materializzata o del predatore che era tornato.

La vergogna che è vendetta verso un padre che non sa di guardare con orgoglio il frutto di lombi divini perché desiderati assai più dei suoi,

Ma anche verso la madre cui la vendetta è stata donata come una cicatrice che non saprà mai risarcire,

La ferita della vergogna di essere la moglie di Tindaro,

La ferita della vergogna di essere la madre di Elena di Troia,

La ferita della vergogna di essere stata l’amante di un cigno, che era il padre degli dei.

Altre sono le dee fortunate.

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