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Oggi, non c’ero (Il primo giorno di liceo di Bimba Impertinente)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
17/09/2018

Oggi, il primo giorno di liceo di Bimba Impertinente, non c’ero.

Non ci potevo essere e comunque non sarei stato una presenza gradita.

Non avrò le fotografie di Bimba Impertinente che attraversa il portone del liceo da collazionare con il nido, la materna, le elementari e la scuola media. Mi dispiace.

Io non volevo fare il liceo classico e nemmeno il liceo che ho fatto. Ne avevo paura. Avevo paura di non riuscirci, di non essere all’altezza.

Ho imparato ad amare questo liceo giorno per giorno, versione per versione, senza mai sentirmi davvero all’altezza delle cose che stavo studiando, dei temi che mi venivano proposti.

Poi mi sono trovato tante volte a spiegare perché quei cinque anni passati a sudare la Germania di Tacito e riflettere sul motore immobile di Aristotele erano stati per tutti noi così importanti.

Sono due gli argomenti che spesso ho utilizzato.

Il primo è che al liceo classico, non si impara a far di conto. La matematica è soffocata dal latino e dal greco e questo può disturbare molto chi crede nella importanza dei numeri e di saper far di conto più velocemente della persona con cui fa affari facendo le vesti di conversare.

La mia società conta spesso, l’essenziale è quasi sempre un numero e quel numero è il punto di arrivo di un algoritmo solo apparentemente matematico, come il prezzo di un’opzione su un mercato non regolamentato.

Al liceo classico, si impara che i numeri sono meno importanti delle parole, non sono niente senza lo sforzo di capire che è proprio di chi cerca il significato delle parole e le parole contengono le persone.

Il secondo argomento è legato alla specificità del latino e del greco. Le lingue hanno sempre una loro specificità che deriva dalla funzione che hanno assolto. L’inglese è una bellissima lingua di connessione, la cui eleganza è la semplicità. Il francese è diplomatica poesia. Il tedesco, precisione di medici, ingegneri e filologi. L’italiano è una lingua di ricordi, serve per raccontare un paesaggio mentre sta scomparendo.

Il latino ed il greco, invece, sono lingue morte, che si conoscono non per come erano parlate da un mercante della Beozia o da un mercenario di Brutium, ma per come furono parlate da poeti talmente raffinati e profondi da resistere alle notti barbare.

Di una parola greca o latina, noi non conosciamo il significato quotidiano ma solo quello che ha avuto nella lingua scritta di uomini dalla sensibilità eccezionale, capaci di raccontare il discorso di un guerriero all’oceano dell’eternità e di esprimere con una sola parola la potenza di una persona nell’attimo in cui stava diventando polvere.

Ho pensato a questo oggi che era il primo giorno di liceo di Bimba Impertinente e non glielo ho detto perché sono cose che si capiscono solo se si capiscono da soli.

A lei, ho detto solo che anche sul mio banco qualcuno aveva inciso con una chiave la frase “Dio aiutami”, che ha trovato incisa sul banco della sua classe e che mi ha fatto ricordare l’angoscia delle versioni prima di trovare il bandolo della matassa.

Perché il liceo è anche saper dialogare con quell’angoscia, senza la quale, forse, non s’impara molto.

Il delitto perfetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/08/2018

Di Maio ha definito come un delitto perfetto l’aggiudicazione della gara per lo stabilimento di Taranto dell’ex Ilva ad Arcelor Mittal.

Sarebbe un delitto perfetto perché non sarebbe stato tenuto nel dovuto conto l’interesse pubblico al risanamento ambientale ma questa omissione non consentirebbe l’annullamento in via di autotutela della gara.

Il delitto perfetto, il delitto della Rue Morgue sognato da Edgar Allan Poe, è il delitto in cui il colpevole non può essere punito, perché  il colpevole non è l’assassino.

Le parti in gioco, il colpevole e l’assassino, sono la politica e l’amministrazione: il livello politico, che è definizione dei valori che consentono di unire le persone in una comunità, e l’amministrazione, che è la trasformazione di questi valori in realtà, per mezzo di imparzialità e buon andamento, rispettando il principio di legalità dell’azione amministrativa.

Per Di Maio, si ha un delitto perfetto perché le regole dell’azione amministrativa impediscono alla politica di tornare sui suoi passi, malgrado vi sia una lesione dell’interesse al risanamento ambientale di Taranto.

Non è un delitto perfetto: è il principio di legalità e sarebbe davvero terribile uno Stato che consentisse al principio di legalità di cambiare di senso ad ogni avvicendamento politico.

Di Maio, però, non parla più di Ilva, sembra essersi arreso, sembra avere trovato nella retorica del delitto perfetto il motivo per giustificare il tradimento di una promessa elettorale piuttosto chiara.

Parla, invece, con lo stesso vigore, della concessione ad Autostrade e urla, insieme al suo ministro Toninelli, a gran voce che questa concessione deve essere revocata e che è il momento di tornare alle nazionalizzazioni.

Anche in questo caso, sembra di poter parlare di un delitto perfetto: perché la revoca della concessione a Autostrade per l’Italia non riguarda il livello della politica – il livello della costruzione dei valori e della comunità – ma il livello amministrativo: dipende dall’analisi della convenzione in essere e dalla comprensione pro veritate della gravità dell’inadempimento commesso dal gestore nel momento in cui il ponte Morandi è crollato.

Ma lo stesso vale anche per il proclama con cui Di Maio affida a Fincantieri l’opera di ricostruzione del ponte, senza considerare che, forse, è la convenzione in essere che regola chi affida i lavori che devono essere svolti e a quali condizioni e che comunque la scelta di un appaltatore non appartiene al livello politico.

Quando si parla di eccesso di potere, si parla anche di confusione fra politica e amministrazione, di un’amministrazione che si lascia condizionare dalla politica e di una politica che vuole scendere al livello dell’amministrazione.

E’ quello che Di Maio lamenta quando parla della gara sulla ex Ilva ed è esattamente quello che Di Maio fa quando parla di Autostrade: il suo ruolo dovrebbe essere di passare le carte all’Avvocatura dello Stato perché definisca le iniziative da intraprendere per tutelare l’interesse nazionale e, in questo, non c’è niente di politico.

C’è un contratto da interpretare.

Distinguere fra colpevoli e assassini è la base dell’eccesso di potere: Di Maio è il colpevole della revoca della concessione a Autostrade, se mai ci sarà, ma non è l’assassino, perché non può essere lui a disporla, deve essere il ministero delle infrastrutture, compiuti i necessari passi e rispettata la legalità procedimentale.

Anticipare a livello politico le scelte amministrative serve solo a precostituire un sintomo di eccesso di potere, ovvero a commettere un delitto perfetto: fingere di revocare, revocare con un provvedimento illegittimo in modo da consentire a Palazzo Spada di annullare la revoca, con buona pace di tutti: della politica che può affermare di avere fatto tutto quello che poteva, persino un provvedimento illegittimo, e delle Autostrade di Atlantia che possono riprendere i loro affari.

Avremmo voluto un mondo diverso, ma avremmo voluto anche un vice premier che non si fa ritrarre dal fotografo di corte dei Benetton (Oliviero Toscani) mentre attacca il loro impero economico, senza accorgersi dell’ironia di quel ritratto.

Come se fosse Sartre

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
23/07/2018

Tesi di laurea.

Il candidato affronta alcune questioni intorno alla nozione di pena e alla costruzione della fattispecie incriminatrice.

Dal punto di vista di un costituzionalista, il tema è interessante come un giallo di Don Wislow in russo. Avvincente ma solo per chi lo capisce.

A un certo punto il candidato cita Foucalt e si addentra nel suo pensiero. Diventa difficile non correggerlo.

Non fa una piega e si giustifica con un incredibile Ho usato Foucalt per semplificare.

Solo Sarte con la sua perfida ironia avrebbe potuto dire una cosa del genere.

Ma temo che questo signore di Sartre non abbia neppure gli occhiali…

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