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L’ordine di pubblico di Sara (Sarà ordine pubblico?)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
07/08/2024

Le cose cambiano: molto. Non più Dario che rincorre coloro che imbrattano i monumenti ma la più sobria Sara che rincorre coloro che vanno troppo forte in macchina sui viali.

Sembra impossibile: i viali di circonvallazione, perfino adesso che è pieno agosto, sono rallentati dagli infiniti e interminabili lavori della tramvia, eppure taluno – il meschino autore di questo post, ad esempio – riesce ad oltrepassare i limiti di velocità.

Di tre chilometri orari, una velocità che costa € 33,70, se paghi entro cinque giorni, home banking si fa tutto con il telefono, pochi istanti e sei contento di nuovo.

Sara mi ha scritto per posta certificata cinque volte in un mese, cinque volte € 33,70.

E’ giusto: chi viola la legge, deve assumersi le conseguenze delle proprie azioni e, d’altra parte, non c’è una legge che sanziona chi obbliga i cittadini a passare un’ora in macchina per percorrere i sei chilometri che vanno da piazza Beccaria all’imbocco della FI-PI-LI, nemmeno se i lavori dovevano essere finiti da tempo perché anche i ritardi sono multe, solo che si chiamano penali.

Non c’è la legge, ci sarebbe la ragionevolezza: se so che chi vive sui viali e talvolta esercita la propria libertà di circolazione con la sua macchina deve affrontare un calvario per raggiungere prima piazza della Libertà e dopo Porta Romana, gli metto l’autovelox alla fine del suo calvario e lo punisco se oltrepassa i cinquantasette chilometri orari dopo mezz’ora in cui non ha mai raggiunto i dieci chilometri orari?

Lo posso fare, sono nel giusto a farlo, ma forse non è troppo ragionevole.

Non è ordine pubblico: l’ordine pubblico è educazione alla legalità, è sicurezza dei cittadini, non sono le multe che fanno cassa per un bilancio comunale che ha bisogno di interventi strutturali in grado di assicurare sostenibilità al debito e giustizia sociale per i cittadini.

Ma queste sono osservazioni qualunquiste e meschine.

Meglio prendere l’autobus, oggi: lì ci sono i controllori con la polo bianco, un’altra invenzione post elettorale.

Giusto anche questo, ma in una città soffocata dal turismo, il biglietto deve essere eguale per tutti, con l’unico temperamento dell’ISEE?

Firenze plurale, per chi ci ha creduto, era l’idea di una Firenze capace di ascoltare, capace di proiettarsi fuori da Palazzo Vecchio e questo appariva molto convincente in una campagna elettorale in cui la destra cavalcava una meschina concezione dell’ordine pubblico come pulizia della città.

L’ordine pubblico, però, non sono né gli autovelox né i controllori con la polo bianca.

Quelle sono solo scorciatoie per il pareggio di bilancio, obiettivo peraltro irraggiungibile.

Un Caligola di periferia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/03/2024

Caligola pranza con i genitori, in una trattoria fuori porta.

Ha gli occhi bistrati di un antico romano versato nelle perversioni del piacere, un foulard annodato al collo come se fosse un gentiluomo francese invitato a una colazione in campagna e una felpa non troppo abbondante da American Beauty. Il mischione è evidentemente oggetto di uno studio tanto meticoloso quanto inutile.

Parla, parla, parla.

I genitori, lei – petto di pollo alla pizzaiola, grandi occhiali, un po’ bassa, un po’ sovrappeso – lo guarda adorante, come solo una madre può guardare il frutto del suo ventre, ovvero senza capire che nessun altro vedrà mai quello che lei sta vedendo e che non farglielo intendere subito potrebbe non essere una buona idea. Lui – gallina in saor, maglione di uno che lavora davvero, jeans costosi, sneaker un po’ troppo sportive – lo guarda come un padre che ha preferito lasciar annegare il figlio nei vezzi della cara consorte piuttosto che litigare con entrambi e, in fondo, a distanza di pochi metri ci sono sia l’officina che il bar con gli amici e la partita di picchetto, che non si gioca più da nessuna parte figuriamoci in questa industriosa periferia.

Caligola continua a parlare, ha bisogno di soldi, non ha bisogno di soldi, vuole autonomia, ma non perché non gli vuole bene. Etc.

Lo osservo, ascolto con la coda dell’orecchio per sfuggire il pranzo con giornale che mi sta aspettando e rubare un pezzo di presente da immaginare diverso.

Penso a Caligola, ma non questo qui che un po’ gli assomiglia e che mi viene in mente perché ho amato Camus dissolutamente, ma quello che Caravaggio non ha mai dipinto ma che avrebbe potuto creare come Bacco, il giovane dissoluto e lascivo dalle unghie sporche.

Ecco, penso osservando questo giovane Caligola, io, cretino, ho sempre pensato che Caravaggio volesse dipingere l’umanità del sacro, che le sue Madonne fossero giovani sgualdrine per dimostrare l’umanità di Maria, un’operazione molto Ultima tentazione di Cristo di Katzanzakis.

Forse non era solo così.

Esistono delle persone che assomigliano esattamente a un diverso ideale, che non solo lo rendono diversamente umano, perché è quel diverso ideale che rende loro diversamente sacre.

Caravaggio che dipinge Bacco non sta pensando a Bacco, non vuole far vedere l’umanità di Bacco, magari non gli interessa niente di Bacco. Lui capisce, con la sua immensa capacità di vedere, che quel giovane dissoluto e vestito di un lenzuolo che non è difficile immaginare sporco di sperma ed escrementi si sente Bacco e dipingendolo come Bacco dipinge esattamente la sua essenza, il punto sacro della sua essenza.

Quella Madonna non una donna vera che dona la sua castità violata, il suo dolore, la sua povertà alla Madonna. E’ una sgualdrina che solo dipinta come una Madonna trova la sua perfetta identità.

Così è del nostro giovane Caligola. Se Caravaggio lo avesse visto, lo avrebbe ritratto come Caligola, ma senza pensare al terzo imperatore della gens Iulia, all’erede di Tiberio, a Camus. Pensando a lui, perché Caligola è talmente cenere da non essere mai esistito mentre questo è qui ed è lui.

Cronache dal patriarcato (Lince)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
13/03/2024

Il Lince è una delle guardie giurate che vigilano sull’accesso ai treni nella stazione di Santa Maria Novella a Firenze.

Se è stato soprannominato Lince, ci sono delle ragioni e lui, purtroppo, le conosce benissimo perché anche se non è un genio e perfino se non avesse mai avuto uno specchio, sono stati i suoi amici che glielo hanno fatto capire fin dalla più tenera età.

Il Lince ha preso molto sul serio il suo nuovo lavoro. Se ne sta impettito dinanzi ai varchi e fa osservare a chi vuole entrare dall’uscita che c’è un divieto e che deve passare dagli appositi varchi presidiati dai colleghi del Lince.

Una donnina, il genere di donnina che si descriverebbe più volentieri se le regole sulla repressione del patriarcato non avessero imposto una stretta censura sul linguaggio da utilizzare nei confronti di queste appartenenti al genere femminile per necessità genetica ma non per vocazione spirituale, pretende di passare dal varco che il Lince presidia.

Il Lince interviene.

La donnina non lo considera e uno dovrebbe dire: Niente di nuovo, il Lince sa che nessuno considera quello che dice come meritevole di attenzione. Ma il Lince non la pensa così, pensa di svolgere una funzione essenziale per il corretto mantenimento dell’ordine pubblico ferroviario di cui è diventato un appassionato sostenitore, e la rincorre chiedendole di passare dal varco corretto. La donna per necessità inizia a urlare: Mi violenta, aiuto, mi violenta… Il Lince questa volta si blocca e si guarda intorno smarrito, tutti lo guatano come se avesse davvero tentato di violare le virtù della donnina che, nel frattempo, si allontana indisturbata.

Questa volta, il treno l’ho perso io per spiegare la situazione alla solerte agente di polizia ferroviaria con cui il povero Lince non riusciva a comunicare perché lo spavento lo aveva bloccato e lui è abituato a bere acqua e zucchero quando un’emozione troppo forte lo scuote.

Le vittime del patriarcato non sono solo le donne indifese e non tutte le donne sono indifese.

A dir la verità ci sono anche le donne che non sono troppo donne.

Ma questo non si può dire.

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