L’uccello di Clemente
New York, 8 ottobre 2007 – Columbus Day (che peraltro cade il 12 ottobre)
Il ministro della giustizia, e non anche della grazia, italiano sbotta in un simpatico: "I biglietti, li ho pagati io, per i cazzi miei: 8.800Euro per me e mia moglie Sandra".
Di conseguenza l’uccello del ministro vale più di ottomila Euro, quasi novemila.
Non è male.
A parte, il feticismo, quello che conta mi pare che siano due polemiche.
Da una parte, i costi della politica e dell’uso personale della politica. E’ una polemica che si affaccia dai tempi della unificazione, che ha ammalato politici, come Giolitti, dallo spessore un pò più denso del guardasigilli di Ceppaloni.
E’ una polemica su cui continua a valere la pena di interrogarsi perché coinvolge il prezzo del consenso e le dinamiche della democrazia.
Temo, però, che sia una polemica vecchia: il consenso si forma in maniera sempre meno clientelare.
O meglio attraverso clientele sempre meno ceppalonesche.
E’ sempre più vecchio, e forse anche sterile, il meccanismo del voto di scambio, il prezzo dello scambio ha un moltiplicatore molto più basso del costo della propaganda.
Le autoreggenti della Brambilla generano più consenso per Berlusconi di un posto alle poste e gli costano molto meno.
La seconda polemica riguarda l’autonomia della magistratura.
Qui, forse, Mastella non ha tutti torti.
Esiste uno scandalo in Lucania: avvocati e magistrati che pilotavano le cause, non solo penali, ma soprattutto civili, per il tramite di una consorteria trasversale al sistema politico e fortemente interconnessa con lo stesso.
E’ uno scandalo di cui non si comprendono bene i confini.
I giornali ne hanno sempre parlato nelle pagine interne.
Non è facile nemmeno rammentare il suo esatto contenuto.
La comunicazione di questo scandalo oggi è che il magistrato coraggioso che ha cercato di portare in dibattimento il malaffare rischia di essere trasferito.
Ma:
(i) questo magistrato aveva chiesto di essere trasferito a Napoli per motivi personali, sicché aveva già deciso di mollare l’osso;
(ii) questo stesso magistrato ha consumato somme particolarmente ingenti, oltre un milione e mezzo di Euro, in indagini che potevano essere delegate alla polizia giudiziaria, come indagini assai più complesse e delicate sono state affidate alla polizia giudiziaria da Falcone o Borsellino;
(iii) vi è nella autonomia costituzionale della magistratura, un duplice filtro: da una parte, gli ispettori ministeriali cui sono affidate le indagini che sole possono giustificare l’attivazione del potere disciplinare del CSM su impulso del guardasigilli sono magistrati; dall’altra parte, il CSM è composto per due terzi da magistrati, sicché il potere politico può materialmente molto poco nei confronti di un magistrato se la classe dei magistrati non condivide le sue censure.
In questo, Mastella mi pare che abbia assolutamente ragione: se i suoi ispettori gli denunciano delle irregolarità, lui ha il dovere di attivare il consiglio supremo della magistratura ed il consiglio ha il dovere di verificare la sostanza di queste irregolarità.
Aggiungo che, a mio parere, non è una irregolarità da poco l’esternalizzazione delle indagini. Lo Stato ha il dovere di far fronte alla lotta contro il malaffare utilizzando il proprio apparato perché la pubblica amministrazione è vincolata al principio di legalità ed al dovere di imparzialità. Fare a meno di questo appparato significa anche fare a meno di questi valori costituzionali. In questi casi, ci si deve chiedere perché il magistrato titolare delle indagini ha utilizzato dei consulenti di propria esclusiva fiducia e rispondersi che gli apparati dello Stato erano al servizio del malaffare può essere comodo.
Infine, dire che il CSM ha già censurato Mastella perché non ha concesso le misure cautelari che il guardasigilli chiedeva (così Giuseppe D’Avanzo su Repubblica di oggi) è falsificare la realtà: le misure cautelari sono concesse sulla base di una cognizione sommaria, che lascia del tutto impregiudicato il merito della questione.
Insomma, Mastella è un relitto storico.
Naif.
Non simpatico.
Odioso quando afferma di non poter essere sottoposto al giudizio della opinione pubblica perché sorretto dal voto massiccio dei suoi elettori.
Ma anche la magistratura non è sempre simpatica.