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Il Cicisbeo e le sedie da giardino (ambizione e tenerezza)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/04/2019

AmbizioneETenerezza

Il Cicisbeo è un personaggio. Uno di quelli che hanno bisogno di farsi ricordare. Che quando entra in un negozio deve farsi riconoscere. Che crede di essere simpatico e che la sua simpatia sia l’arroganza di chi non ha saputo invecchiare e pensa di avere un’età che permette tutto. I cinque anni dei bambini che non hanno l’intelligenza per capire che Ma che bel bambino spesso significa Se potessi, ti spedirei sulla Luna con un calcio.

Il Cicisbeo ha deciso di acquistare delle sedie da giardino. Ha deciso di farle comprare da sua moglie e di accompagnarla. La povera donna sa quello che l’aspetta. Lo ha sposato come si sposa un matrimonio maldestro come un elettrodomestico aggiustato con lo scotch e adesso entra nel negozio portandosi dietro tutte le pene di una bocca che quando si apre è un vulcano che spruzza lava di merda.

Le sedie sono belle ma costano troppo. Il Cicisbeo sa come ottenere uno sconto. Avvicina un sorriso di otturazioni perfette e dentifricio alla commessa:

Alla Metro, le pago la metà

La commessa ha abbastanza anni da avere imparato da uno sguardo alla moglie del Cicisbeo i disturbi del personaggio e, soprattutto, non è la commessa ma la proprietaria e non le frega niente di perdere un cliente risponde, secca:

Su Amazon, di meno, e soprattutto, almeno lì, nessuno la vede

Anche questa, in fondo, è tenerezza e ambizione.

O ambizione e tenerezza?

Aviazione (Dove la mancia serve a comprare i lecca lecca)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/11/2018

L’Aviazione è una pizzeria, non troppo lontana dalla stazione di Campo di Marte a Firenze.

Una di quelle pizzerie che fanno anche hamburger con patatine, hot dog e ali di pollo fritte.

Teoricamente piacevole.

Piacevole fino a un venerdì nel quale la cena con i parenti venuti da lontano era stata prenotata da tempo per ovvia comodità ferroviaria e dopo ampie discussioni familiari.

La cena c’è stata e ci sono stati anche i parenti. Ma non c’erano solo loro, c’erano anche montagne di bambini scalmanati che hanno reso impossibile qualsiasi forma di conversazione , gridando, cantando e passando fra i tavoli come cuccioli di lupo della Tasmania. Inutile chiedere ai camerieri uno sforzo da domatori di fiere in fieri. Assolutamente inutile.

Per pagare il conto, bisogna andare alla cassa e alla cassa c’è il tipico proprietario di pizzeria che si veste alla boutique dei proprietari di pizzeria d’un certo livello, il quale chiede se è andato tutto bene.

E’ andato tutto bene, anche se nessuno ha chiesto il livello di cottura della carne quando veniva ordinata, ma è un particolare irrilevante. E’ dispiaciuto invece cenare con lo stesso livello di pressione sonora di una mensa d’asilo o di una cava di calcare.

Il proprietario della pizzeria risponde che, come sanno tutti, chi prenota non può non sapere che all’Aviazione il venerdì e il sabato ci sono bambini che giocano e corrono.

Il cliente si scusa: Se è così, se questo è il vostro business model, mi scuso per avere protestato. Evidentemente sono stato un idiota a ospitare da voi i miei parenti.

Prende il conto, paga con la carta di credito, si avvede dello sconto di dieci euro che gli è stato fatto, tira fuori una banconota da dieci euro dal portafoglio e la lascia con la ricevuta della carta di credito.

E’ la mancia? chiede il proprietario, stupito dal gesto.

No, è per i lecca – lecca, risponde il cliente, guadagnando l’uscita con la rapidità del suo mal di schiena.

Anche questa volta, gli occhiali sono serviti a qualcosa: senza non sarei mai riuscito a leggere lo sconto di dieci euro.

Il delitto perfetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
28/08/2018

Di Maio ha definito come un delitto perfetto l’aggiudicazione della gara per lo stabilimento di Taranto dell’ex Ilva ad Arcelor Mittal.

Sarebbe un delitto perfetto perché non sarebbe stato tenuto nel dovuto conto l’interesse pubblico al risanamento ambientale ma questa omissione non consentirebbe l’annullamento in via di autotutela della gara.

Il delitto perfetto, il delitto della Rue Morgue sognato da Edgar Allan Poe, è il delitto in cui il colpevole non può essere punito, perché  il colpevole non è l’assassino.

Le parti in gioco, il colpevole e l’assassino, sono la politica e l’amministrazione: il livello politico, che è definizione dei valori che consentono di unire le persone in una comunità, e l’amministrazione, che è la trasformazione di questi valori in realtà, per mezzo di imparzialità e buon andamento, rispettando il principio di legalità dell’azione amministrativa.

Per Di Maio, si ha un delitto perfetto perché le regole dell’azione amministrativa impediscono alla politica di tornare sui suoi passi, malgrado vi sia una lesione dell’interesse al risanamento ambientale di Taranto.

Non è un delitto perfetto: è il principio di legalità e sarebbe davvero terribile uno Stato che consentisse al principio di legalità di cambiare di senso ad ogni avvicendamento politico.

Di Maio, però, non parla più di Ilva, sembra essersi arreso, sembra avere trovato nella retorica del delitto perfetto il motivo per giustificare il tradimento di una promessa elettorale piuttosto chiara.

Parla, invece, con lo stesso vigore, della concessione ad Autostrade e urla, insieme al suo ministro Toninelli, a gran voce che questa concessione deve essere revocata e che è il momento di tornare alle nazionalizzazioni.

Anche in questo caso, sembra di poter parlare di un delitto perfetto: perché la revoca della concessione a Autostrade per l’Italia non riguarda il livello della politica – il livello della costruzione dei valori e della comunità – ma il livello amministrativo: dipende dall’analisi della convenzione in essere e dalla comprensione pro veritate della gravità dell’inadempimento commesso dal gestore nel momento in cui il ponte Morandi è crollato.

Ma lo stesso vale anche per il proclama con cui Di Maio affida a Fincantieri l’opera di ricostruzione del ponte, senza considerare che, forse, è la convenzione in essere che regola chi affida i lavori che devono essere svolti e a quali condizioni e che comunque la scelta di un appaltatore non appartiene al livello politico.

Quando si parla di eccesso di potere, si parla anche di confusione fra politica e amministrazione, di un’amministrazione che si lascia condizionare dalla politica e di una politica che vuole scendere al livello dell’amministrazione.

E’ quello che Di Maio lamenta quando parla della gara sulla ex Ilva ed è esattamente quello che Di Maio fa quando parla di Autostrade: il suo ruolo dovrebbe essere di passare le carte all’Avvocatura dello Stato perché definisca le iniziative da intraprendere per tutelare l’interesse nazionale e, in questo, non c’è niente di politico.

C’è un contratto da interpretare.

Distinguere fra colpevoli e assassini è la base dell’eccesso di potere: Di Maio è il colpevole della revoca della concessione a Autostrade, se mai ci sarà, ma non è l’assassino, perché non può essere lui a disporla, deve essere il ministero delle infrastrutture, compiuti i necessari passi e rispettata la legalità procedimentale.

Anticipare a livello politico le scelte amministrative serve solo a precostituire un sintomo di eccesso di potere, ovvero a commettere un delitto perfetto: fingere di revocare, revocare con un provvedimento illegittimo in modo da consentire a Palazzo Spada di annullare la revoca, con buona pace di tutti: della politica che può affermare di avere fatto tutto quello che poteva, persino un provvedimento illegittimo, e delle Autostrade di Atlantia che possono riprendere i loro affari.

Avremmo voluto un mondo diverso, ma avremmo voluto anche un vice premier che non si fa ritrarre dal fotografo di corte dei Benetton (Oliviero Toscani) mentre attacca il loro impero economico, senza accorgersi dell’ironia di quel ritratto.

Cose da Bimba Piccola (Adoro il Tasso)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
08/07/2018

Improvvisamente, ma molto improvvisamente, dice di adorare il Tasso.

Lo stupore del padre è evidente.

Sono anni che cerca un libro in grado di aiutarla a diventare grande leggendo, anche se non avrebbe mai pensato al Tasso e avrebbe preferito raccontarle l’Orlando Furioso.

Uno stupore che diventa interrogativo senza bisogno di aprire bocca.

Adoro le crociere…

Dice senza essere interrogata.

Il padre torna sulla terra e smette di domandarsi in quale scatolone si sia nascosta la sua Gerusalemme Liberata.

In fondo, se fosse orfana non sarebbe un suo problema.

Sono Iacopo e vorrei parlare con Davide

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/04/2018

Sono Iacopo e vorrei parlare con Davide potrebbe essere stato il modo con cui Iacoboni avrebbe potuto evitare le polemiche che invece si sono scatenate quando il giornalista – non accreditato – non è stato ammesso a partecipare ai lavori del convegno organizzato da Casaleggio per discutere di politica con un respiro più ampio rispetto agli eventi di questi giorni.

Non lo ha fatto e non è stato ammesso a partecipare ai lavori: chi chiede di essere ammesso in un luogo privato aperto al pubblico deve dimostrare di essere in possesso del titolo di ammissione.

Detto così sarebbe molto semplice.

In realtà, però, dietro all’esclusione di Iacoboni dai lavori di un convegno in cui un soggetto pubblico, anche se non esplicitamente politico, si preoccupa dei valori che devono essere perseguiti per costruire un futuro condiviso, è di per sé preoccupante perché nasconde il desiderio di scegliere chi ci racconta.

Scegliere chi ci racconta, però, non parla di un free market of ideas, secondo la felice espressione di John Stuart Mill, ma ricorda piuttosto il meraviglioso Aspettando il voto delle bestie selvagge di Kourouma.

Detto così è un po’ più complicato ma ancora abbastanza semplice.

In verità, tuttavia, i giornalisti non sempre rispettano la verità e qualche volta nemmeno la verosimiglianza. Non è sempre facile ottenere la pubblicazione di una notizia o l’ascolto dei lettori. Nemmeno è facile che quello che si vorrebbe dire sia tradotto in maniera imparziale.

Il ruolo del giornalista dovrebbe essere la mediazione fra la complessità di un racconto e l’interesse dell’opinione pubblica a farsi un’idea, talvolta però la nobiltà di questo compito degrada verso il mestiere del promotore di un determinato interesse o di una determinata visione della realtà.

Detto così è definitivamente complicato, un rebus irrisolvibile se non si tiene conto che chi sta raccontando al paese una visione del mondo per ottenerne il consenso, non può negare a nessuno di dire la sua su questa visione del mondo. Ma anche che i giornalisti appartengono a un albo e sarebbe molto bello se questo albo si facesse effettivamente carico del decoro della professione.

Gli albi, però, sono troppo spesso alibi.

Consultazioni: Sergio Mattarella dal punto di vista di Antonio da Mestre

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/04/2018

Le consultazioni iniziano oggi e la situazione politica è talmente complessa che molti italiani, come Antonio da Mestre e Alvaro da Pisa, vorrebbero essere al posto di Mattarella.

Per la prima volta, da molti anni, le consultazioni per la formazione del governo sono al centro delle discussioni nei bar della penisola e i vari Gigi da Palermo danno consigli all’allenatore, come se si trattasse della nazionale ai tempi di Ezio Sella.

Le tesi di fondo che si contrappongono sono due.

La tesi pentastellata: il partito che ha ottenuto più voti ha diritto di formare il governo perché ha ottenuto più voti.

La tesi leghista: la coalizione che ha ottenuto più voti ha diritto di formare il governo perché ha ottenuto più voti.

La prima non tiene conto del fatto che il Movimento 5 Stelle non può essere considerato un partito politico, perché manca di una ideologia. Se manca una ideologia è difficile dire di avere preso più voti degli altri partiti, perché è difficile capire cosa hanno votato i cittadini che lo hanno votato.

Il Movimento deve sciogliere non pochi nodi al proprio interno per poter dire di avere conquistato la maggioranza dei voti, perché allo stato è articolato come la Democrazia Cristiana degli anni sessanta.

La seconda non tiene conto del fatto che una coalizione ha senso quando è in gioco un premio di maggioranza che garantisce la governabilità. Senza questo premio di maggioranza non significa nulla. Sono tre partiti che contano per i voti che hanno conquistato e soprattutto per i seggi che gli sono stati distintamente assegnati.

Nel sistema che si è venuto a creare con la Terza Repubblica, le consultazioni devono fare a meno dei partiti politici e delle ideologie sottostanti.

Ma se è così, il Capo dello Stato si trova davanti a un compito davvero complesso, perché non deve negoziare con delle piattaforme ideali ma con delle persone reali, con i loro vizi e le loro caratteristiche.

Un compito nel quale i vari Mimmo da Macerata e Carlo di Aosta fanno quello che fanno tutti gli atleti da bar: applaudono se stessi se la loro squadra vince seguendo il canone Io lo avevo detto e infamano l’allenatore se perde, senza cambiare assolutamente canone.

Coccinella

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
29/03/2018

Ci sono momenti di gioia assoluta.

Come quando all’improvviso camminando verso l’odore caldo e sano del pane recente mi appare una coccinella.

Non perché sono di spirito poetico.

Ma perché in livornese, in quella lingua bagnata di mare e masticata con le alghe, coccinella si pronuncia Coccineellllaa ed è davvero impossibile non sorridere.

Oltre Facebook / Cambridge Analytica…

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/03/2018

Il caso Facebook / Cambridge Analytica parla di cose vecchie e anche un po’ scontate.

L’uso da parte dei signori della rete dei dati relativi agli utenti per promuovere prodotti è noto.

Il fatto che le politiche in materia di privacy di Facebook abbiano consentito fino al 2014 agli sviluppatori di applicazioni di acquisire tramite le loro applicazioni dati relativi agli utenti e utili per la loro profanazione è forse meno noto ma comunque notorio.

Il fatto che un manager di una società che opera in maniera obliqua possa offrire a un cliente che desidera gettare discredito su di un avversario politico uno scandalo a fondo sessuale non è altro che una questione rilevante per il codice penale.

Eppure questa vicenda ha bruciato molto denaro in borsa e i mercati finanziari non operano per caso.

Il fattaccio che è venuto alla luce riguarda l’uso da parte di Cambridge Analytica di un numero imponente di profili di utenti che avevano rivelato le loro opinioni spontaneamente compilando dei test psicologici per influenzare delle manifestazioni elettorali.

Abbiamo così “scoperto” che su Facebook gli utenti tendono a costruire delle filter bubble e che queste filter bubble operano come echo cambers determinando il sorgere di cocoon informativi.

Cass Sunstein ha scritto un libro su questo, tradotto in Italia da Il Mulino con il titolo #Republic.

In altre parole, le persone vogliono leggere le notizie che gli interessano, chiudendosi in delle stanze in cui ricevono solo ciò che vogliono leggere (filter bubble), che in queste stanze le opinioni più estreme tendono ad affermarsi: i suprematisti ariani quando parlano fra suprematisti ariani sono più estremisti di quando manifestano le loro opinioni in pubblico (echo chambers) e che questi bozzoli di informazione (cocoon), in cui gli utenti della rete tendono a segregarsi scegliendo le loro amicizie, sono pericolosi per il pluralismo.

Insomma, abbiamo scoperto che quando la Corte costituzionale affermava che la libertà di informazione è la «pietra angolare dell’ordine democratico» (Corte cost. 84/1969) diceva una cosa che sulla rete è molto meno vera che nella realtà fisica.

Nella rete, la libertà di informazione può essere pericolosa per la democrazia proprio perché è affidata a tutti (è decentrata e disintermediata, ma non per questo è resa più democratica) e non tutti sono in grado di esprimere pensieri interessanti per lo sviluppo di un discorso democratico.

L’applicazione delle regole sulla responsabilità dei provider

Il punto è che l’applicazione delle regole in materia di responsabilità degli internet service providers, in virtù delle quali il provider non è responsabile del contenuto che ospita, ai social media, che non sono internet service provider, perché organizzano i contenuti che ospitano e li orientano secondo le loro politiche aziendali, determina dei seri rischi per il discorso democratico.

E’ quello che hanno notato con intelligenza e acume da molto tempo studiosi come Sunstein o come Balkin, ma anche come Gillespie e l’elenco potrebbe essere lungo.

In questa situazione, i mercati hanno capito che i social media non potranno continuare ad operare come signori della rete, liberi di decidere le loro politiche, ma si dovranno in qualche misura sottomettere alla sovranità degli Stati e la sovranità degli Stati ridurrà i loro profitti.

O forse hanno capito che i social media non potranno fare a meno di anticipare le normative statali adottando delle politiche aziendali trasparenti e in grado di evitare disfunzioni come la censura collaterale, di cui si parla da molto tempo.

O magari hanno intuito che il potere dei signori della rete sta diventando l’oggetto di una forte critica sociale e che questa critica sociale spesso viene direttamente da coloro che operano all’interno delle organizzazioni aziendali messe a punto dai signori della rete.

Ma cosa sono i social media per l’art. 21, Cost.?

In realtà, i social media non sono mezzi di informazione nel senso tradizionale di questa espressione, ma sono semplicemente dei contenitori per la libertà di manifestazione del pensiero, funzionano in maniera molto più simile a spazi privati aperti al pubblico che vi si riunisce consapevole del fatto che in questi spazi si deve rispettare la disciplina imposta dal loro proprietario, esattamente come chi va in un bar deve rispettare le regole di polizia imposte dal suo proprietario, che gli può dire di bere meno o di parlare a voce meno alta e perfino allontanarlo se non è in grado di rispettare le regole della casa.

L’aspetto più interessante di questa vicenda è che non è emersa grazie alla rete, la rete non ha rivelato nulla di Cambridge Analytica e della sua influenza per le competizioni elettorali. E’ stato il giornalismo investigativo del New York Times e del Guardian che ha consentito all’opinione pubblica di venire a sapere quello che stava accadendo.

Come nel caso di Weinstein, che avrebbe facilmente ottenuto l’oblio delle notizie che lo riguardavano se queste fossero state postate su Facebook o su un blog, grazie alla regole del notice-and-takedown, che è tipica della responsabilità del provider.

Una rivoluzione imminente?

L’aspetto più interessante è che i giornali sono ancora vivi e per ora fanno ancora il loro lavoro.

La cosa, invece, più preoccupante è che la presenza dei giornali è minacciata seriamente dalla rete e la rete, al contrario della carta stampata, non è affatto trasparente.

Se questa preoccupazione diventasse condivisa, il mondo della rete diventerebbe il campo di una rivoluzione, forse meno cruenta di quella del 1789, ma non meno significativa per le sorti dell’umanità.

Su questo si deve riflettere. Non sulla profanazione della privacy degli utenti che sono stati chiusi nelle echo chambers in cui loro stessi desideravano essere rinchiusi.

Oggi, e da tempo, questo non è più possibile, mentre è possibile analizzare i big data costruendo i profili degli utenti senza violare la loro privacy e, forse, anche condizionando le competizioni elettorali con la scelta dei candidati da votare usando lo stesso algoritmo con cui Netflix ci consiglia una nuova serie, azzeccando quasi sempre i nostri gusti, ma senza farci vedere nulla di nuovo.

La fiducia di Gentiloni e la legge scout

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/10/2017

La legge elettorale merita fiducia?

Gentiloni non è uno scout e la legge elettorale non merita fiducia.

Il primo articolo della legge scout suona più o meno come lo scout pone il suo onore nel meritare fiducia, nelle parole del fondatore – sir Baden Powell -, A scout is trustworthy.

La legge elettorale non meritava la questione di fiducia del governo che è legittima sul piano costituzionale e sul piano della tattica parlamentare ma che non appare opportuna sul piano politico e dell’onore del governo.

Sul piano costituzionale non è scritto in alcun luogo che le norme in materia elettorale non possano essere oggetto di una questione di fiducia e sul piano della tattica parlamentare è più che ragionevole che le ragioni del calendario e quelle della politica portino il governo a porre la questione di fiducia sulle norme in materia elettorale.

Non vi è nessuna rottura della legalità costituzionale e invocare i precedenti di Mussolini o di De Gasperi, ma anche di Berlusconi e Renzi ha poco senso.

Lo ricorda Giovanni Guzzetta sul Dubbio che sottolinea la struttura politica della legge elettorale e perciò definisce come fisiologica la questione di fiducia.

Lo penso anche io e, perciò, mi pongo qualche problema.

Piccoli problemi

Porre la questione di fiducia significa stabilire come conseguenza necessaria ed inevitabile del voto contrario del Parlamento le dimissioni del governo perché il governo chiede di meritare fiducia in quel voto.

Il governo merita fiducia, nel senso della legge scout, quando una proposta rispecchia i valori politici che intende proporre alla nazione come basi della convivenza.

La questione di fiducia, in altre parole, ha un valore tattico collegato alla vita parlamentare del governo e un valore strategico in cui il governo indica al paese i valori in base ai quali si considera meritevole di svolgere la propria funzione di guida dello Stato.

Sul primo piano, non c’è davvero niente da dire.

Sul secondo piano, forse, qualcosa da dire c’è: il governo ha posto la questione di fiducia su di una legge elettorale che ha come effetto principale quello di rendere inevitabili accordi di coalizione e maggioranze deboli.

Una legge che fa tornare indietro nel tempo e che sembra appartenere al patrimonio genetico del presidente del consiglio.

Però le leggi non sono macchine del tempo e non acquistano questa efficacia nemmeno grazie a una questione di fiducia.

Una sconfitta palese e una vittoria implicita

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23/10/2017

Una sconfitta palese

Il senso di una sconfitta palese è che diventano eroi anche i soldati che portavano le pignatte.

La sconfitta palese è quella subita nel referendum lombardo veneto.

Sia in Veneto che in Lombardia è emersa con forza la volontà delle popolazioni locali di gestire le risorse che genera il territorio direttamente.

Questa è una sconfitta palese dello Stato centrale.

La volontà popolare rinforza i governi regionali lombardo e veneto, che sono già forti di una legittimazione popolare diretta, grazie all’elezione dei loro presidenti, e di una stabilità sostanzialmente di legislatura, grazie alla regola simul stabunt simul cadent.

La forza dei governi locali trova una controparte assai debole: la riforma elettorale attualmente in gestazione non è fatta per creare un indirizzo politico legittimato direttamente dal corpo elettorale, ma per restaurare una forma di governo parlamentare in cui la doppia fiducia e le geometrie variabilmente asimmetriche delle due camere rendono il Capo dello Stato arbitro di equilibri politici instabili e che possono portare a elezioni anticipate con una frequenza d’altri tempi.

E una vittoria implicita

In questo referendum hanno vinto anche i marmittoni.

I marmittoni, in questo caso, sono i quesiti referendari che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali con la sentenza 118/2015 perché violavano gli artt. 75, 116 e 119, Cost. nonché con le norme dello Statuto del Veneto che regolano i referendum consultivi.

Questi quesiti suonavano (art. 1, legge reg. Veneto 15/2014):

1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”;
[2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”;
3) “Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;
4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;
5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”]

L’approvazione dell’unico quesito salvato dalla Corte, sul piano politico, ha il significato dei quattro quesiti che la Corte ha considerato inammissibili perché la maggiore autonomia che Veneto e Lombardia chiedono riguarda essenzialmente il cd. residuo fiscale e quindi una autonomia pressoché costituzionale di queste due regioni.

Il governo della Repubblica difficilmente potrà negare ingresso a questa istanza e dovrà inventare un nuovo tipo di regionalismo.

Ma tutto questo può cadere sulle spalle di un governo fragile come quello che la nuova legge elettorale consegnerà alla prossima legislatura repubblicana?

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