25/11/2007
Stiven ha i piedi particolarmente lunghi.
Quando era piccolo, sua madre, che lo vedeva con gli occhi di madre, diceva: No, è normale, è solo che ha i piedi un pò troppo lunghi.
Non è cresciuto bene.
Per nulla.
A partire male, ci aveva pensato da solo.
La sfortuna ha pensato al resto.
I suoi genitori sono morti quando aveva quattordici anni.
Lui è rimasto con un fratello di una venticinquina di anni.
Si è appassionato ai baracchini: ci passava le giornate.
Intere giornate a urlare dentro una radio, senza accorgersi che il suo tono di voce, il suo modo di accavallare le parole, il suo modo di inciampare nei discorsi senza più riuscire a rialzarsi lo rendeva grottesco.
L’inverno capitava che il fratello avesse bisogno della casa libera per ragioni di carattere sentimental-igienico e Stiven veniva chiuso in terrazza, a notti intere, con la sua radio, a far finta di essere felice, che tutto andasse bene.
Ha trovato lavoro come facchino.
In un albergo di penultima categoria.
In estrema periferia.
Uno di quegli alberghi che le prostitute vicino al fondo della loro scala merceologica usano per incontrare i clienti.
Sitven è diventato un puttaniere convinto.
Con la sua bocca perennemente aperta, un filo di saliva che scende verso il mento, i capelli unti, la pelle piena di brufoli.
Sempre più grottesco.
E’ diventato difficile frequentarlo.
Parlava solo delle sue amiche.
Ci metteva ore e donava una angoscia terrificante.
Si è trasformato nella polvere che una colf pigra nasconde sotto il tappeto.
Invisibile.
Stiven adesso è in prigione.
Dicono che abbia violentato una bambina.
Non è improbabile.
Ieri, in centocinquantamila, hanno marciato anche contro di lui.
Forse non lo meritava.
Forse continua ad avere bisogno di una riflessione un pò più approfondita.
Forse se la sua mamma non avesse pensato che il suo problema fossero i piedi troppo lunghi, se qualcuno la avesse aiutata a capire quel figliolo sfortunato, se il fratello fosse stato un pò meno crudele, Stiven adesso sarebbe una persona ragionevolmente felice.