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Tag Archive for: cenere

Poema senza eroi (Postilla ad Anna Achmatova)

0 Comments/ in Senza categoria / by Gian Luca Conti
10/02/2025

Ricordatevi che vivo per l'ultima volta

Non ci sono eroi capaci di sopravvivere alla vita.

Non la vita del carcere, non la vita del gulag, non la vita del dissidio.

Semplicemente quella vita donata da un Dio capace di maledire i propri figli e di perdonarli facendo loro uccidere il suo figlio prediletto.

Non ci sono eroi se non quella donna, fiammeggianti occhi in consumato loden, che si sente chiamare per nome: Tu sei capace di descrivere tutto questo?

Si, risponde, e l’altra, altrettanto soffocata dal freddo, altrettanto sottomessa alla vita, altrettanto pronta ad affondare, sorride.

Questo, il vivere.

Raccontare coloro che si sentono consolati di una memoria.

Senza nessuna speranza o consolazione.

Solo per un sorriso.

Memoria di A.F.

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
03/09/2024

Tutti finiamo nello stesso identico modo.

Una cassa aperta in un salotto addobbato a lugubre festa o in una cappella del commiato che non può essere più triste di come è stata progettata, costruita e manutenuta.

Il vestito scelto dai familiari che avvolge un corpo senza anima, senza colori, senza respiro.

Definitivamente freddo: parenti e amici passano, sussurrano qualche preghiera, lasciano lacrime d’ordinanza, chiacchierano fra di loro perché in fondo la morte è un’occasione di incontro e il morto non può sentire più niente.

Quei vestiti si assomigliano tutti: camicia, giacca, cravatta, pantaloni lunghi, scarpe allacciate: nere.

Lugubri abiti di nozze.

Lui, no.

Lui che è morto quando ancora avrebbe potuto dire tanto, lui che non si era mai arreso, lui che aveva sempre la parola giusta per risolvere i problemi, che era abituato a prendersi le sue responsabilità fino in fondo.

Lui ha voluto essere diverso. Si è fatto mettere la camicia della regata che più amava, i pantaloni corti Helly Hansen, le scarpe da vela. Niente calzini in quella bara.

Il suo corpo non era a una lugubre festa di nozze.

Ha voluto che fosse alla partenza di  una crociera.

E questa immagine resta come un tatuaggio sulla pupilla: si muore come se si partisse per un giro in barca perché se dopo questa morte non ce ne sono altre, la vita è un viaggio che non si ferma se chi muore ha vissuto.

Per chi suona la campana (il Bayesian e gli altri sepolti del Mediterraneo)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/08/2024

La tragedia della Bayesian è scioccante per chiunque vada per mare: è incredibile pensare che una nave a vela costruita da Perini Navi possa essere affondata, non ci si può immaginare che una nave condotta da un equipaggio di professionisti abbia spedato l’ancora e sia andata alla deriva, il grido dei sopravvissuti – improvvisamente tutto è diventato oscurità – fa ghiacciare il sangue nelle vene.

Ne abbiamo seguito gli sviluppi dai giornali, con avida curiosità. Abbiamo tremato per la bambina in mezzo alla tromba d’aria, siamo stati portati a bordo mentre la nave affondava e i suoi ospiti cercavano scampo spostandosi verso poppa dove restavano definitivamente intrappolati, abbiamo seguito il recupero dei corpi uno ad uno.

Di questa tragedia, che molti leggono come un complotto sapientemente ordito ai danni dell’armatore, probabilmente non sapremo mai molto più di quello che si poteva capire già nelle prime ore: quasi tutto l’equipaggio, dieci persone, si è salvato, ha avuto il tempo di salire sulla zattera di salvataggio e di allontanarsi. Gli ospiti che si sono salvati, invece, sono riusciti a salire all’aperto e lanciarsi in mare dove a loro volta sono stati raccolti e tratti in salvo.

E’ inevitabile porsi una domanda, con l’imbarazzo delle domande che uno non si dovrebbe mai fare perché per dare una risposta vera ci si dovrebbe trovare in quella situazione e si spera che questo non accada, perché l’equipaggio si è salvato e non anche gli ospiti?

Ma è anche giusto non darsi una risposta: questa risposta riguarda un procuratore della Repubblica e il suo atto di accusa, se mai sarà formulato, prima, e un processo e la sua sentenza, poi. Per queste pagine, il comandante che abbandona la nave è un uomo condannato, più di ogni altro, a portare con sé il peso insopportabile di un marchio che nessuna giustizia potrà mai cancellare.

C’è, però, un’altra domanda che questa orrenda tragedia pone. La stessa domanda dipinta da Gericault nel suo Radeau de la Mèduse: perché questi morti ci impongono compassione e non godono dello stesso oblio di tutti gli altri morti innocenti di questi giorni, a Gaza, in Ucraina, nel Donbass, in uno qualsiasi degli infiniti luoghi del mondo in cui si muore innocenti – magari in braccio a una madre che cerca di proteggerci inutilmente con il suo corpo?

Perché la morte di un miliardario nel suo panfilo ci scandalizza e colpisce più della morte oscura di uno dei tanti migranti che il Mediterraneo ha sepolto con le sue onde, così corte e così maligne?

Quell’uomo non era nato per morire così. E’ questa la terribile verità: ci sono uomini che non nascono per morire dell’indifferenza dei loro servitori, che hanno il diritto di reclamare una fedeltà fino alla morte e ci sono uomini che, invece, nascono e muoiono nella stessa indifferenza generale, perché, in fondo, sappiamo che sono inutili, che la loro morte non aggiunge niente al niente che la loro nascita aveva aggiunto nella storia dell’umanità.

Ed è questo che davvero stomaca della tragedia del Bayesian.

Un Caligola di periferia

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
18/03/2024

Caligola pranza con i genitori, in una trattoria fuori porta.

Ha gli occhi bistrati di un antico romano versato nelle perversioni del piacere, un foulard annodato al collo come se fosse un gentiluomo francese invitato a una colazione in campagna e una felpa non troppo abbondante da American Beauty. Il mischione è evidentemente oggetto di uno studio tanto meticoloso quanto inutile.

Parla, parla, parla.

I genitori, lei – petto di pollo alla pizzaiola, grandi occhiali, un po’ bassa, un po’ sovrappeso – lo guarda adorante, come solo una madre può guardare il frutto del suo ventre, ovvero senza capire che nessun altro vedrà mai quello che lei sta vedendo e che non farglielo intendere subito potrebbe non essere una buona idea. Lui – gallina in saor, maglione di uno che lavora davvero, jeans costosi, sneaker un po’ troppo sportive – lo guarda come un padre che ha preferito lasciar annegare il figlio nei vezzi della cara consorte piuttosto che litigare con entrambi e, in fondo, a distanza di pochi metri ci sono sia l’officina che il bar con gli amici e la partita di picchetto, che non si gioca più da nessuna parte figuriamoci in questa industriosa periferia.

Caligola continua a parlare, ha bisogno di soldi, non ha bisogno di soldi, vuole autonomia, ma non perché non gli vuole bene. Etc.

Lo osservo, ascolto con la coda dell’orecchio per sfuggire il pranzo con giornale che mi sta aspettando e rubare un pezzo di presente da immaginare diverso.

Penso a Caligola, ma non questo qui che un po’ gli assomiglia e che mi viene in mente perché ho amato Camus dissolutamente, ma quello che Caravaggio non ha mai dipinto ma che avrebbe potuto creare come Bacco, il giovane dissoluto e lascivo dalle unghie sporche.

Ecco, penso osservando questo giovane Caligola, io, cretino, ho sempre pensato che Caravaggio volesse dipingere l’umanità del sacro, che le sue Madonne fossero giovani sgualdrine per dimostrare l’umanità di Maria, un’operazione molto Ultima tentazione di Cristo di Katzanzakis.

Forse non era solo così.

Esistono delle persone che assomigliano esattamente a un diverso ideale, che non solo lo rendono diversamente umano, perché è quel diverso ideale che rende loro diversamente sacre.

Caravaggio che dipinge Bacco non sta pensando a Bacco, non vuole far vedere l’umanità di Bacco, magari non gli interessa niente di Bacco. Lui capisce, con la sua immensa capacità di vedere, che quel giovane dissoluto e vestito di un lenzuolo che non è difficile immaginare sporco di sperma ed escrementi si sente Bacco e dipingendolo come Bacco dipinge esattamente la sua essenza, il punto sacro della sua essenza.

Quella Madonna non una donna vera che dona la sua castità violata, il suo dolore, la sua povertà alla Madonna. E’ una sgualdrina che solo dipinta come una Madonna trova la sua perfetta identità.

Così è del nostro giovane Caligola. Se Caravaggio lo avesse visto, lo avrebbe ritratto come Caligola, ma senza pensare al terzo imperatore della gens Iulia, all’erede di Tiberio, a Camus. Pensando a lui, perché Caligola è talmente cenere da non essere mai esistito mentre questo è qui ed è lui.

Cassandra o del sopravvivere alle proprie profezie

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
19/10/2022

Da quella notte in cui due serpenti le hanno leccato gli occhi

Lei sa

Sa di dover vedere morire i suoi genitori

Sa che un fratello, il più bello dei suoi fratelli, sarà la sua e la loro rovina

Sa che lo dirà

Lo urlerà, perché lei lo vede

Ma sa anche che nessuno lo ascolterà

Che nessuno darà retta alle sue parole se non la fame di un mostro

Perché è questa la verità, avida fame di mostri

Da quella notte, lei sa che sarà stuprata

Che Aiace Talamonio, distruttore di dei, uccisore di innocenti, assassino affamato la stuprerà

Lo sa

E, vergine, aspetta quel momento

Senza altra vendetta che la consapevolezza della fine

Senza altra certezza che vivere può essere dolce anche se si sa che si è destinati alla più terribile delle sorti

Senza altra certezza che anche una maledizione può essere vissuta con dignità di vergine

E attende quella notte perché dopo tutti i giorni saranno inutili

inutile vivere dopo il compimento del proprio destino

inutile sopravvivere alle proprie profezie.

Preghiera del Patriarca Morente

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
12/08/2022

La casa del Patriarca sembra vuota mentre sta morendo.

Perfino il cane non si avvicina più a lui.

Insofferente, non riesce a stare nel letto, nudo, le sue vergogne esposte, non sopporta il peso delle lenzuola: sudari.

Nudo sono nato, nudo voglio morire ma non vorrei essere nato, ripete.

La moglie lo guarda, lo lava, lo accudisce, gli massaggia i piedi.

Dal naso scende un filo nero: sangue, pus e tumore.

Non c’è nessuna speranza nello sguardo dei figli che lo accarezza.

Urla: Sarà come Dio vorrà.

Grida: Banalità! Era solo una banalità.

Vorrebbe un caffè, un buon caffè, un caffè di Voltaire.

Dio tace, silenzioso, e lui sussurra una preghiera:

Padre nostro, come puoi essere padre di tutti? come puoi essere padre dei buoni e dei malvagi, come puoi condannare gli uomini a essere fratelli, senza premiare il giusto e punire il malvagio?

Che sei nei cieli, tu sei nei cieli, lontano dagli uomini, e niente è più crudele per un figlio della distanza dal padre.

Sia santificato il tuo nome, il tuo nome non è santo, lo diventa, sono gli uomini che ti santificano, tu sei il tuo nome e il tuo nome è invano senza le loro preghiere che lo pronunciano.

Venga il tuo regno, il tuo regno non c’è. E’ una promessa. Un miraggio.

Sia fatta la tua volontà, la tua volontà è il vento che trascina le foglie, il mare che annega, la pioggia che affoga ed è questo che vuoi per noi, che siamo come foglie, pesci o grano.

Come in cielo così in terra, neppure in cielo c’è il tuo regno. Neppure lì hai voluto governare, come un re buono, che si prende cura dei suoi sudditi, che amministra la giustizia, che separa il bene dal male e insegna a ciascuno quello che deve sapere per capirti.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano, insegnaci a vivere di pane. Fai che la nostra fame sia saziata tutti i giorni. Fai che la nostra sia fame di pane, solo di pane. Fai che non desideriamo mai altro se non il più umile degli alimenti e che non desideriamo altro desiderio che non sia cibo.

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, tu sei esattamente come noi. Esigi e riscuoti esattamente come noi. Non sei diverso da noi e ciascuno di noi è condannato a vivere soffocato dai debiti.

Non ci indurre in tentazione, sei tu che ci hai creato fragili. Affamati non di solo pane. Debitori di tutto e creditori di tutto. Ma noi dobbiamo evitare le tentazioni. Dobbiamo restare legati al nostro aratro. Contadini di sangue.

Ma liberaci dal male, e questa è davvero l’unica cosa che ti si può chiedere: liberaci dal male di vivere e non ci fare più nascere.

Lo guardo mentre dice il rosario.

Lo trasformo dentro di me in una preghiera blasfema.

La preghiera di un dio sconfitto e dolce che scopre di avere sbagliato tutto, di avere creato un essere che poteva solo peccare, di averlo condannato a vivere e diventare cattivo e lo scopre dopo tanto tempo.

Lo scopre e decide che può fare una cosa sola per quell’essere maledetto: morire anche lui.

Lo guardo mentre muore, il mio amico, sto accanto a lui.

Lo guardo ma non lo riesco a consolare perché il suo sudario, la sua nudità, il suo odore, le sue mani sempre più fredde, il suo muco canceroso, mi raccontano di questo dio dolce e sconfitto che sa, anche lui, di poterlo solo guardare morire.

Senza neppure la pace di una lancia di centurione a liberare l’anima dal dolore di vivere.

Cancrene di amore (Ribellione è seppellire il proprio cuore)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
11/01/2022

Fame di diabetico, il bisogno d’amore, sete di alcolizzato

Gangrena

Non amata imputridisce carne

L’animo si abitua al delirio

Fame_sete, allegre compagne di chi discende nel proprio inferno

Divorano la mente

Popolano la carne

Prevalgono come neve che assidera abbracciando senza la crudele pietà dei sogni

Ribellione è seppellire il proprio cuore.

La corrente della verità

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
04/01/2022

Come sulla pescaia: il rifiuto della piena

Si aggancia alla speranza di non essere ancora e di nuovo travolto dalla corrente

La sua intera vita è quella speranza

La sua definitiva morte il precipitare di quei pochi metri

Eppure non è così

Non è così per chi osserva da lontano

Non è così perché la vera morte è vivere lottando contro la corrente della verità.

Un foulard che sapeva di cioccolata

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/03/2021

Oggi non compi ottantasette anni.

Non ci sei arrivata e non ho avuto bisogno ieri sera di comprarti un regalo all’ultimo momento perché ti piacevano i regali e ti dispiaceva non riceverli.

Una delle tante cose in cui siamo uguali.

Ti avrei comprato un foulard.

Non perché ti piaceva, ma perché piaceva a me, quando ti toglievo il cappotto o la pelliccia sentire per un istante il tuo profumo su quel pezzo di seta.

Sono andati persi, come i tuoi gioielli. Rubati da badanti e da cattivi affetti.

Ti avrebbe fatto male e non avresti sorriso.

Bambina sfollata nelle campagne dove la nonna doveva andare a servizio da una contadina che la pagava con qualche fetta di pane perché il nonno era scomparso nei labirinti della seconda guerra mondiale.

Hai conosciuto il sapore della fame, hai sognato con quel dolore a riempire lo stomaco.

Lo hai portato dentro di te per sempre, anche quando la fame non c’era più da tanto tempo.

Perché la cioccolata degli sfollati ha un sapore tutto suo.

Un sapore che tatua l’anima.

E quei tatuaggi hanno accompagnato tutti i tuoi sorrisi.

I sorrisi di una bambina che non riusciva a guardare i fochi di San Giovanni senza ricordare i bengala dei bombardamenti che hanno distrutto la casa in cui eri nata.

Mi manchi e soprattutto mi addolora non essere mai stato capace di cancellare quei tatuaggi dalla tua anima.

Anche i figli, in fondo, sono doni e come tutti i regali possono essere una gioia o una delusione.

Ed io so di essere stato una delusione per te perché non ho mai sopportato di dover essere un regalo che cancellava dolori che non mi appartenevano, sanava ferite che non comprendevo.

So di essere stato questo: un regalo sbagliato e, purtroppo, l’ho sempre saputo.

Le mani di Omero

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/06/2020

Author Jorge Luis Borges (1899 – 1986) at the front door of his home in Buenos Aires, Argentina, December 1983. (Photo by Christopher Pillitz/Getty Images)

Omero, come Borges, non è nato cieco. Ha visto la luce diventare lento tramonto e la penombra farsi notte.

I suoi figli, gli eroi che amava ospitandoli nel proprio cuore, sono diventati ombre di memoria quando i suoi occhi hanno smesso di vederli.

Ma Omero ha scoperto il potere delle mani, ha ritrovato la memoria di un volto accarezzandone i contorni. Non ha scoperto quel volto. Lo conosceva, lo aveva visto. Lo ha ritrovato nella notte degli occhi cercandolo con le mani, seguendolo con le dita, studiandolo con i polpastrelli.

Come il padre che diventa cieco e scopre di poter ancora vedere il viso d’un figlio accarezzandone i capelli, con lo stesso entusiasmo. Dolcemente avido.

Omero non ha usato le dita per ritrovare i suoi eroi e i loro miti. Ha preferito le parole. Le sue parole sono lemmi di cieco che ricostruiscono idee e immagini.

Così è quando si abbandona lo sguardo, si rinuncia a vedere.

Ci si rifugia nelle dita per capire il senso delle cose che solo la notte può contemplare senza che lo sguardo gli sia strage.

Si tocca ciò che non si può vedere.

Che non si vuole più vedere.

Sperando che il tatto sia verità quando lo sguardo era inganno.

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