Chi li ha sciolti? (leopardate)
Girano intonnate dentro le loro gonne leopardate.
Orrende.
Capaci di azzerare la libido dell’orango di Brassens.
Girano intonnate dentro le loro gonne leopardate.
Orrende.
Capaci di azzerare la libido dell’orango di Brassens.
Un treno regionale.
Mattina presto.
Sporco, il giusto.
Ognuno più o meno al solito posto.
Nemmeno fosse un aereo di paracadutisti.
Sale una tizia.
Appariscente.
Il cappotto lungo.
Si siede.
Il cappotto si apre.
Accavalla le gambe, con fare sinuoso.
Porta una minigonna ai limiti del codice Rocco.
Le calze sono appena sopra il ginocchio.
Un’ora di gambe accavallate e scavallate.
Praticamente una lap dance alle sei e mezzo.
Ma doveva venire proprio qui a fare la sorella gemella della Brambilla?
Cioni è di Empoli.
Ma fa il politico a Firenze.
Ha un bel piglio.
Molto autoritario.
Ricorda di essere stato comunista, anche se non è sempre evidente.
Attualmente è un campione dell’ordine pubblico.
Si è già narrato del suo ruolo contro i lavavetri ed anche del fatto che la sua immagine è stata appesa ad una macchinetta che fotografa le infrazioni, con immediata apertura delle indagini da parte della Digos (nulla di meglio da fare? viene da domandarsi).
Ora un qualche burlone gira con la vernice di notte e riempie i muri della città con la effige di Cioni.
La sua occhialuta pelata fissa i passanti.
Assomiglia al Benefattore di Zanjatin.
Durano poco.
Pochissimo.
Subito dopo essere dipinto, Cioni ha la forza di essere cancellato.
Sta diventando difficile trovare un Cioni ti odia senza qualcuno che lo copre.
Cioni fa paura.
Nessun proprietario di mura cittadine vuole essere considerato il complice di questa diffamazione.
Sicuramente vietata dalle norme di polizia.
Ma ci sono cose peggiori.
Molto peggiori.
A me, il Cioni ti odia di questi giorni mette di buon umore.
Dissacrare i potenti è una straordinaria forma di democrazia.
Si è già parlato degli spogliatoi maschili.
Si sono descritti come un luogo dello spirito.
Non si è detto però che gli spogliatoi possono essere dei momenti di straordinario training autogeno.
Trovarsi sotto la doccia con un disgraziato dalle dimensioni di un mammifero marino in tutto ma con un bottone da loden al posto del pisello è una di quelle cose che rendono la giornata migliore.
Decisamente.
Se la media sono tredici centimetri, non esistono solo gli attrezzi da palestra del pisello negro, ci sono anche quelli che si governano con le pinzette da ciglia.
E mettono di buon umore.
Le mutande parlano molto di chi le indossa.
Ed i pantaloni a vita bassa rivelano subito ciò che le mutande raccontano.
Ma non sempre lo si vorrebbe scoprire.
Per fortuna sembra che a New York siano passati di moda.
Sono stufo di vedere ciclopiche chiappe separate da microscopici fili, quando dovrebbero mettere solo mutandoni di filanca azzurra.
Può accadere di camminare tranquillamente e di essere attratti dalla persona che ti cammina davanti.
Ha un passo veloce ma strano.
Non capisci perché muove in maniera circolare la gamba sinistra, come se la dovesse trascinare avanti ad ogni passo.
Poi vedi questa persona che quasi inciampa, sussulta, smorfia il viso, si appoggia al muro.
E distrattamente guardi per terra: due passi indietro è rimasta la sua gamba.
O meglio, la fine della sua gamba: tibia e piede, di plastica rigida, calzate in una scarpa consumata.
Si è sganciata la gamba di legno.
Poveraccio.
Impossibile non farsi venire da ridere.
Ma soffochi il sorriso, ti chini, raccogli lo stinco di legno, lo porgi come se fosse la cosa più naturale del mondo e chiedi: Posso essere d’aiuto?
Il tizio ti strappa la protesi di mano, se la aggancia rapido e riprende la sua strada, come se fosse colpa tua quello che è successo.
La prossima volta gliela porto via.
Così impara (mentre mi rincorre a zoppino).
Esiste in pieno centro storico una cabina fotografica, di quelle che si usano per le fototessere.
E’ in una strada non molto frequentata, una di quelle vie che nell’antichità doveva essere un viottolo che portava ad un orto e che oggi è rimasta senza senso se non per chi ci abita.
La cabina gode di una tranquilla solitudine ed è usata di per solito come luogo di decenza per i bisogni grossi degli ambulanti o per altri scopi non troppo nobili.
Stamani, una piccola folla si assiepava fuori della cabina.
Una coppia ignara del mondo circostante si era riparata dietro la tenda svolazzante per dedicarsi ad amplessi piuttosto rumorosi anziché no.
Il tutto è andato avanti per una decina minuti, finché un anziano signore si è avvicinato alla macchinetta, ha inserito i denari necessari per una fototessera ed ha fatto partire l’apparecchio.
Il flash ha gelato gli amanti, che sono usciti, tirandosi su i pantaloni, con un’aria che non saprei se più imbarazzata o infastidita.
Ma poi:
– un demente con i sandali che ti cammina davanti pesta il prodotto del sedere di un cavallo,
– una disgraziata in bicicletta perde l’equilibrio e si schianta contro un muro di giapponesi che fotografa le porte del Battistero,
e allora diventa possibile entrare al Chiosco degli Sportivi, chiedere un caffé e rispondere al buongiorno con un Grazie, le mie giornate sono sempre fantastiche.
Gli avvocati in Pakistan servono a qualcosa: non c’è Taormina.
Fra le cose più orrende che si possano vedere, vi sono, senz’altro, gli stivaletti da uomo.
Quegli orrendi oggetti che si bloccano al principiare del polpaccio e che sono sostenuti ai lati da degli elastici.
Di solito, sono completati da orrendi calzini che li superano appena, al termine di un personaggio che comincia con dei capelli nati da un frantoio: il genere di capelli che torna comodo in questi tempi, quando il loro titolare può strusciarsi il pane in testa se vuole una bruschetta.