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Tag Archive for: chiosco degli sportivi

Il mio cane ed io (io non somiglio al mio cane: è lui che deve assomigliare a me)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/05/2022

I cani sono come i figli e i figli sono come i cani.

I genitori assomigliano ai figli come i padroni assomigliano ai loro cani, il che, fra l’altro, vale anche per il rapporto di identificazione fra gli avvocati e i loro clienti.

Dietro la banalità di queste osservazioni, facilmente desumibili dalla lettura di Desmond Morris: fra la scimmia nuda e il suo libro sulla educazione del cane, non vi sono distanze particolarmente significative, c’è una porzione del mistero educativo.

Un padre e una madre educano il loro figlio. Il loro figlio finirà per assomigliare loro.

Egualmente un figlio educa i propri genitori. I genitori finiscono per assomigliare al proprio figlio.

Queste affermazioni sembrano speculari e in una logica politicamente corretta lo sono.

Ma non sono corrette: è nel mestiere di chi educa far sì che chi è educato impari a rispettarne l’autorevolezza e sia educato attraverso la sua sua autorevolezza.

Educare rinunciando alla propria autorevolezza è far male ai propri figli. Non solo a se stessi.

E vale anche per i cani e per i clienti degli avvocati.

Nonché per altre cose che è diventato inutile ricordare.

La suocera Abelarda

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
17/05/2022

Tutte le suocere assomigliano ad Abelarda.

La loro bruttezza spaventa perché è la stessa bruttezza che un marito rischia di trovarsi a letto andando avanti negli anni.

In effetti, prima di sposarsi, uno più che guardare la moglie dovrebbe guardare la suocera e domandarsi se è disposto a vedere quella giovane fanciulla in fiore appassire e diventare sempre più dannatamente simile a sua madre.

Ed è una cosa che non si può dire, ovviamente.

Il mio più antico amico ha una suocera che assomiglia eccezionalmente ad Abelarda, ne costituisce in un certo senso l’archetipo.

Me l’ha mostrata in fotografia e non sono riuscito a trattenere il ridere: amaro come Villaggio, volgare come Fantozzi, triste come Carlo Delle Piane.

Un ridere che è continuato nei giorni successivi sino a che non ha perso la pazienza ed è sbottato difendendo la suocera dal mio body shaming. Difendendola e aggredendomi per il mio bullismo.

Mi è dispiaciuto, ovviamente.

Mi è dispiaciuto perché non poche volte ho cercato di essergli utile, ho impiegato il mio tempo per risolvere le sue beghe quotidiane, per tentare di esserci quando poteva avere bisogno di me.

Mi è dispiaciuto perché ho capito che tutto questo non mi aveva guadagnato il diritto di prendere in giro la sua suocera Abelarda, che, peraltro, è Abelarda non più della mia.

L’amicizia è conoscere anche i difetti dei nostri amici, conoscerli ed accettarli, sapere che l’amicizia che riceviamo ha come prezzo il carattere dell’amico che ce la dona, ci obbliga ad accoglierlo per la persona che è e non per la persona che vorremmo che fosse.

Ho trovato ingiusto pretendere il collaborativo affetto di un amico, da una parte, e aggredirlo perché non si è disposti ad accettare una sua risata o una sua presa in giro, dall’altra.

Mi è sembrato di non meritarlo e, lo confesso, sono stanco di chiedere scusa per come sono e di dire a me stesso che merito di essere aggredito perché dovrei essere diverso.

Soprattutto sono stanco di chi non capisce che la stessa persona che prende in giro la suocera Abelarda è quella da cui si va quando si ha bisogno di scrivere una lettera, preparare una testimonianza, acquistare una casa, dar soddisfazione a una ex non troppo simpatica e maneggevole per i suoi problemi legali, peraltro straordinariamente complessi.

Sono la stessa persona e rivendico il diritto di chiamare Abelarda tutte le suocere del mondo e lo faccio perché so di essere Abelardo per chi un giorno nemmeno troppo lontano ormai sposerà le mie figliole.

Ma soprattutto so quello che ho dato e non merito in nessun caso di essere aggredito.

L’uomo che corre

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
27/08/2021

L’uomo che corre non è Lucio Bezzana, anche se questa storia gli potrebbe piacere.

E’ un tipo che si vede spesso, nei posti più improbabili e alle ore più improbabili.

Corre, corre sempre. Talvolta con i pantaloncini e la canottiera da runner, ma più da mercato rionale che da Isolotto dello Sport. Più spesso vestito di un paio di jeans sudici e di una camicia sudata. Ai piedi delle scarpe da ginnastica consumata.

La sua non è un’ultramaratona. Assomiglia a una fuga. Corre e basta. Parla con se stesso mentre corre. Dice cose senza senso a chi incontra.

Non so quante persone lo conoscono. Ma fa parte dell’asfalto cittadino come il vigile con i capelli rossi o il furgone che porta via il ferro.

In ogni caso, non fa male a nessuno.

Oggi correva verso le cinque vie. Quando è arrivato a San Felice è stato urtato da una macchina. E’ caduto e ha mandato il conducente a quel paese. La macchina si è fermata e un sessantenne aggressivo, ha preso un bastone che teneva accanto al sedile del conducente e si è avvicinato urlando

Io ti ammazzo

L’uomo che corre lo ha solo guardato. Uno sguardo di Cristo. Senza neppure alzarsi da terra.

Il tizio si è sentito nudo come uno che ha cacato il proprio buco del culo. E’ risalito in macchina ed è andato via.

L’uomo che corre si è rialzato e ha ricominciato a correre, zoppicando, claudicando. Non fugge dalle sue domande. Fugge da tutto ciò che ha dentro un uomo quando viaggia con un bastone in macchina per essere pronto a picchiare i propri simili.

Facile sentimento

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
09/02/2021

Alberto Genovese da tempo gode di un fragore mediatico che non aveva mai ottenuto con le sue iniziative imprenditoriali.

Un fragore che assomiglia a una damnatio memoriae. Non c’è settimana che i quotidiani non aggiungano tasselli alla cronaca delle sue feste eleganti con l’allegro entusiasmo di un voyeur in un parcheggio affollato.

La storia è triste e fa anche un po’ romanzo di appendice. Un giovane imprenditore di successo raggiunge molto più successo di quello che avrebbe mai sperato. Si ritrova a vivere di rendita. Inganna il suo tempo con feste. Acquista un appartamento molto prestigioso. Schiamazza e disturba il sonno di un famoso ballerino. Alle sue feste c’è tutta la Milano che conta e che abusa di droghe generosamente offerte dal padrone di casa. Ci sono anche delle ragazze che gli si concedono più o meno volontariamente, più o meno aiutate dalle sostanze con cui lui allieva la noia di vivere.

La storia ha tratti grotteschi: il ballerino che non dorme e chiama la polizia che non riesce a fare niente. Il guardiaspalle che diventa guardiano di amplessi, come si narra accadesse alle notti del povero Giangastone Medici, tutt’altro che attratto dalla legittima consorte. Il luogo dei festini che si chiama Terrazza Sentimento, come se le parole non diventassero sarcasmo quando sbagliano vocabolario.

Se fosse un romanzo della Serao, Genovese si pentirebbe e dedicherebbe la sua vita a fare del bene, magari aiutando gli anziani genitori e un fratello sfortunato.

Genovese al contrario si difende con una tesi piuttosto complicata da sostenere: sarebbe tutta colpa della droga di cui era diventato schiavo a causa dello stress.

Sino a qui, la parabola di un imprenditore che è riuscito a devastare la sua reputazione come pochi altri e che viene ricordato dalle cronache dei giornali con una attenzione maligna: che fine ha fatto l’assessore della lotta contro le mosche che ha fatto scappare l’ex compagna di liceo nuda dopo aver cercato di coinvolgerla in un gioco sessuale estremo? Perché anche lui non è stato trattenuto nelle pagine di cronaca con la stessa intensità?

Un mistero che forse potrebbe essere risolto leggendo i campanelli del condominio in cui è collocata Terrazza Sentimento.

C’è però una cosa che disturba di più di Genovese e della sua damnatio memoriae.

Nessuno parla della corte di Genovese. Perché a quelle feste Genovese non era solo. Perché quei vassoi di polverine non li offriva solo a se stesso. Perché ci sono montagne di persone felici di essere invitate a una festa elegante ma che poi scompaiono quando ci si rende conto che quella festa era elegante ma tutt’altro che di buon gusto.

Sono questi ospiti stolidi, lo sfondo della Terrazza Sentimento, la cosa che davvero disturba perché Genovese – forse – è stato un criminale, ma loro sono stati i suoi complici.

Non è il male che fa paura. E’ la solidarietà con il male espressa dalle persone perbene.

La reazione anomala

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/09/2020

Le sperimentazioni del vaccino contro il covid sono state interrotte a causa di una reazione anomala.

Nessuno dice quale sia stata.

Nessuno tranne Spinoza che sostiene che Berlusconi abbia manifestato l’irrevocabile volontà di andare in Procura e confessare tutto, ma proprio tutto.

Fa venire in mente Panoramix e la sua pozione.

Il povero volontario (Previdentissimus?) che cambia colore in continuo.

Il bello della peste è che fa ridere i sani mentre si ammalano.

La lettera scarlatta

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
30/05/2020

La signora dalle scarpe gialle ha trovato una lettera scarlatta in fondo al suo cuore.

Facile ludibrio bigotto.

Lontano dalla verità che è altrettanto bigotta ma meno banale del verosimile.

La signora dalle scarpe gialle sa che il verosimile, non la verità, assomiglia all’edera.

Cresce, si arrampica, abbraccia fino a soffocare.

Non c’è amore nell’abbraccio dell’edera.

Non c’è amore nella crudeltà banale delle presunzioni.

La signora dalle scarpe gialle lo sa perfettamente e stringe i propri cerotti per camminare come se non provasse dolore.

Sa che nessun albero si può liberare dall’edera senza la compassione di un giardiniere.

Non è facile essere i giardinieri di se stessi e gli alberi, in fondo, amano l’edera che li soffoca rivestendoli di una parvenza di foglie, vogliono morire dentro quelle foglie che li rendono belli e li fanno soffrire.

E’ la storia della lettera scarlatta, anche se forse Nathaniel Hawthorne la vedeva diversamente, con il suo romanticismo un po’ gotico e provinciale, il romanticismo di un doganiere.

Geroglifici e scarpe gialle

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
26/05/2020

 

Erano parole le scarpe gialle.

Parole che stavano in un bagagliaio.

Ben nascoste.

Più false di una moneta d’argento nella bocca di un poeta ebreo.

Dal loro nascondiglio, permettevano ad altre parole di sgorgare. Parole senza tacchi. Parole innocenti. Parole che parlavano di giardini dai sentieri che si biforcano e di biblioteche senza fine, dai corridoio appena illuminati dalla luce fredda delle miniature.

Ma le scarpe gialle non possono restare nascoste a lungo.

Le scarpe gialle hanno bisogno di tornare ai piedi di chi le sa indossare e la regina delle scarpe gialle le ha messe di nuovo. Non ha neppure aspettato che le sue ferite rimarginassero. Ha cercato il dolore. Suo, di altri. Non importa.

Sono troppo belle le scarpe gialle per lasciarle dentro un bagagliaio e la regina ha ripreso il suo cammino, stretto i cerotti intorno alle dita, ingoiato il dolore e indossato il sorriso con cui Elena osservava Paride e rammentava Menalao.

Ora che le scarpe gialle sono tornate al loro posto, anche le parole sono tornate geroglifici.

Parole scritte per non essere lette. Ma non per essere dimenticate, Come poesie cucite nel cappotto di un poeta ebreo in una fredda anticamera di morte apparecchiata dal montanaro del Cremlino.

Nessun perdono può essere dimenticanza.

La coda per il cornetto

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
16/05/2020

Uno degli effetti della fine dell’emergenza pandemica è la coda davanti ai bar.

Persone e persone, più o meno ordinate, che aspettano di entrare per ordinare un caffè o un cappuccino. Mangiare il loro cornetto o un budino o un maritozzo.

Lì per lì, sembra assurdo che questa stentata fine di emergenza ci veda tutti in fila per il cornetto, come prima siamo stati in fila davanti alla farmacia o il supermercato.

Facile chiedersi se tutte queste persone, con la loro aria da Germania dell’Est negli anni ottanta, non possano fare colazione a casa, tuffando i biscotti nel caffellatte o tostandosi una fetta di pane del giorno prima.

Ma poi la testa va avanti.

Il bar non è un posto qualsiasi per molti. E’ quello spazio in cui ciascuno trova esattamente il suo posto al bancone, più o meno vicino alla macchina del caffè e si sente chiedere se anche oggi vuole poca schiuma nel cappuccino o se il caffè deve essere basso.

Per molti, il bar è un luogo dello spirito, quello spazio in cui per poco più di due euro si viene riconosciuti.

Non sono in coda per un caffè o un cornetto.

Sono in coda per sentirsi dire che sono sempre loro, anche dopo due mesi senza barbiere, passati a guardare l’immobilità del mondo attraverso le tapparelle.

MILF: la scomparsa di una categoria

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
24/04/2020

Per un intellettuale, la scomparsa di una categoria è una tragedia.

Una categoria è un modo di vedere la realtà, una interpretazione delle cose in cui si sedimentano dei significati aggregati attraverso dei principi e dei valori fino al punto di cambiare la stessa sostanza della cosa che si interpreta.

Così è per la categoria delle MILF, elaborata inizialmente da Barthes e recuperata da Foucalt nelle sue ultime lezioni al College de France: le milf sono anziane ragazze. L’interpretazione di questa categoria è stata guidata dall’idea che un’anziana ragazza possa indossare la propria età anagrafica con una grazia tale da farla scomparire entrando in un mondo nel quale potrebbe avere trenta come settanta anni e nessuno lo può sapere fino a che non se la trova in camera da letto, con la maschera di terra e i sacchetti di nylon intorno alle cosce.

I critici della categoria sanno che ci sono pochi modi per costringere una milf a scendere dal suo piedistallo di cera e silicone: un improvviso raggio di luce che la obbliga a socchiudere gli occhi rivelando delle zampe di gallina degne della strega nocciola. Improvviso, perché di solito, la milf è addestrata a mantenere il proprio viso ostentatamente impenetrabile anche se guarda il sole su un ghiacciaio.

Molto più raramente il segno della ricrescita dei capelli. La milf va dal parrucchiere con la stessa frequenza con cui sua nonna andava alla messa dopo avere perso il marito (nella guerra del 15/18).

Fra le conseguenze più terribili della pandemia c’è la scomparsa di questa categoria attraverso la distruzione del suo habitat naturale (il parrucchiere, la palestra e l’estetista, ma anche il centro benessere e l’abbronzatore, che, nella sostanza, assomiglia molto a un bronzista che ha perso il lavoro durante la crisi del 29).

Difficile immaginare se la task force di Colao, il programma di acquisto dei buoni del tesoro varato dalla BCE, o le misure straordinarie varate dal Consiglio Europeo di ieri potranno fare qualcosa.

E, forse, ritrovare il mercato pieno di donne serenamente di mezz’età invece che di modelle ispirate all’ultima passerella di Dolce e Gabbana potrebbe essere piacevole.

Anche in questo caso: don’t waste a good crisis.

La quarantena di Bukovsky

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
21/04/2020

Negli ultimi quaranta giorni:

– ho mangiato regolarmente, bevendo molta acqua e curando l’equilibrio fra le diverse sostanze nutritive. Di solito, salto il pranzo e mi abbuffo a cena all’ora che capita, senza fare troppo caso a quello che c’è in tavola;

– non sono mai stato al ristorante. Normalmente, mangio più spesso in trattoria che a casa;

– non ho bevuto neppure un Martini cocktail. Non capita spesso che lo salti fra le sette e le otto del pomeriggio;

– ho dormito almeno otto ore, andando a letto prima di mezzanotte e alzandomi fra le sette e le otto. Nella vita normale, non vado a letto prima delle una e non mi alzo dopo le sei;

– ho ridotto drasticamente il caffè, che, insieme all’alcol e ai cracker, è la mia fonte principale di calorie.

Mi sento meglio?

Per nulla: l’insonnia, le trattorie e i Martini fanno parte della mia vita molto più di questa dieta quaresimale da piccolo Ignazio di Loyola e mi sento come un Bukovsky vegano, sul procinto di un matrimonio religioso con l’istruttrice di yoga.

Praticamente pronto per il funerale.

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