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Il superamento del bicameralismo paritario e il contenimento dei costi della politica

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20/11/2016

I banchi semivuoti dell'Aula del Senato dopo l'abbandono dei senatori del M5s e della Lega Nord, Roma, 01 Agosto 2014. ANSA / LUIGI MISTRULLI

Nel dibattito referendario, la questione del superamento del bicameralismo paritario in rapporto al contenimento dei costi della politica è dibattuta con una approssimazione che merita di essere oggetto di qualche piccolo chiarimento.

Il costo del Senato si ricava dal rendiconto delle entrate e delle spese del Senato nel 2015 adottato dal Consiglio di Presidenza il 19 luglio 2016 (XVII Legislatura, Doc. VIII, n.  7).

Le spese del Senato sono state nel 2015, a consuntivo, Euro 512.786.632,03 , ovvero 513 milioni di Euro. Di cui:

 

Spesa corrente obbligatoria

 

471.200.914,22

Spesa di funzionamento in senso stretto

40.407.137,86

Spesa in conto capitale

 

1.178.579,95

TOTALE

512.786.632,03

L’abolizione del Senato determinerebbe sicuramente la soppressione delle spese di funzionamento in senso stretto e delle spese in conto capitale, che secondo la relazione dei Questori sono tutte le spese sostenute per l’erogazione dei servizi e forniture di supporto al funzionamento del Senato, quali le prestazioni professionali per l’Amministrazione, il costo del personale che fornisce servizi in Senato, le spese per l’attivita` delle Commissioni, i costi per i servizi informatici, di comunicazione, assicurativi, di ristorazione, di trasporto, di locazione, delle pulizie, ecc. (spese di funzionamento in senso stretto) e le spese per l’acquisto di beni mobili inventariati, delle spese di manutenzione straordinaria, nonche ́ di quelle di acquisto e conservazione del patrimonio della Biblioteca e dell’Archivio storico (spese in conto capitale).

Non avrebbe invece un impatto apparentemente significativo sulla spesa corrente obbligatoria, che si compone dei costi per i Senatori, ex-Senatori, personale di ruolo, personale in quiescenza, personale estraneo all’Amministrazione nonché di tutti gli oneri collegati quali quelli fiscali e previdenziali.

Non è così. La tabella 5 predisposta dai Questori indica il contenuto della spesa corrente obbligatoria e il suo andamento fra il 2013 e il 2015:

Tabella 5 – Quadro riepilogativo finale della spesa obbligatoria

Spesa corrente obbligatoria Riepilogo per aggregati funzionali

Bilancio 2013

Bilancio 2014

Bilancio 2015

Risparmi da versare al Bilancio dello Stato

12.520.000,00

19.498.543,64

16.949.968,11

Senatori e Gruppi parlamentari

99.387.456,42

98.415.145,98

98.637.961,96

Ex-Senatori

80.893.600,57

80.381.632,96

78.686.611,63

Personale addetto alle segreterie istituzionali

11.107.147,69

9.602.850,87

10.048.631,41

Personale dipendente in servizio

123.493.965,73

119.309.859,85

102.445.428,04

Personale in quiescenza

115.135.780,29

119.900.000,00

138.153.607,71

Oneri previdenziali e fiscali a carico dell’Amministra- zione

32.018.644,18

28.690.760,92

26.278.705,36

Totali

474.556.594,88

475.798.794,22

471.200.914,22

Le spese inevitabili di questa tabella anche nel caso di soppressione del Senato sono quelle a carattere previdenziale (Euro78.686.611,63 per gli ex senatori e Euro138.153.607,71 per il personale in quiescenza), ovvero circa 216MlnEuro, che però sono destinati a ridursi progressivamente per effetto della inevitabile letalità che caratterizza anche gli ex senatori e i loro dipendenti in quiescenza.

Per il resto, le spese per i senatori (Euro98.637.961,96), il personale delle loro segreterie (Euro10.048.631,41), i risparmi da versare allo Stato (Euro16.949.968,11) sono destinate a cessare: ai senatori non sarà versata alcuna indennità, il personale delle loro segreterie viene naturalmente a cessare, i risparmi da versare allo Stato sono una conseguenza del fatto che il bilancio del Senato è alimentato tramite un fondo di dotazione che ovviamente sarebbe soppresso.

L’ultima questione riguarda il personale (Euro102.445.428,04, per gli stipendi; Euro26.278.705,36, per gli oneri fiscali e previdenziali a carico dell’Amministrazione). Il personale è destinato a confluire nei ruoli dell’altra Camera sicché non vi sarebbe alcun risparmio per questa voce.

E’ vero solo se non si tiene conto che si tratta di personale di altissimo livello che potrebbe essere incentivato a migrare in altre amministrazioni che potrebbero ricevere un vantaggio davvero straordinario dalla loro professionalità.

Sulla base di queste considerazioni si può dire che l’obiettivo del contenimento dei costi è piuttosto centrato. Vengono meno 167MlnEuro di poste comprese fra gli stipendi dei Senatori e quelli del personale delle loro segreterie, più le spese di funzionamento in senso stretto. A questi si deve aggiungere che il costo previdenziale del Senato è di circa 217MlnEuro, su cui non si può fare nulla, se non implorare la previdenza di fare il suo corso, e che sottratti dal costo complessivo del Senato le spese risparmiate e le spese previdenziali restano solo le spese per il personale attualmente in servizio (circa 128MlnEuro) su cui valgono le considerazioni che si sono espresse.

Tradotto in percentuale, il superamento del bicameralismo paritario determina un risparmio del 33% e al netto delle spese previdenziali del 57%, che comunque non è poco.

Fra Costituzione materiale e Costituzione formale: lo scarto pensionistico?

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
17/11/2016

corte-costituzionale-675

Tre ex presidenti della corte costituzionale sono attivamente in campo dalla parte del No.
Insieme a loro diversi giudici emeriti dell’unica corte sovrana conosciuta dal nostro ordinamento.
Non stupisce. Dispiace. Dispiace con una sensazione di tenerezza.
La Corte confessa il ruolo che è stata costretta a rivestire nella nostra forma di Stato. Un ruolo di supplenza del legislatore e perfino del legislatore costituzionale. Il ruolo di chi dovrebbe applicare la costituzione e si trova invece a doverne spesso correggere, con intelligente prudenza, il contenuto e orientarne le lacune.
La Corte ha conquistato un forte ruolo di supplenza e, forse, non lo vuole abbandonare.
Però, quando la costituzione scritta si allontana dalla costituzione materiale questo accade perché il giudice delle leggi ha smesso di interpretare ed ha iniziato a creare.
Ha smesso di essere la levatrice che aiuta la Costituzione nel difficile parto delle norme costituzionali e si è fatta la madre della costituzione materiale.
E’ un ruolo che la Corte ha dovuto svolgere, ma non sono le attribuzioni regolate dall’art. 134, Cost. e dall’art. 1, legge cost. 1/1953.
Si può capire che la Corte non voglia lasciare questo compito a un legislatore che rappresenti il popolo, è persino ragionevole.
Tuttavia uno dei significati della riforma della Costituzione è anche ridurre lo scarto fra Costituzione formale e Costituzione materiale.
Difendere lo scarto è difendere la rendita di posizione di chi opera in questo scarto.
Una posizione che non può essere condivisa.
Ma che può essere capita: quando si sta per andare in pensione, si è colpiti da una grande angoscia ed è umano cercare con tutte le forze di evitarlo.

Il referendum costituzionale e il Buontalenti di Badiani

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
16/11/2016

gallery-cinema-4

Badiani è una gelateria e non ha niente a che fare con il referendum costituzionale.

Il suo Buontalenti è uno dei gelati più buoni di Firenze, anche se i suoi commessi non sono simpatici quanto questa crema, anzi, e non sono poche le persone che lo evitano per questa ragione.

Una delle tappe del mio roadshow sul contenuto del referendum costituzionale è passata vicina a Badiani: l’alto magistrato in pensione che sosteneva le ragioni del No dal punto di vista di Magistratura Democratica ha spiegato che la riforma non si poteva votare.

Di più, non si doveva nemmeno perdere tempo a leggerla.

Difatti, la riforma costituzionale deve essere rigettata perché proviene dal Governo e il Governo non potrebbe presentare un progetto di riforma della Costituzione.

E’ la solita citazione di Calamandrei, slegata dal contesto, che era l’inizio della discussione in aula sul progetto di costituzione varato dalla Commissione dei 75, quando l’assenza del governo si giustificava perché l’assemblea costituente non discuteva su di una proposta del governo ma su di un testo elaborato da una commissione appositamente costituita.

Ci si scorda però che quel governo aveva un ministero per la costituente e la commissione dei 75 aveva iniziato i suoi lavori su una serie di proposte elaborate dalle commissioni Forti, che erano commissioni governative.

In secondo luogo, la riforma costituzionale deve essere rigettata perché è stata votata da un Parlamento eletto in base a un sistema elettorale successivamente dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale.

Sono due argomenti che sul piano costituzionale non dicono nulla: nessuna disposizione della Costituzione vieta l’iniziativa legislativa al Governo in materia costituzionale e la sentenza della Corte 1/2014 che ha dichiarato incostituzionale il sistema elettorale ha precisato che non vi sono effetti di alcun tipo per il Parlamento eletto in base a quelle norme.

Sono argomenti che assomigliano molto al non assaggiare il Buontalenti di Badiani perché i commessi sono antipatici.

Ovviamente non è così: vale la pena assaggiare il Buontalenti di Badiani, perché è buono, e vale la pena interrogarsi sul merito della riforma costituzionale perché potrebbe essere molto meglio delle sue critiche.

Scorretto come un presidente del tribunale della razza

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
15/11/2016

 

Ha fatto un certo scalpore, un certo lubrico scalpore, la richiesta di un giudice della Corte costituzionale (Paolo Maria Napolitano) di rimuovere dal corridoio nobile della Consulta il busto di Gaetano Azzariti che ne fu Presidente dal 1957 al 1961.

La richiesta era motivata dal fatto che Azzariti aveva presieduto la Commissione per la difesa della razza, che ebbe il compito secondo la legge 1024/1939 di giudicare sulle richieste di cittadini ebrei secondo il codice civile di essere dichiarati ariani e perciò sottratti alla persecuzione razziale.

Un compito non elegante portato avanti con ragionevole sollecitudine: fra il 1939 e il 1943 furono esaminate circa 150 istanza, 100 delle quali furono accolte. Il prezzo della salvezza era la assunzione della paternità o della maternità da parte di un ariano in luogo di chi risultava dallo stato civile (diffusamente: M. Boni, Gaetano Azzariti: dal Tribunale della razza alla Corte costituzionale, in Contemporanea: rivista di storia dell’800 e del ‘900, Il Mulino, Bologna, anno XVII, n. 4).

Lo svolgimento di questo compito non ha impedito ad Azzariti di essere uno dei collaboratori principali del Togliatti ministro di grazia e giustizia, di essere nominato nelle Commissioni Forti e, infine, di essere inviato da Gronchi alla Corte costituzionale.

Si potrebbe essere scandalizzati e scandalizzato si è mostrato il sindaco De Magistris, che ha tolto il suo nome dalla strada che gli era stata intestata da una precedente amministrazione, con una spiacevole damnatio memoriae. Il busto, invece, è rimasto dov’era nel corridoio della Consulta.

Un alto magistrato di formazione liberale può essere prima il presidente della Commissione per la difesa della razza, poi della Corte costituzionale e, fra i due, del Tribunale superiore delle acque pubbliche?

Le tre cose, per un uomo che ritiene di essere soggetto soltanto alla legge, sono in fondo la stessa cosa. Perché Azzariti, come tutti i magistrati dei suoi tempi, o comunque molti fra loro, non era fascista quando serviva Rocco più di quanto non fosse comunista con Togliatti. Era un giudice e i giudici che applicava la legge, prima, e la Costituzione, poi. C’è un che di splendido e di terribile in questo. Come in una nobiltà boema: quando si scava si trova sempre qualcuno di imbarazzante.

Il Gaetano Azzariti di allora viene in monte oggi che tanti giudici corrono intorno al referendum costituzionale e quasi tutti dalla parte del No.

 

Se non fa parte del mestiere del giudice rinunciare alla sua applicazione anche quando ritiene la legge contro natura, così non fa parte del suo mestiere neppure sostenere che un disegno di legge è contro natura prima che sia applicato, perché ogni volta che un giudice esprime un giudizio politico minaccia l’imparzialità del suo ragionamento giuridico.

Il costituzionalista riluttante (o ipocrita?)

0 Comments/ in profstanco / by Gian Luca Conti
10/08/2016

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C’è solo una cosa che nell’intervista la naturale prudenza del professore che è anche avvocato mi ha impedito di dire.

Forse la cosa più importante.

Perché il giudice amministrativo ha deciso di un ricorso che riguardava un atto, il Piano di indirizzo territoriale, destinato ad essere superato dall’atto amministrativo successivo, il Master Plan, che sarà adottato con una intesa secondo lo schema dell’art. 81, d.P.R. 616/1977?

Perché si è approfonditamente occupato della Valutazione ambientale strategica quando questa è destinata ad essere superata e amministrativamente dimenticata per effetto della Valutazione di impatto ambientale?

Perché non si è limitato a dire che non vi era interesse, come sarebbe stato naturale e forse più ragionevole?

Perché è un giudice e i giudici hanno bisogno di trovare legittimazione attraverso il suono pubblico delle loro pronunce, che fanno rumore quando possono apparire sulla stampa come eversive delle decisioni di poteri forti, i poteri economici nel loro collegamento ai decisori politici.

Solo che un esercizio di questo genere è in contrasto con una delle anime vere e più profonde della giustizia nell’amministrazione, l’essere un giudice speciale perché vicino, nel senso di contiguo, al potere che giudica, come insegnava Orsi Battaglini.

Il giudice amministrativo ha coraggio solo quando il suo ardimento non ha alcun effetto pratico, ma fa un gran clamore sui giornali.

Questo non ho detto perché sarebbe stato come dire che la giustizia amministrativa non esiste e a questo pensiero non mi vorrei arrendere.

Almeno sino a che sono avvocato e professore universitario.

Veri partigiani

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23/05/2016

NZO

La polemica di oggi è chi sia un vero partigiano e se la presa di posizione della Associazione Nazionale Partigiani di Italia contro il Si al referendum possa essere oggetto di (garbata) polemica da parte del Ministro per i rapporti con il Parlamento.

La polemica di ieri ha riguardato il saggio di Sergio Luzzatto di introduzione alla ristampa di Uomini e città della resistenza di Piero Calamandrei. Luzzatto si era permesso di svolgere un ragionamento storiografico in cui la resistenza non era considerata un fatto storico ma era indagata come il necessario mito fondato della Repubblica.

Oggi si dice che nessuno può prendere posizione contro i padri della Repubblica.

Ieri si diceva che i padri della Repubblica non possono essere smentiti nemmeno da chi educatamente prova a smentire la tesi che il loro patrimonio genetico si sia correttamente trasferito nel processo costituente.

In entrambi i casi si parla di una associazione la cui forza propulsiva oramai si avvicina a quella dei reduci garibaldini.

Fra Tortolì e Torre del Lago

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28/05/2014

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Il partito democratico di Renzi ha vinto le elezioni.

Contro i pronostici che vedevano un movimento 5 stelle particolarmente a punta.

Soprattutto, Forza Italia e il centro destra sembrano avere perso: alle comunali, solo Ascoli Piceno, Chianciano e Tortolì hanno visto un candidato del miliardario affidato vincere al primo turno. Ma sono città che assomigliano a Torre del Lago, che alla stazione di Pisa viene annunciata solo per dire che il treno per Spezia non ci si ferma.

E’ una grande festa, una lucida festa in cui Nardella mette insieme il terzo figlio e il primo giorno da Sindaco con un consenso di quasi il sessanta per cento di fiorentini, ammaliati dal carisma del primo ministro come ai tempi del Savonarola.

Ma sono elezioni che devono essere viste anche da un punto di vista diverso.

Se il movimento 5 stelle ha perso, la responsabilità è di Grillo e Currò (chi è?) non esita a chiamarlo in causa in una discussione che assomiglia a una lite in famiglia di fronte al panettone di Natale.

Se Forza Italia ha perso (ma anche Alfano, checché ne dica, non ha certo vinto), la responsabilità è di Berlusconi e Fitto, forte delle sue preferenze (284kVoti), glielo fa notare traguardando un’OPA ostile sul partito del miliardario affidato.

Soprattutto, se il PD ha vinto, non ha vinto il PD ha vinto Renzi, che ha saputo conquistare un consenso trasversale, molto simile a quello della Democrazia Cristiana, che D’Alema, Veltroni e Bersani non avrebbero mai potuto immaginare.

Il 40% dei consensi non riguarda un programma e un partito politico che incarna una serie di ideali (quali?). Sono voti dati a Renzi, che non a caso viene chiamato, per la prima volta, “Matteo”, anche da Napolitano.

Ha vinto Matteo, hanno perso Giuseppe Piero e Silvio e anche Alfano, di cui non è facile ricordarsi il nome di battesimo, Mario (Monti, c’era anche lui).

Ha vinto una persona e hanno perso delle persone.

Perché il dato più interessante, la cosa da tenere più presente anche nel prisma delle riforme costituzionali di cui oggi riprende l’esame alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (ancora per poco), è che i partiti politici sono scomparsi, sostituiti da persone che incarnano una One minute democracy, una democrazia in cui l’elettore sceglie in un minuto e in un minuto cambia idea, in cui, in fondo, all’elettore non interessa un fico secco della politica.

E, in questo contesto, si può festeggiare.

Ma come nella Villa del Decamerone, il Boccaccio novellava durante la peste.

Genni la carogna si chiama Gennaro (E Renzi non si chiama Pelloux)

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05/05/2014

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Genni la carogna si chiama Gennaro e Gennaro fa molta meno figura e meno rumore di Genni la carogna sicché può essere giusto chiamarlo Gennaro, sia per rispetto ai suoi genitori che hanno scelto questo nome, sia perché le leggende fanno parte del ciclo dei Nibelunghi o del Far West, non del tifo, che pure sarebbe una malattia diffusa dai pidocchi e non un atteggiamento di amore e passione per una squadra di calcio, anche se a ben vedere un po’ di affinità ci sono.

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La questione della centralità parlamentare

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31/01/2014

occupazione-nazista-2

I deputati del M5S hanno occupato il Parlamento, urlando e non solo.

Hanno anche depositato una richiesta di impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica.

Lo fanno perché si sono accorti che il Parlamento non è il luogo in cui avvengono le scelte, ma quello in cui le scelte sono ratificate.

Questa è la questione che pongono ed è una questione centrale che non merita di essere dimenticata od oscurata dal modo che questi deputati hanno utilizzato per manifestarla, dal loro metodo, fatto di quella stessa sanguigna brutalità popolare che contrapponeva i sanculotti dell’Abate rosso alla Montagna o alla Gironda delle beneducate gazzette.

Ma è una questione che loro stessi hanno generato: Grillo, esattamente come Berlusconi e Renzi, non fa parte del Parlamento.

Tuttavia mentre Berlusconi è stato espulso dal Parlamento contro la propria volontà e per un percorso giuridicamente inevitabile, Renzi non è stato eletto per questioni interne alle tecnicità del Partito democratico in punto di primarie, Grillo si è volutamente escluso dalla dialettica parlamentare.

Lo ha fatto perché il Parlamento è molto meno centrale della rete nelle costituzioni materialmente neurali della contemporaneità.

E’ di questo che si dovrebbe discutere e, forse, i deputati del M5S sono i meno legittimati a farlo.

Il Mussolini di Cuperlo e il Guy Fawkes di D’Alema

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19/11/2013

diverse-guy-fawkes-masks-animal

La notizia appare consolidata.

Renzi ha ottenuto il 46.7% delle preferenze mentre l’ultimo segretario della FGCI il 38.4%.

Votavano gli iscritti.

Filano lisce due osservazioni. Read more →

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